Haiti, una crisi che viene da lontano / seconda parte

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Qui la prima parte

L’assassinio di Moïse

Il 7 luglio scorso, il Presidente Jovenel Moïse fu ucciso nella sua residenza da un gruppo armato. Moïse aveva appena nominato un nuovo primo ministro, Ariel Henry, ma alla sua morte fu il primo ministro in carica, Claude Joseph, ad assumere il controllo del Paese e a proclamare lo “stato d’emergenza” per due settimane. L’omicidio ha causato nuovi, violenti scontri tra le forze di polizia e alcune persone accusate di aver ucciso il Presidente: nei momenti che seguirono la notizia dell’assassinio, quattro persone furono uccise e altre due arrestate. Nel giro di pochi giorni, la polizia arrestò 17 persone, 15 colombiani e 2 statunitensi di origine haitiana.

L’11 luglio, il capo della polizia haitiana, Léon Charles, ha annunciato di aver arrestato uno dei presunti organizzatori dell’omicidio del Presidente, Christian Emmanuel Sanon. Secondo la polizia, Sanon voleva prendere il posto di Moïse estromettendolo con un colpo di Stato. Come dichiarato dalla polizia, Sanon è stato il primo a ricevere una telefonata da parte di alcuni tra gli assalitori subito dopo l’uccisione di Moïse. Oltre a questo, la polizia ha detto di essere in possesso di elementi che provano che Sanon fosse in contatto con le due persone considerate le menti dell’assalto all’abitazione del Presidente.

Nella lista dei sospettati compare anche il nome di Henry. È del 14 settembre scorso la notizia della richiesta fatta a un giudice dal procuratore di Port-au-Prince, Bed-Ford Claude, per far incriminare Henry, accusato di essere coinvolto nell’omicidio di Moïse. Le prove sarebbero alcune conversazioni telefoniche tra Henry e Joseph Badio, anche lui tra i principali sospettati. Queste telefonate sarebbero avvenute proprio il 7 luglio e mentre Badio si trovava nei pressi della residenza presidenziale. Il 15 settembre scorso, Henry ha fatto destituire e poi sostituito Bed-Ford Claude.

Mentre gli arresti e le violenze nelle strade continuavano, i principali esponenti politici si scontravano per decidere a chi spettasse la carica di Presidente. La successione legittima, in caso di morte del Presidente, spetterebbe al Presidente della Corte Suprema, in questo caso morto di COVID-19 prima di Moïse e mai sostituito. Ariel Henry rivendicava per sé la carica di Presidente in quanto sosteneva di essere il primo ministro legittimo a differenza di Claude Joseph. Intanto, il Senato aveva eletto Presidente Joseph Lambert, già presidente del Senato. Lambert e gli altri senatori accusavano Claude Joseph di aver preso il potere con un colpo di Stato. Tuttavia, anche l’elezione di Lambert non era del tutto legittima: il Senato era composto da pochissimi membri rispetto a quelli previsti poiché la maggior parte dei senatori aveva terminato il proprio mandato da più di un anno e l’assemblea non era stata più rinnovata. Claude Joseph decise poi di dimettersi in favore di Ariel Henry, tuttora Presidente ad interim.

Un’inchiesta della giornalista Maria Abi-Habib pubblicata di recente su The New York Times ha rivelato che nei mesi precedenti la sua morte, Moïse aveva iniziato a compilare una lista di potenti uomini di Haiti, tra cui anche politici, coinvolti in un traffico di droga. Per questo motivo sarebbe ammissibile credere che gli uccisori del Presidente volessero trovare proprio questa lista.

Il potere passa nelle mani dei gruppi criminali 

L’assenza di istituzioni politiche stabili e la sempre più grave crisi umanitaria del Paese hanno rafforzato le già potenti bande criminali presenti ad Haiti da anni e che ora controllano porzioni di territorio sempre più estese. La connivenza tra questi gruppi armati e i principali esponenti politici è sempre esistita ad Haiti ma è diventata più solida durante la presidenza di Moïse: spesso i politici si sono serviti delle bande per controllare l’andamento delle elezioni, come si sospetta abbia fatto Aristide; o per reprimere il malcontento della popolazione che spesso era impegnata in proteste antigovernative, questo soprattutto durante l’amministrazione Moïse.

