Se i delfini venissero in aiuto: intervista a Erri De Luca

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Nel 2017, lo scrittore Erri De Luca ha trascorso due settimane a bordo della Prudence, la nave di Medici senza frontiere che operava nel Mediterraneo attraverso attività di ricerca e soccorso. Da questa esperienza è nato Se i delfini venissero in aiuto, il diario di bordo in cui lo scrittore unisce riflessioni personali a testimonianze dirette dell’operato dei soccorritori. 

Da anni in Italia il fenomeno migratorio è descritto in termini di “problema da risolvere” o di “emergenza”. Tuttavia, dopo i picchi tra il 2014 e il 2016,  il flusso degli sbarchi sulle coste italiane è tornato a valori vicini alla media storica, con abituali aumenti durante l’estate. Proprio in questi giorni, l’hotspot di Lampedusa è arrivato ad accogliere più di 1700 persone a fronte di una capienza massima di 350.

Nel dibattito politico attuale, reso più acceso dalla campagna elettorale che si concluderà con il voto del 25 settembre, si è  discusso ancora del fenomeno migratorio negli soliti termini: difesa dei confini, rimpatri, invasione, contrasto alle attività delle ONG e blocco delle partenze. È il lessico cui siamo abituati da anni di pessima gestione dei flussi migratori e di dibattiti svilenti fatti di slogan e non di soluzioni concrete. Soprattutto, ci troviamo di fronte a una discussione che mette al centro gli interessi di tutti tranne quelli dei diretti interessati. Manca una parola nel lessico dell’esclusione, che metaforicamente vorrebbe ergere un muro tra il qui e il là, tra il noi e il loro.

La parola è “umanità”.  

Tra meno di un mese, il 3 ottobre, a Lampedusa si terranno le celebrazioni della Giornata della Memoria e dell’Accoglienza. 

Il 3 ottobre 2013 a largo di Lampedusa morirono 368 persone, i superstiti furono 155. Dopo la tragedia, il governo italiano autorizzò l’operazione Mare nostrum con lo scopo di evitare che eventi simili potessero ripetersi. L’operazione è stata sostituita nel 2014 dalla Triton di Frontex, l’agenzia europea di controllo delle frontiere, e nuovamente nel 2018 da Themis, attualmente in corso.

Sul tema dei fenomeni migratori abbiamo intervistato Erri De Luca, per approfondire il racconto della sua esperienza a bordo della Prudence e chiedere la sua opinione riguardo agli eventi più recenti.

Nel suo racconto Se i delfini venissero in aiuto lei sveste la persona migrante dalle etichette politiche che le vengono spesso attribuite. Afferma infatti che a bordo della nave Prudence non esistano migranti ma ospiti. Spesso nel dibattito pubblico si tende a parlare delle persone migranti in termini di “risorse”. Cosa c’è di sbagliato e di dannoso in questa narrazione?

Non giudico il giusto e lo sbagliato. Su una nave di soccorso in mare i salvati da un naufragio sono ospiti. A terra sono esuli che cercano un posto dove fermarsi. Se trovano lavoro si fermano, altrimenti proseguono oltre. I flussi migratori appartengono alla storia dell’umanità dalle più remote epoche agli ultimi millenni.

Qual è secondo lei, se c’è, un modo per proporre una narrazione alternativa che produca non solo una corretta informazione ma anche una sorta di educazione ai temi migratori e umanitari? 

Viene spesso ricordato che anche noi siamo stati emigranti e con grandi numeri. Questo promemoria per me è inefficiente, non produce vicinanza né immedesimazione. A me però spiega un’altra cosa: come emigranti noi siamo stati osteggiati, respinti, insultati, aggrediti. Abbiamo subìto forme micidiali di razzismo. Eppure, non siamo tornati indietro, ma abbiamo resistito e nel giro di una o due generazioni abbiamo attecchito su quel suolo difficile e ostile. Questo spiega a me che le ragioni di chi emigra in un altro Paese sono più forti delle ragioni di chi li vuole respingere. Nessuna ostilità, discriminazione o misura di sbarramento ha il potere di scoraggiare i flussi migratori della specie umana.

Spesso si è sentito parlare di migrazione in termini di emergenza. Il lessico utilizzato da un certo modello di giornalismo e di politica ha influenzato l’opinione pubblica. In che modo sarebbe possibile contrastare questa narrazione basata su una certa paura e che crea allarmismo? Quali strumenti si dovrebbero adottare per rendere temi come l’accoglienza e l’integrazione più rilevanti all’interno del dibattito sul tema migratorio?

