50 anni di Medici Senza Frontiere: tra dilemmi, testimonianze e sfide

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“L’impegno di MSF non solo mi fa sentire meno solo, ma mi fa capire che non possiamo stare zitti; è un momento difficile per chi decide di esporsi sui temi umanitari, e MSF ci ridà speranza, ci fa ricordare che di fronte a drammi immensi, esiste una misura umana per affrontarli, una via di fuga della speranza verso l’azione. È questa la potenza che ha questa organizzazione, porta avanti fatti concreti che ridanno un’idea di umanità e sicurezza.”

Così inizia l’intervento di Roberto Saviano all’evento UMANIT’ARIA, una due giorni organizzata da Medici Senza Frontiere al MONK di Roma in cui si sono seguiti dibattiti, incontri, spettacoli e domande sulle sfide, i limiti e il futuro dell’azione umanitaria a livello internazionale.

L’ evento, tenutosi nel weekend del 13 e 14 novembre scorso, si inserisce all’interno delle celebrazioni del 50 esimo anniversario della nascita dell’organizzazione. A questo, si aggiunge la mostra fotografica “GUARDARE OLTRE – MSF & MAGNUM: 50 anni sul campo, tra azione e testimonianza” esposta al MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma dal 6 al 14 novembre, in cui si ripercorrono i 5 decenni di collaborazioni tra MSF e i fotografi Magnum, che sono stati testimoni diretti e amplificatori di crisi lontane dai riflettori e dai media.

Mostra fotografica “Guardare Oltre” al MAXII di Roma – foto di Sofia Torlontano

Cinquanta anni di aiuti medici, guidati dai principi di neutralità, imparzialità e indipendenza.
Questo è il lavoro di Medici Senza Frontiere, che solo nel 2020 ha portato avanti più di 10 milioni di visite mediche, ha fatto nascere circa 300 mila bambini in condizioni mediche sicure, ed ha trattato più di 2 milioni e mezzo di casi di malaria. Cifre enormi se pensate in un contesto di crisi sanitaria globale, in cui MSF ha avuto un ruolo fondamentale per il supporto delle attività sanitarie in Italia, in Europa e in circa 70 Paesi nel mondo, grazie alla sua esperienza nella gestione delle epidemie e nella risposta alle emergenze.

Ma come si è arrivati ad una tale potenza medico-umanitaria in così poco tempo?

La storia dell’associazione ci viene raccontata attraverso la mostra fotografica, che racconta le principali crisi umanitarie dal 1971 a oggi, sottolineando l’importanza della testimonianza, guardando oltre ogni ostacolo e indifferenza.  

Parte della mostra fotografica “Guardare Oltre”

La nascita di MSF e la sua missione fondamentale

L’idea dell’organizzazione nasce nel 1968, da un piccolo gruppo di medici, inviati dalla Croce Rossa nella guerra del Biafra, provincia secessionista della Nigeria, e da un gruppo di giornalisti.
Fino a quel momento non esisteva un’organizzazione medico umanitaria che fornisse cure mediche in situazioni di emergenza: la Croce Rossa forniva aiuti e beni di prima necessità, ma non garantiva cliniche, interventi sanitari o medicinali.

Formalmente, la fondazione di Medici Senza Frontiere avvenne nel dicembre del 1971; venne posta l’azione medica come centro della sua missione e si dichiarò “libera e indipendente”, con l’intenzione di fornire soccorso alle popolazioni in difficoltà senza alcuna discriminazione.

MSF non diventa subito un movimento internazionale, e nemmeno uno dei maggiori attori sulla scena umanitaria.

