L’Africa, la principale vittima dell’ingiustizia climatica

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Il tema della Giustizia Climatica è emerso nei discorsi politici internazionali per la prima volta nel 2000. Fino a quel momento, il cambiamento climatico era percepito solo come un fattore che avrebbe avuto un impatto sull’ambiente e sulla natura, e non come una questione etica e politica.

Durante il primo vertice sulla Giustizia Climatica, svoltosi all’Aja in concomitanza con la Sesta Conferenza delle Parti (COP 6), per la prima volta si afferma che il cambiamento climatico avrà un impatto sui diritti e sulle società e che è necessario intraprendere alleanze politiche per mitigarlo.

Ma perché si parla di giustizia?

Paradossalmente, i paesi più colpiti da catastrofi ambientali dovute ai cambiamenti climatici sono quelli in via di sviluppo, mentre il riscaldamento globale è causato principalmente dalle nazioni industrializzate.

L’esempio più evidente è quello dell’Africa: secondo il Climate Change Vulnerability Index, su 33 regioni nel mondo che presentano un rischio estremo a causa dei cambiamenti climatici 27 sono in Africa. Eppure, leggendo i dati dell’Atlante Mondiale del Carbonio, l’intero continente africano contribuisce solo con il 4% alle emissioni di gas serra.  Basti pensare che l’America, il secondo paese per emissioni al mondo, ha su tutto il suo territorio un indice di vulnerabilità bassissimo.

È quindi necessario mitigare l’impatto antropico sull’ambiente non solo per noi stessi, per il nostro futuro e per i nostri figli, ma anche per giustizia verso chi pagherà maggiormente le conseguenze della nostra indifferenza.

La vulnerabilità dell’Africa

Così come in tutto il mondo, nel futuro l’aumento delle temperature aggraverà i problemi già esistenti nei diversi paesi e la loro vulnerabilità.

Sebbene numerosi dati scientifici evidenzino le conseguenze future devastanti dovute al surriscaldamento globale nel continente, l’Africa non sta facendo niente per prepararsi.

Secondo una ricerca condotta dal Climate and Develpment Knowledge Network (CDKN), i governi e le imprese in tutta l’Africa subsahariana non riescono a prendere in considerazione le informazioni sulle minacce climatiche nei loro investimenti e decisioni di pianificazione a lungo termine, mettendo a rischio le società future e rendendole ancora più vulnerabili.

Basti pensare che anche in Europa o in America i politici hanno sempre cercato di evitare provvedimenti per diminuire le emissioni che però non avrebbero avuto riscontro nel breve termine, portando avanti politiche volte all’aumento dei consensi con risultati visibili nell’immediato.

Non c’è da stupirsi quindi se i governi africani, in questo momento, mostrano di avere altre priorità, come eliminare la povertà, promuovere l’accesso all’istruzione e aumentare la ricchezza interna nazionale, piani di azione con orizzonti temporalmente limitati.

Un altro problema del continente è che c’è poca comunicazione tra i produttori (gli scienziati) e gli utilizzatori (i politici) delle informazioni sul clima, il che crea un immobilismo di azione. I paesi africani sono poco coinvolti nelle decisioni relative allo sviluppo di nuove banche dati e nuovi modelli, poiché l’accesso alle informazioni non è garantito a livello comunitario, e dipende interamente da Paesi al di fuori dell’Africa. Questa poca comunicazione non permette una pianificazione e una previsione di futuri eventi meteorologici estremi.

Le conseguenze del Climate Change però si stanno presentando in una maniera sempre più massiccia: secondo il rapporto di Greenpeace “Weathering the Storm – Extreme weather events and climate change in Africa, «l’intensificarsi di eventi meteorologici sempre più devastanti in molte zone dell’Africa sta minacciando gravemente la salute umana, la sicurezza alimentare, la pace e la biodiversità del continente». Il rapporto esplora inoltre il legame tra eventi meteorologici estremi e cambiamenti climatici in Africa, dimostrando che le temperature medie future nel continente aumenteranno a un ritmo più veloce della media globale, superando i 2 gradi centigradi entro metà secolo, per ricadere nell’intervallo da 3 a 6 gradi centigradi entro la fine del secolo.

