Alessandria, città grigia
Fino a qualche anno fa, quando ero fuori provincia e dicevo di essere di Alessandria, molti pensavano che venissi dall’omonima – e più affascinante – città in Egitto. Ora una delle risposte che sento più spesso è semplicemente “Ah, non ci sono mai stato”. una risposta che non mi sorprende. Alle volte questa frase è seguita da un curioso “e com’è Alessandria?”.
Non so mai cosa rispondere a questa domanda. Appena ne ho avuta l’occasione ho cercato di andare altrove. Mi sono persa tra le montagne sudtirolesi, rinchiusa tra le mura senesi e ho dimenticato un po’ la mia città.
Alessandria è una città grigia. Non per modo di dire. Alessandria è grigia in tutto e per tutto, dalla maglia della squadra di calcio all’aria, densa e dalla qualità pessima, a volte così terribile da farmi venire il mal di testa, specialmente percorrendo il trafficato cavalcavia che collega il quartiere Cristo al Centro. Anche la stazione, con i suoi collegamenti piuttosto scarsi, è grigia. Lo sfortunato Teatro Comunale (foto in basso), invaso dall’amianto nel 2010, bonificato, riaperto e richiuso, è grigio. Il Tanaro, che scorre sotto il non amatissimo ponte Meier e minaccia di fare danni ogni novembre, è grigio. Anche noi cittadini, si sente dire spesso, siamo un po’ grigi. Difficilmente soddisfatti, spesso scettici quando ci viene proposto qualcosa di nuovo.
Il grigio è un colore un po’ di mezzo, proprio come Alessandria, che pare una città buttata lì, incastonata tra città prepotentemente importanti come Torino, Milano e Genova. Eppure, penso spesso, non tutte le città sono destinate a essere gioiellini artistici, mete turistiche, importanti metropoli. Ci devono pur essere città come Alessandria, che sono lì semplicemente per essere vissute. Purtroppo proprio questo è il problema. Gli alessandrini sentono come particolarmente importante il tema dei piccoli negozi che chiudono, tra le ormai consolidate accuse a chi “compra su internet e uccide il commercio” e chi vede in questo fenomeno un particolare sviluppo della società, in cui i lavori non vengono più tramandati dai genitori ai figli e negozi storici vengono chiusi quando i loro gestori decidono di andare in pensione.

Questo non vuol dire che tutto sia perduto. In effetti ci sono posti ad Alessandria che vengono vissuti con grande passione persino dai suoi abitanti ingrigiti. Qualche giorno fa sono andata al cinema a vedere la proiezione del documentario “No Other Land”, parte degli eventi organizzati dal Circolo del Cinema Adelio Ferrero nell’unico cinema all’interno della città, il Kristalli (foto in basso). Prima ancora di parcheggiare ho visto una lunghissima coda di persone che si estendeva fuori dall’ingresso del cinema. Temevo di non riuscire a entrare, ma ero anche contentissima di vedere tante persone interessate a un film così importante. Certo, il Kristalli non è grandissimo, ma dalla chiusura del Teatro Comunale è diventato un luogo ancora più importante per la città e con le sue due sale spesso piene rappresenta uno dei lati migliori di Alessandria, un guizzo di colore.

Alessandria è una città grigia, ma di guizzi di colore ce ne sono tanti altri. Il teatro San Francesco ospita un centenario spettacolo in dialetto ogni Natale, mantenendo viva una parte dell’identità alessandrina. La compagnia teatrale “Stregatti” organizza progetti di Teatro Sociale di Comunità, con l’idea di trasformare i cittadini in “ambasciatori culturali”. Il Conservatorio “Vivaldi” ogni anno mette in scena un’ opera lirica nel suo cortile e accompagna la città con i suoi concerti ed eventi tutto l’anno. Centri culturali come Yggdra, gestito principalmente da giovani e studenti, fa di tutto per coinvolgere i cittadini in attività di aggregazione, approfondimento e rendere la città sempre più attiva. La Casa di Quartiere (foto in basso) rappresenta un posto sicuro e un luogo importantissimo per ogni cittadino.

Alessandria, in fondo, non è così male. Non ho mai davvero imparato i nomi delle vie, ma giuro che alcune di loro sono quasi belle. Eppure, nonostante non sia una città da buttare e nonostante la presenza di tutte queste realtà, quando mi chiedono se voglio continuare a vivere qui una volta finiti gli studi la mia risposta è sempre negativa. “E cosa faccio io qui?”. Forse l’ingrigimento alessandrino mi è entrato nelle ossa insieme alla nebbia delle sette di mattina e sarò sempre incontentabile. Sono sempre stata invidiosa delle persone che vengono da città che a me sembrano più interessanti, in grado di fornire più opportunità. Una sera una mia amica che mi aveva invitato a cena a casa sua mi dice “a volte mi fa un po’ tristezza pensare che le nostre città non saranno mai le protagoniste di una canzone”. Viene difficile, almeno a me, affezionarsi a una città che pare inesistente per chi non ci è mai stato e insignificante per chi ci vive. E mentre cerco lavoro “ovunque ma non qui”, mi sento in colpa per non aver dato tante possibilità alla città orfana di canzoni che fa di tutto per convincere gente grigia come me che anche il grigio può valerne la pena.