Nei primi anni l’organizzazione effettua un numero limitato di interventi sanitari:

  • Segue le catastrofi naturali in America Centrale, soprattutto il terremoto in Nicaragua nel 1972 e l’uragano in Honduras nel 1974, che rimane ad oggi il terzo uragano con più vittime mai avvenuto.
  • Aiuta i rifugiati vietnamiti e cambogiani in Thailandia nel 1976, dove, per la prima volta, porta avanti un azione di denuncia verso il blocco degli aiuti umanitari nel paese, attraverso una marcia pacifica.
  • Cura le vittime della guerra civile in Libano sempre nel 1976, in partenrship con organizzazioni della società civile, prendendo e curando i feriti di ogni schieramento, senza discriminazioni, rispettando i propri principi di neutralità ed imparzialità. Nel 1984 però, MSF si ritirerà dal libano per motivi di sicurezza.
  • Cura, opera e vaccina la popolazione afgana dopo l’invasione da parte delle truppe sovietiche nel 1979, e non avendo ricevuto un autorizzazione formale, allestisce piccoli ospedali nel cuore delle montagne, trasportando attrezzature e medicinali clandestinamente con i cavalli e muli.

Dilemmi etici VS azione medica

Oggi MSF è un grande movimento umanitario ed internazionale, con equipe composte da operatori che provengono da ogni parte del mondo. Una storia che porta a grandi risultati in termini medici, ma che si scontra anche con dibattiti interni e interrogativi, sorti di fronte ai limiti dell’azione dell’associazione.

Proprio durante le conferenze tenutesi al Monk di Roma, nell’evento UMANIT’ARIA, si è provato a dare risposta a questi dilemmi.

È infatti complicato combinare l’etica dell’azione medica con il desiderio di denunciare ciò di cui si è testimoni, ha spiegato Fracois Dumont, direttore comunicazione MSF Spagna, durante il dibattito “Curare e testimoniare: dilemmi ed opportunità”: “La testimonianza non si sostituisce all’azione medica, che rimane la nostra priorità. Questo ci differenzia da altre ONG, che nascono per denunciare ma non per portare aiuto medico e sanitario. Ma la neutralità politica a cui tanto aspiriamo, non significa neutralità della coscienza. Secondo i nostri valori e i nostri principi, possiamo testimoniare se vediamo atrocità, attacchi ai civili, attacchi ad ospedali, strumentalizzazione degli aiuti umanitari. Ma ci devono essere tre basi per il nostro posizionamento: testimonianza oculare, dati medici, presenza diretta dei nostri operatori”.

Nel 1984 si pone il prima dilemma etico dell’organizzazione, in Etiopia:

una carestia stava devastando il nord del Paese, decine di migliaia di persone morivano di fame, di malattia o di freddo. MSF inviava cibo, medicine, attrezzature e lavorava nei centri terapeutici nutrizionali, ma il governo etiope si rifiutò di aprire un centro nutrizionale, che avrebbe salvato la vita di tantissimi bambini.

Il dilemma interno a MSF era il seguente: rimanere nel Paese e curare, o denunciare le conseguenze delle massicce deportazioni e il dirottamento degli aiuti, rischiando l’espulsione?

Stuart Franklin / Magnum Photos
Etiopia – 1984

Questi i temi del dibattito all’interno dell’organizzazione: alla fine, alcuni testimoni decisero di parlare e denunciare il governo etiope, violando il principio di neutralità. MSF venne espulsa dal Paese, per aver denunciato la strumentalizzazione degli aiuti umanitari. Un’altra parte dell’associazione decise invece di non pronunciarsi, portando avanti progetti nutrizionali e sanitari.

Lo stesso avvenne in Iraq quando, nel 1988, alcuni operatori umanitari si imbattono in un grande numero di casi di persone civili che presentano sintomi di intossicazione da armi chimiche. Anche in questo caso MSF decise di denunciare l’accaduto, ma, dopo la denuncia, la testimonianza fu utilizzata come mezzo di propaganda dall’Iran contro l’Iraq.

“Di fronte ad atrocità e crimi simili, non si può rimare in silenzio. C’è un obbligo morale di testimoniare, pena la complicità” continua Dumond, nel panel interamente dedicato a questo tema.

Il potere della logistica e i pericoli dell’azione

I numerosi interventi, insieme alle conoscenze di altre organizzazioni, hanno portato alla nascita della grande logistica umanitaria di Medici Senza Frontiere. Proprio in quegli anni, infatti, si sono sviluppati i primi kit medici che hanno facilitato la rapida risposta alle emergenze e la quantità di approvvigionamenti forniti nei luoghi delle missioni, aumentando nell’impatto e nella puntualità della risposta.
L’unità logistica è parte fondamentale dell’organizzazione, senza la quale non sarebbe possibile portare soccorso medico in più di 70 Paesi nel mondo in così poco tempo.