Quali saranno nel concreto gli impatti del cambiamento climatico?

Disastri naturali: inondazioni e siccità
Negli ultimi 25 anni il numero di disastri ambientali dovuti alle condizioni atmosferiche è raddoppiato, e il risultato è che l’Africa ha un indice di mortalità altissimo a causa di questi fenomeni.
Le inondazioni sono oramai all’ordine del giorno in Africa centro-orientale, come è possibile verificare sul sito Floodlist, mentre molte zone in Africa australe sono alle prese con la peggiore siccità degli ultimi 35 anni.
Entrambi i fenomeni causano perdite di proprietà, colture e bestiame, aggravando condizioni di vita già compromesse da ricorrenti violenze e conflitti.

Impatto sulle risorse idriche
Strettamente collegato alla siccità estrema in Africa australe, c’è il discorso delle forniture d’acqua. Le temperature nell’area negli ultimi anni hanno toccato i 51°C, causando una vera e propria emergenza idrica, che minaccia anche settori economici vitali per alcuni di questi Paesi, come il turismo e la produzione di energia idroelettrica.
Anche nell’Area saheliana la situazione non è migliore: la superficie del lago Ciad, il quarto bacino di acqua dolce più grande dell’Africa, negli ultimi 40 anni si è ridotta del 90%.
Una diminuzione di risorse idriche comprometterebbe anche l’approvvigionamento di cibo: ad esempio il Mali è totalmente dipendente dal fiume Niger, usato per i trasporti, come fonte di cibo e come risorsa di acqua. Ma anche questo fiume è in grave pericolo a causa dell’insabbiamento del suo letto.
Nella parte orientale dell’Africa invece il cambiamento climatico sta causando una grandissima crisi nella regione del Kilimangiaro: l’unico ghiacciaio perenne del Paese si sta sciogliendo, e secondo le previsioni sparirà entro un paio di decenni. Il suo scioglimento avrà un grandissimo impatto sui maggiori fiumi della Tanzania e un aumento negli incendi nella regione, diminuendo le fonti di cibo e di materiali da costruzione per gli abitanti ad oggi disponibili.

Impatti sull’agricoltura e sull’approvvigionamento di cibo
Quando si parla di Food Security in Africa, si deve tenere conto che il problema non è la disponibilità dei prodotti agricoli, ma l’accesso al cibo. Per questo la maggior parte di progetti efficienti di Cooperazione allo Sviluppo nel Paese mirano a potenziare l’agricoltura e l’allevamento su piccola scala.
Se però alle condizioni strutturali che contribuiscono all’insicurezza alimentare in alcune zone del paese, aggiungiamo l’effetto dei cambiamenti climatici, la situazione diventa drastica.
Oltre alla siccità e alle inondazioni, nel 2020 il Corno d’Africa ha sperimentato la peggiore infestazione di locuste del deserto degli ultimi 25 anni, con un grave impatto negativo sulla sicurezza alimentare delle famiglie. Anche questo fenomeno, secondo gli esperti, è stato causato dalle condizioni metereologiche insolite degli ultimi anni.
Insomma, le previsioni avvertono che nei prossimi decenni ci sarà una riduzione del 50% della produzione agricola dipendente dalla pioggia nel paese (centinaia di milioni di persone dipendono dalle piogge per coltivare il proprio cibo), e ciò si traduce con il 50% in più della popolazione esposta al rischio di sotto nutrizione.