Nell’ultimo periodo, complice anche il vuoto di potere che si è aperto in modo critico alla morte del Presidente, è aumentato il numero dei rapimenti per mano dalle bande criminali. Lo scorso ottobre, il gruppo chiamato 400 Mawozo ha rapito 16 missionari statunitensi e uno canadese dell’organizzazione Christian Aid Ministries mentre si dirigevano verso l’aeroporto di Port-au-Prince. Lo scorso 22 novembre, la stessa organizzazione ha annunciato la liberazione di 2 dei missionari rapiti, senza aggiungere nessuna informazione specifica. Altri 3 ostaggi sono stati rilasciati il 6 dicembre scorso e anche in questo caso l’organizzazione non ha comunicato i nomi dei rilasciati né il motivo della loro liberazione. I rimanenti 12 missionari sono stati rilasciati il 16 dicembre.

Attualmente, le bande si stanno allontanando dalle alleanze e dai rapporti con gli esponenti politici, si stanno quindi rendendo più autonome e hanno iniziato a creare coalizioni tra loro. La più famosa e potente è quella chiamata G9 an fanmi, che comprende 9 delle circa 160 bande attive nel paese. Il capo di questa organizzazione, fondata a giugno 2020, è l’ex poliziotto Jimmy Chérizier, detto Barbecue.

Le bande, pur essendo riunite in coalizioni, restano economicamente indipendenti l’una dall’altra, come rende noto anche l’inchiesta di Insight crime. Ogni gruppo si sostiene  economicamente secondo i mezzi che ritiene più proficui: il principale mezzo è il rapimento di persone di ogni provenienza (si contano 949 rapimenti avvenuti da gennaio alla prima metà di ottobre 2021); altri mezzi sono il controllo, o meglio il blocco, delle strade e dei porti, nonché l’estorsione di somme di denaro ai proprietari di attività commerciali o agli autisti. Sono soprattutto queste restrizioni a creare un gravissimo disagio alla popolazione: l’impossibilità di circolare liberamente impedisce l’accesso alle strutture come scuole e ospedali, il blocco delle strade invece fa sì che beni primari come cibo e acqua non arrivino affatto in alcune zone del Paese dove le persone, soprattutto bambini, sono condannate alla fame.

Un altro grave problema di Haiti, strettamente correlato con la corruzione degli ultimi governi, è la carenza di carburante che ha conseguenze dirette anche sul funzionamento degli ospedali e quindi sul tenore generale di vita degli haitiani. Da anni il prezzo del carburante aveva iniziato a subire delle maggiorazioni che lo hanno reso sempre di più un bene prezioso. All’interno di questo contesto si può inserire la tragedia avvenuta a Cap-Haïtien lo scorso lunedì, 13 dicembre, quando un’autocisterna si è ribaltata iniziando a perdere carburante. Alcune persone hanno iniziato a raccogliere il carburante in contenitori e secchi quando si è verificata una forte esplosione che ha provocato la morte di circa 90 persone. Il numero delle vittime potrebbe salire dal momento che gli ospedali haitiani non sono pronti ad assistere un numero così elevato di persone coinvolte nell’incidente e di feriti.

Che fine hanno fatto le elezioni di novembre?

Le nuove elezioni presidenziali erano previste a settembre di quest’anno e si sarebbero tenute insieme al Referendum per la riforma della Costituzione indetto già da Moïse.  Successivamente, le elezioni erano state rinviate al 7 novembre ma a ottobre Henry ha annunciato un accordo tra circa 550 partiti e organizzazioni della società civile che ha come obiettivo quello di approvare una nuova Costituzione e di uscire dalla crisi al più presto. Henry ha dichiarato al Washington Post che “il suo lavoro è quello di tirarsi fuori dal suo lavoro attuale” eleggendo il prima possibile un Presidente. Il 24 novembre scorso, Henry ha nominato un nuovo governo, sostituendo alcuni ministri, tra cui anche Claude Joseph, al fine di stabilizzare la situazione politica di Haiti e permettere lo svolgimento di elezioni democratiche nel 2022. In effetti, al momento sarebbe impossibile votare in un Paese come Haiti dove l’affluenza alle urne è tendenzialmente bassa e dove gran parte della popolazione sarebbe impossibilitata a esercitare il proprio diritto di voto anche a causa della situazione di insicurezza causata dalle azioni delle bande criminali.