Ad una serie di gravissime emergenze, l’organizzazione risponde potenziando sempre di più la propria capacità operativa. È l’inizio di una nuova era di sviluppo e di assunzione dei rischi in un crescente numero di zone di conflitto ed emergenze in varie parti del mondo. 

Ma lavorare in queste zone non è una passeggiata, come dimostra l’evento del 1991 durante la guerra in Jugoslavia, quando un convoglio di MSF venne attaccato, e tre membri vennero feriti da una mina piazzata sulla strada.

Anche in Somalia, nel 1991, MSF non si tirò indietro, nonostante l’assistenza internazionale avesse lasciato la capitale dello Stato a causa dello stato di insicurezza e le perpetuate azioni di ostaggio ed estorsione. Ma la regione, colpita da guerra, siccità e migrazioni, aveva bisogno di aiuto, e le équipe di MSF continuarono a operare nei centri nutrizionali in tutto il Paese, utilizzando guardie armate per difendersi. Dopo rapimenti, ripetuti incidenti e l’imposizione di scorte armate, MSF decise di ritirarsi dal Paese nell’aprile del 1993, di fronte all’impossibilità di garantire uno spazio umanitario sicuro e di agire secondo i principi di neutralità e imparzialità.

Chris Steele-Perkins / Magnum Photos           
Somalia – 1991           

L’impotenza di MSF di fronte al fallimento dell’umanità

Il soccorso umanitario però ha dei limiti: quando vengono commessi crimini contro l’umanità, quando viene perpetrato un genocidio davanti agli occhi degli operatori umanitari, in situazioni così estreme, le organizzazioni umanitarie sono impotenti.
Quello che successe in Rwanda nel 1994, ne è la dimostrazione.

Tra l’aprile e il luglio di quell’anno vennero uccise, nell’indifferenza del mondo intero, tra le cinquecentomila e il milione di persone, in uno dei genocidi più atroci della storia.
MSF assiste impotente al massacro dei membri del proprio staff ruandese e di molti pazienti: in cento giorni furono massacrati centinaia di migliaia di esseri umani, tutsi e hutu moderati, tra cui 250 operatori di MSF.
Le strutture dell’organizzazione vennero assalite e date alle fiamme, gli operatori presi e portati via con la violenza, gli ospedali divennero luoghi di esecuzione.

Per la prima volta MSF lancia un allarme e testimonia davanti all’ONU, nella speranza di innescare un’azione rapida da parte degli Stati, invocando inoltre un intervento militare per fermare la tragedia. L’escalation di violenza provoca un esodo di massa di rifugiati, ai quali MSF fornisce assistenza medica e alimentare in Repubblica Democratica del Congo (allora Zaire), dove nel campo rifugiati adibito, scoppiò anche una grandissima epidemia di colera.

“Per il Rwanda l’abbiamo fatto, abbiamo testimoniato, e la testimonianza è stata l’espressione dei nostri valori. Ma non esistono linee guida su questo, ma delle limitazioni rispetto a quando va detto e cosa va detto” dice commosso Dumond.

François Dumont, direttore comunicazione MSF Spagna
e Fabrizio Carboni, direttore regionale Near and Middle East della Croce Rossa Internazionale

Solo un anno dopo, l’umanità fallisce nuovamente, nonostante le promesse della comunità internazionale.

Nella 1995, nell’ ex Jugoslavia, MSF diventa testimone delle politiche di pulizia etnica nell’enclave di Srebrenica.

MSF dal 1993 era presente sul territorio per fornire assistenza all’enclave, dove molte persone si erano rifugiate durante la guerra. Il 6 luglio del 1995 l’esercito serbo-bosniaco iniziò a bombardare l’enclave, i bombardamenti proseguono per cinque giorni, con numerosi feriti.

Ai convogli alimentari, alle medicine e a tutto ciò che proveniva dall’esterno, e al personale umanitario, venne negato l’accesso. Quando la città venne conquistata, MSF è l’unica organizzazione ancora presente, ma fu costretta a evacuare, lasciando sul campo parte del personale e dei pazienti bosniaci.