Impatti sulla salute umana 
Con la recente pandemia di COVID, ci siamo resi conto come sia impossibile prevenire o evitare un contagio senza i mezzi di protezione e un’adeguata igiene personale. Per questo, con un’insicurezza maggiore dovuta alla scarsità d’acqua, il proliferarsi di malattie comprometterebbe la sicurezza di alcuni Paesi.
È attualmente riconosciuto inoltre che il riscaldamento globale aumenta le concentrazioni di inquinanti nell’aria e nell’acqua, e ha effetti sulla stagionalità di alcune malattie epidemiche.
In aggiunta, quando le temperature e l’umidità sono più elevate, le zanzare si nutrono più frequentemente e si riproducono maggiormente, con un aumento delle malattie ad essa connesse (malaria, dengue, febbre gialla, virus Zika).
Bombe d’acqua e inondazioni potrebbero anche compromettere la qualità dell’acqua negli impianti idrici, diffondendo maggiormente il colera.

Impatti sugli ecosistemi e sulla biodiversità
Il cambiamento climatico ha già portato a mutamenti negli ecosistemi marini e d’acqua dolce nell’Africa orientale e negli ecosistemi terrestri in Africa occidentale.
Gli eventi meteorologici estremi hanno dimostrato la vulnerabilità di alcuni degli ecosistemi del Sud Africa, in cui in tutti gli scenari di modellazione climatica previsti, oltre 100 specie animali e 2000 specie vegetali si estingueranno a causa del climate change.
Inoltre, il riscaldamento globale rischia di alterare gli equilibri ecologici anche nel Bacino del Congo, compromettendo il futuro delle foreste ricchissime di biodiversità denominate “il Cuore Verde dell’Africa”.

Impatti sulla sicurezza nazionale
Le conseguenze dei cambiamenti climatici aggraveranno le questioni di sicurezza nazionale e il numero di conflitti internazionali. Gli Stati, le regioni e i villaggi si contenderanno l’uso di risorse naturali già limitate, prima fra tutte l’accesso a terreni coltivabili e a fonti di acqua.
Infatti, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, l’accesso all’acqua potrebbe essere la principale causa di conflitti e guerre in Africa nei prossimi 25 anni, ed è molto probabile che tali guerre avvengano in Paesi in cui fiumi o laghi sono condivisi da più regioni.
Conseguenze delle manifestazioni meteo più violente del cambiamento climatico (inondazioni, innalzamento dei mari, dissesto idrogeologico) possono acuire migrazioni e conflitti che, a loro volta, sono vettori di epidemie, e aumentano la diffusione dei virus anche in aree tipicamente estranee alla penetrazione di certe malattie.

Non possiamo dire «aiutiamoli a casa loro» se nel frattempo stiamo distruggendo la loro casa
Melita Steele, direttrice del programma di Greenpeace Africa, dichiara che «La scienza ci dimostra che c’è ben poco di naturale nei disastri che colpiscono il nostro continente. Una crisi causata dal genere umano richiede soluzioni attuate dal genere umano. L’Africa è la culla dell’umanità e dovrà essere la culla dell’azione climatica per il nostro futuro. La salute, la sicurezza, la pace e la giustizia non si otterranno solo con le preghiere e i sacchi di riso e mais consegnati all’indomani di un disastro. I leader africani devono dichiarare l’emergenza climatica per preservare il nostro futuro collettivo».

Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, entro il 2050 i migranti climatici potrebbero essere 200 milioni, un numero esorbitante che supererebbe addirittura il numero attuale di persone sfollate sul pianeta.
Eppure, secondo la Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo relativo allo status di rifugiato del 1967, non esiste lo status di rifugiato climatico, e nel futuro sarà molto difficile definirlo legalmente. Per cui a oggi chi scappa a causa degli effetti del cambiamento climatico è considerato un migrante, e non gode quindi delle specifiche misure di protezione stabilite dal diritto internazionale.
In poche parole non ha il diritto di asilo e ospitalità negli stessi Stati che hanno causato il disastro da cui scappa.
Questa è quella che viene definita ingiustizia climatica.