I nostri poteri sono riusciti a usare il termine “emergenza” anche per la raccolta dei rifiuti. Ogni volta che ricorrono a questo termine dimostrano la loro incapacità di disbrigo di pratiche correnti. Chiamano emergenza la loro incompetenza. Non è emergenza neanche il terremoto che da noi è ciclico e micidiale solo per la mancata prevenzione antisismica. Lo strumento per regolare i flussi esiste e funziona: canali umanitari, regolari e organizzati prima nei territori di raccolta profughi.

Diverso è il discorso per i permessi di lavoro che sono pochi rispetto alla richiesta di ogni settore dell’economia.

Il Mediterraneo è diventato in questi anni un grande cimitero di persone delle quali spesso non conosciamo né volti né nomi. Penso alla storia del ragazzo del Mali morto in seguito a un naufragio che aveva con sé la pagella scolastica, ad Alan Kurdi e a tanti bambini e persone con il loro stesso destino. Le vorrei chiedere se pensa sarà fatta giustizia e in che modo.

“Cimitero” è una parola gentile, allude a un posto con sepolture, con nomi e date di nascita e di morte. Il Mediterraneo invece è stato  adibito a fossa comune dai governi che, con apposite leggi e accordi. hanno istigato alle omissioni di soccorso. Si tratta di crimini di guerra in tempo di pace. Giustizia sarà il riconoscimento delle infamie praticate. Lo compilerà con nome e cognomi dei responsabili la generazione seguente.

Nel suo libro lei scrive: “La nave aiuta il mare a fare il suo servizio di trasporto delle civiltà” ma aggiunge anche che i migranti non riceveranno un’accoglienza migliore rispetto a quella ricevuta a bordo della Prudence. A un certo punto quindi la catena si spezza: qual è l’anello di congiunzione che non tiene? Siamo a conoscenza di casi in cui i migranti passano dai campi di prigionia libici all’Italia, dove vivono e sono ridotti in schiavitù oppure vengono trattenuti nei CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri). Perché questo accade? Che spiegazione si è dato?

I governi cercano di intralciare gli spostamenti dei profughi, via mare come via terra, contravvenendo a leggi e trattati internazionali. Gli effetti sono squallidi e micidiali, oltre che inutili a impedire gli stessi spostamenti. Le ragioni riguardano la gestione a giornata – non a lungo raggio – dei flussi migratori.

Lei utilizza la metafora della cristianità quando parla di migrazione. In Se i delfini venissero in aiuto riporta un verso dal Vangelo secondo Matteo: “Venite con me, vi farò pescatori di uomini”. Le ONG, specialmente quelle che si servono di navi come la Prudence per soccorrere i migranti, in mare seguono alla lettera questo precetto ed  entrano spesso in contrasto con i governi che non seguono precetti esclusivamente umanitari in termini di accoglienza. Nel libro dice che le ONG non prendono fondi dall’Unione europea e che non piacciono a Frontex. C’è quindi una frattura tra questi due attori, ma lei crede che una conciliazione tra i governi e le ONG sia auspicabile e possibile?

Trovare accordi no, sarebbe come delegare a organismi non governativi la gestione dei soccorsi, ma almeno non regredire a misure illegali di favoreggiamento di naufragi.

Nel corso dell’ultimo anno abbiamo assistito a delle vere e proprie crisi migratorie: gli afghani in fuga da Kabul, il braccio di ferro sulla pelle delle persone al confine tra Bielorussia e Polonia, ora l’esodo dei cittadini ucraini. Nel suo libro scrive che spesso le persone migranti vengono “afferrate al volo da un miracolo” e questa frase mi fa pensare all’immagine-simbolo del piccolo Sohail, scattata all’aeroporto di Kabul. Sembra di essere ancora, dopo anni, di fronte a una situazione in cui la distinzione più calzante è tra “sommersi e salvati”. Spesso si parla di fortuna, di nascere dalla parte giusta del mondo. Lei cosa pensa di questa narrazione e che idea si è fatto delle crisi più recenti? 

L’invasione dell’Ucraina ha fatto reagire sia l’Europa dei popoli che si è spalancata all’accoglienza e sia l’Europa degli Stati che si è impegnata a sostegno della nazione invasa. La prontezza di riflessi e di capacità di accoglienza dimostrano che le crisi di spostamento di masse profughe sono gestibili dall’Europa. Noi, abitanti di questo continente antico che è riuscito a bandire la guerra tra i suoi Stati membri, abbiamo un dovere di civiltà.

CREDIT FOTO: ERRI DE LUCA / FACEBOOK