Gli operatori umanitari che lavorano in un’enclave non possono fermare una pulizia etnica, ed un medico non può impedire un genocidio.

Spiega Fabrizio Carboni, direttore regionale Near and Middle East della Croce Rossa Internazionale: “C’è un po’ una dimensione neocoloniale nel concetto di denuncia, io straniero arrivo in un Paese, denuncio e poi vado via. Ma lì rimangono persone, colleghi, operatori, che corrono dei rischi. “

Gilles Peress / Magnum Photos
Srebrenica – 1995

Il premio Nobel e la campagna per l’accesso ai farmaci essenziali

Nel 1999, MSF riceve il Premio Nobel per la Pace, assegnato al suo presidente internazionale, James Orbinski. Nel suo discorso, egli denunciò gli abusi e i bombardamenti indiscriminati delle forze russe sulla città cecena di Grozny. Assumendo questa posizione, ribadisce il diritto di criticare e denunciare: è l’umanitarismo dissenziente e impertinente incarnato da MSF.

“Il silenzio è stato a lungo confuso con la neutralità, ed è stato presentato come una condizione necessaria all’azione umanitaria. Dalle sue origini, MSF è stata creata per opporsi a questa tesi. Non siamo sicuri che le parole possano salvare delle vite, ma sappiamo con certezza che il silenzio uccide. Da più di 28 anni, la nostra azione si basa su questa etica del rifiuto”

James Orbinski, Presidente internazionale di MSF,
nel suo discorso per il Premio Nobel per la Pace, 1999

Dopo aver ricevuto il premio più ambito per ogni ONG, MSF lancia la sua campagna più importante, ovvero la campagna per l’accesso ai farmaci essenziali: ha come obiettivo l’accesso e lo sviluppo di farmaci salvavita, allunga vita, test diagnostici e vaccini, per i pazienti dei programmi di MSF e per tutto il mondo.

In quel periodo, le équipe di MSF vedono morire molti dei loro pazienti, vittime dell”HIV. A causa del costo proibitivo delle cure, le regioni del mondo più colpite non hanno accesso alle nuove cure rivoluzionarie. MSF si unisce all’intensa mobilitazione politica e sociale in atto in Sud Africa, con il motto: “Prima la vita, poi il profitto”.

Per la prima volta, MSF introduce un approccio globale alla risoluzione della malattia, con un impegno collettivo e vigoroso in tutti i continenti; intanto compaiono i primi trattamenti generici, che fanno calare notevolmente il prezzo dei farmaci.

Il primo progetto di questo tipo coinvolge la Thailandia, poi il Sud Africa. La gente arrivò in massa per farsi curare, ma le terapie erano poche rispetto a quelle che erano malate, e solo 1 persona su 4 poteva avere accesso alla cura. L’impatto sulle comunità però fu estremamente alto, positivo, mentre le relazioni politiche si continuarono ad incrinare per la questione dei brevetti sulle terapie.

Aiutare e rischiare o salvarsi e non aiutare?

Nel 2001, con l’inizio della guerra al terrorismo, si sollevano una serie di nuove sfide per Medici Senza Frontiere: gli operatori umanitari iniziano ad essere percepiti come parti di un conflitto asimmetrico globale, nel quale lo spazio umanitario si riduce con norme antiterrorismo che rendono le operazioni umanitarie molto complesse, se non addirittura illegali.

Appaiono di gruppi terroristi che mirano agli stranieri, che rappresentano un bottino politico e finanziario.

Per MSF si insinua quindi un nuovo dubbio: quale è il livello di rischio da assumersi e da far assumere ai propri operatori?

Domanda che si pone anche nel caso dell’emergenza in Darfur nel 2003, dove conflitti e violenze nuovi o permanenti imperversano nella regione al confine tra il sud del Sudan. Durante la guerra civile, che causò migliaia di morti e profughi, MSF aprì centri nutrizionali, cliniche e ospedali, impiegando oltre duemila operatori.
Ma ostacoli e attacchi ripetuti portarono MSF a sospendere la maggior parte delle sue attività nel Paese nel 2006.

