Le nostre scelte dipendono dai modelli di pensiero culturalmente ereditati

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D’oltremare. La nuova rubrica di Change the Future per esplorare la contemporaneità e ragionare sulla nostra cultura grazie a un confronto con la cultura orientale. Qui non ci fermiamo alla semplice dicotomia, ma analizziamo i modelli di pensiero attraverso il confronto.

Grazie all’antropologia culturale siamo oggi in grado di affermare con certezza che le classificazioni dell’uomo naturale non sono il semplice riflesso sulla nostra mente di una realtà esterna che cogliamo in maniera oggettiva. Le categorizzazioni che applichiamo al mondo fisico in cui ci muoviamo sono infatti il prodotto dei principi di organizzazione che costituiscono le fondamenta della cultura del soggetto che viene classificato.

Entrando nel merito di alcune pratiche sociali, possiamo notare come per esempio in tutte le culture sia possibile trovare rappresentazioni di animali dotati di un forte valore simbolico.

Prendiamo un esempio. Nella cultura occidentale il pipistrello è accompagnato da un’immagine simbolica con accezione negativa: questo mammifero è infatti conosciuto in Europa per il fatto che può trasmettere la tigna o, credenza popolare, può rendere calvi.

Un’immagine completamente ribaltata rispetto a quanto credono i Lele del Kasai, in Congo. In questa comunità il pangolino viene elevato al rango di capo, per via del fatto che è caratterizzato da squame quasi fosse un pesce, allatta in quanto mammifero ma può volare e arrampicarsi sugli alberi. Secondo i Lele, quando si ingerisce la carne di questo animale si ottiene la fertilità, proprio perché in questa cultura l’idea di benessere è connessa alla figura del capo. Ed ecco che mangiare un pipistrello diventa un rituale di trasferimento del potere di fertilità.

Sappiamo bene a oggi che ci sono diverse interpretazioni culturali sulla carne che si può ingerire o che, diversamente, viene sottoposta a divieti.

Su quali basi si fonda tale differenza interpretativa?

Secondo l’antropologa inglese Mary Douglas l’attuale distinzione fra animali puri, e dunque commestibili, e animali impuri, non commestibili, dipende da un problema di coerenza classificatoria. La cultura occidentale è fortemente influenzata dalle proibizioni sancite dal pensiero biblico.

Nel Levitico, il terzo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana, viene specificato che gli esseri viventi possono cibarsi esclusivamente degli animali che ruminano, che hanno il piede forcuto e l’unghia spaccata. Dunque, il carattere puro degli animali la cui carne è consumabile, almeno secondo i nostri modelli culturali, dipende dalla ruminazione e dalla artiodattilità dell’animale; mentre tutti gli animali che si distaccano da questa categoria sono considerati impuri. Il pensiero biblico, che a oggi è interiorizzato nella nostra società, fa della coerenza concettuale la condizione di purezza e santità dell’animale.

Identità culinaria

Queste proibizioni alimentari spesso dipendono da fattori religiosi, che tendono a istituzionalizzare le classificazioni del mondo con una funzione discriminante, ovvero distintiva di un gruppo nei confronti di un altro. Ogni contesto sociale è regolato da una serie di norme e valori. Per esempio, per gli ebrei il maiale è considerato impuro, mentre in Giamaica è credenza che se i bambini mangiano pollo prima di proferire la prima parola, non parleranno mai.

A partire dalla metà del XX secolo, alla globalizzazione economica è corrisposta una globalizzazione culturale che ha sfumato i bordi delle identità nazionali.

Le pratiche culinarie hanno infatti da sempre costituito uno dei fattori principali nella costruzione dell’identità culturale, ma a oggi, nel 2020, la nostra identità culturale è determinata sia da ciò che abbiamo ereditato inconsciamente come modello di pensiero, che da ciò che scegliamo di selezionare ponderatamente.

Dovremmo allora chiederci quanto delle nostre scelte alimentari dipendonoda modelli culturali interiorizzati inconsciamente, esui quali sarebbe opportuno riflettere.

La sacralità attribuita alle mucche nella religione indù

Chiunque abbia visto un documentario sulla cultura indù sa che le mucche sono considerate sacre in questa realtà, ma per quale motivo questo animale, rispetto ad altri, è considerato simbolico?

L’attuale condizione di sacralità attribuita alle mucche secondo la religione indù pone le sue basi in un cambiamento economico. Durante il periodo delle popolazioni Veda, la razza bovina era a rischio estinzione perché oggetto di pratiche rituali a scopo divinatorio. Il pericolo della scomparsa di questa specie dalle terre indiane, un animale fondamentale per i lavori agricoli della popolazione, ha portato a uno slittamento semantico del concetto di mucca in questa cultura. Da animale sacrificato in onore delle divinità si trasformò in soggetto deificato, simbolo sacro che incarna l’identità indù. Per far sì che il sistema agricolo non crollasse, gli indiani sono stati disposti a cambiare modello culturale per favorire la crescita economica e demografica. Questa proibizione alimentare simbolo dell’induismo pone infatti le sue basi in una scelta culturalmente ereditata.