Paolo Pellegrin / Magnum Photos
Darfur – 2003

Trasparenza, denuncia e operatività

Il 26 dicembre del 2004, un violentissimo tsunami provocò più di duecentomila morti nell’intera area dell‘oceano Indiano, in una delle più grandi catastrofi naturali della storia.
In poco tempo si aprì in tutto il mondo una campagna di solidarietà verso i Paesi maggiormente colpiti, e grazie all’enorme risposta internazionale, a maggio il peggio dell’emergenza è passato.

MSF, in prima linea nell’aiutare le regioni colpite, decide di chiedere ai suoi donatori di riassegnare parte dei fondi ricevuti per l’emergenza tsunami ad altri programmi di emergenza di in tutto il mondo.
Una decisione che dimostra la trasparenza e la correttezza dell’associazione e la volontà di essere sempre trasparente.

Inoltre, nel 2011, iniziano le prime mobilitazioni popolari in Siria che porteranno ad una guerra senza fine, che avrebbe devastato il Paese per i futuri 11 anni. Anche i medici, così come la popolazione civile, subiscono rappresaglie.
Così le reti di assistenza e le organizzazioni umanitarie si organizzano in segreto, senza autorizzazioni ufficiali, e MSF entra nel paese e assicura la fornitura di medicinali prima di aprire tre ospedali nel nord del paese, attraverso ospedali da campo, uno nei quali in una grotta che successivamente verrà bombardata.

Il 21 del 2013 agosto MSF si fa protagonista di un nuovo episodio di denuncia, riguardante un presunto attacco di armi chimiche sulla popolazione civile.

Jerome Sessini / Magnum Photos
Siria – 2013

Dice Fracois Dumont in merito a questo: “In Siria lavoravamo nel Nord con una nostra struttura sanitaria, ma nel resto del Paese non avevamo l’autorizzazione ad operare, autorizzazione che tutt’oggi non abbiamo. Supportiamo però delle reti di medici e presidi sanitari a distanza. Un giorno abbiamo ricevuto l’allarme di più di 3500 pazienti con sintomi di esposizione ad agenti chimici. Eravamo spinti nel denunciare, ma si presentano vari dilemmi: non abbiamo l’esperienza diretta, che credibilità possiamo dare alla nostra parola? Intanto cominciano ad apparire video sui social che risvegliano le coscienze, per cui la nostra voce non era influente in quel momento, non dava un valore aggiunto. Poi, se avessimo parlato, avremmo rischiato di essere strumentalizzati per giustificare un intervento militare da parte dell’America.
Alla fine però, nonostante le paure, abbiamo deciso di denunciare lo stesso”.

Ebola – 2014

Se fin qui il racconto della storia di Medici Senza Frontiere è stato seguito dalle foto dei fotografi Magnum, nella mostra fotografica “GUARDARE OLTRE – MSF & MAGNUM” colpisce una cornice vuota.


Non si tratta di un errore, ma di un messaggio che si vuole inviare e per descrivere la tensione di un momento particolare nella storia di MSF: l’epidemia di Ebola del 2014.

A marzo viene dichiarata un’epidemia di Ebola in Africa occidentale. MSF interviene rapidamente in Guinea, Liberia e Sierra Leone, istituendo centri di trattamento specifici per combattere il virus. A causa della mancanza di vaccini e cure disponibili, i tassi di mortalità sono molto elevati, per questo l’organizzazione denuncia l’inerzia della comunità internazionale di fronte all’epidemia di Ebola più mortale della storia, evidenziando anche i propri limiti per un dramma così imponente. Nel gennaio 2016, data della fine dell’epidemia, si contano più di undicimila morti.

L’indipendenza come forma di protesta

A maggio del 2015, mentre il Mediterraneo diventa un cimitero, MSF inizia le prime operazioni di Ricerca e Soccorso in mare per rimediare all’assenza di impegno da parte degli Stati europei.

Dopo poche settimane, nel mese di giugno, con una mossa storica, MSF rifiuta i finanziamenti dell’UE in protesta contro le ciniche politiche migratorie europee e in seguito alla firma del patto anti migranti tra Unione Europea e Turchia.
Negli ultimi sei anni, più di 80mila persone sono state salvate dalle sette navi a bordo delle quali hanno lavorato le équipe di MSF.

Fra gli ostacoli dell’azione umanitaria odierna, c’è quella della strumentalizzazione, soprattutto da parte di terze parti, dell’aiuto umanitario. Siamo passati da atteggiamenti di indifferenza, ad atteggiamenti di diffidenza verso ciò che facciamo. Quando feci la mia prima missione , iniziai a sentire lo scetticismo, perché per la prima volta andavamo a disturbare la vita quotidiana delle persone italiane. Non eravamo più i buoni, siamo diventati pericolosamente una parte in gioco del problema” racconta Roberto Scaini, medico di MSF attualmente in Yemen, durante il panel l’Azione umanitaria: la sfida con la A maiuscola.

Il 6 settembre 2017, la presidente internazionale di MSF invia una lettera aperta ai leader dei governi europei rispetto alla detenzione di migranti e rifugiati in Libia, dopo che la guardia costiera libica ha imposto l’allontanamento delle navi umanitarie dalle aree di ricerca e soccorso.

Le denunce continuano quando a giugno del 2018, Malta e Italia negano l’accesso ai porti sicuri più vicini per l’accesso di 630 rifugiati e migranti vulnerabili salvati dalla nave Acquarius in collaborazione con SOS mediterranee.
La decisione della denuncia avviene sulla scia degli attacchi cinici e delle narrazioni tossiche, mirate a criminalizzare i migranti e coloro che mostrano solidarietà nei loro confronti, minando l’azione umanitaria e il diritto internazionale.

Roberto Saviano, nel suo intervento, sottolinea quanto l’azione umanitaria stia entrando sempre di più nella polarizzazione politica: “è difficile far passare all’opinione pubblica che l’azione che state portando avanti è puramente solidale, riparate il mondo senza chiedere nulla in cambio: questo genera indifferenza. Vi dicono Buonisti, come se fosse un insulto, come se non si potesse essere buoni per natura e ci dovesse essere per forza un fine ultimo. E quando il discorso pubblico aizza questa diffidenza, è ancora più complicato”.

Roberto Saviano – panel “Curare e testimoniare”

Nel panel dedicato all’azione umanitaria, gli esperti spiegano che ad oggi, in contesti come l’Afghanistan o il Pakistan, l’essere indipendenti è un valore fondamentale: permette di parlare con entrambi le parti del conflitto, ottenendo l’accesso al Paese, e quindi l’aiuto umanitario.
Ma negoziare l’accesso non è una garanzia di salvezza o sicurezza, per cui i rischi rimangono altissimi.

Le sfide attuali dell’azione umanitaria

“L’azione umanitaria, oggi, non è più solo curare il ferito, ma si interseca con altri campi. Anche la tecnologia medica si è evoluta, e noi dobbiamo rimanere al passo dei grandi successi della medicina, ma operando in contesti dove la tecnologia non è così evoluta” dice Roberto Scaini, medico MSF.

Quando l’11 marzo del 2020 l’OMS dichiara la pandemia globale,
in ciascuna delle missioni in cui è presente MSF riorganizza le attività e fornisce supporto ai sistemi sanitari sopraffatti. Le équipe si concentrano sul sostegno prioritario alle comunità più vulnerabili, garantendo la continuità delle cure mediche e la protezione del personale sanitario.

Medici Senza Frontiere supporta anche il sistema sanitario italiano, grazie alle esperienze e alle evolute misure di prevenzione del contagio acquisite in epidemie di Ebola, morbillo o colera.

Al centro del nostro lavoro c’è l’energia dei nostri pazienti, la gioia di ogni guarigione” conclude Claudia Lodesani, presidente di Medici Senza Frontiere Italia, alla fine del panel dedicato all’azione umanitaria. “Dedicheremo il nostro anniversario alle crisi ancora in corso e alle popolazioni dimenticate, lontane dai riflettori e spesso difficili da raggiungere, a cui con l’aiuto di tutti, oltre gli ostacoli e l’indifferenza, continueremo a portare le nostre cure“.