Foto di alberi caduti

Il Greenwashing e le non-soluzioni

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Il greenwashing: una forma di marketing che ci fa perdere la fiducia nell’umanità.

Che cos’è il greenwashing? Negli ultimi anni abbiamo visto un’infinità di post sponsorizzati su Instagram, i pre-roll di 6 secondi su Youtube e a volte anche sotto forma di cartellone pubblicitario, di varie aziende che dicono di essere inclusivi e di “fare del bene all’ambiente.”
Alcune delle frasi che ascoltiamo più frequentemente sono sulla percentuale di plastica riciclata per quella bottiglia, oppure un packaging che rispetti l’ambiente e altre frasi simili.

Questo, è il greenwashing: dopo anni di notevole impatto ambientale, le aziende, nella comunicazione, si sono improvvisamente preoccupate del pianeta terra e di madre natura.  

In questo articolo, troverete due esempi di greenwashing e una sotto categoria: lo sportswashing

La comunicazione di Volvo.

Quando pensiamo al marchio svedese, pensiamo ai Tir in autostrada e agli autobus, principalmente. In Italia sono poche, ma in città possiamo trovare anche berline, familiari e SUV della casa svedese.

Quando si parla di Volvo, penso automaticamente a questo spot pubblicitario riguardo alla sicurezza sulla strada.

Volvo è un’azienda che si è sempre impegnata nella costruzione di auto sicure per affrontare le difficili condizioni stradali svedesi.

Però da qualche settimana ormai, penso a questo spot, altrettanto meraviglioso.

Perché Volvo Cars ha deciso di passare ai sistemi di propulsione elettrica?

“La nostra ricerca nel settore dei sistemi di propulsione elettrici va avanti dagli anni Settanta.”

Nell’era del cambiamento, nell’era nella quale, pandemia premettendo, si incoraggia l’uso dei mezzi di trasporto pubblici (è praticamente citato in tutti i PNRR, o Recovery Fund, una voce riguardo la sostenibilità ambientale e infrastrutture) possiamo leggere quanto Volvo abbia cercato dal 2019 di segnare un prima e dopo, nonostante, come si legge sul sito, lavorino sulla propulsione elettrica dagli anni ‘70. 

Una parte del sito di Volvocars.com

Ritengo la comunicazione di Volvo interessate perché, nonostante siano comunque la seconda casa produttrice di autocarri pesanti nel mondo, non si fa un chiaro riferimento alla storia e al prestigio dell’azienda.
Piuttosto, ci si concentra sulla sicurezza e soprattutto sul futuro.
Il presente è soltanto un fatto di cronaca.

Ineos e lo sport

Se il calcio svizzero o francese è una vostra passione, o lo è il calcio francese, potreste aver visto sulla maglia del Losanna dal 2017 o del Nizza dal 2019 il logo di Ineos.

Oppure, se avete visto l’impresa del keniano Eliud Kipchoge a Vienna, con una maratona conclusa sotto le 2 ore, avrete visto sulla pettorina la scritta Ineos

Quello che un tempo nel ciclismo era il Team Sky (la squadra che ha dominato più di tutti nello scorso decennio il Tour de France), è diventato Team Ineos

Dalla scorsa stagione la livrea della Mercedes in Formula 1 è segnata da una striscia rossa: quella di Ineos

E per concludere, quest’anno abbiamo visto nella Prada Cup la barca a vela Team UK, contrassegnata dal logo Ineos.

Questo è lo sportswashing: un’azienda petrolchimica, una delle più grandi al mondo, che ha cominciato a investire nello sport per essere associata apparentemente ad attività fisiche e che siano, in parte, ecologicamente sostenibili. 

Qui un approfondimento su Ineos de ilPost

Mastercard e l’ambiente.

Quando si parla di finanza è difficile puntare direttamente il dito. Perché, semplificando tantissimo, apparentemente le banche consumano elettricità per le varie mansioni e poco altro. 
Le funzioni delle banche, però, sono spesso vitali per le varie attività petrolifere sparse nel mondo. Inoltre, in un dibattito etico-morale, l’argomento banche arriverà il 99% delle volte.

Non si conoscono attualmente dei dati precisi riguardo l’impatto ambientale di Mastercard, ma volente o nolente, possiamo associare ad essa pressoché il 50% delle banche nel mondo (25 mila, per la precisione. VISA rappresenta 21 mila istituti finanziari ndr.), in quanto circuito. 

E da qui si possono leggere dei dati impressionanti, legati soltanto all’ambito italiano, nel rapporto datato aprile 2020 della “Finanza fossile” da Re:Common e Greenpeace.

La finanza italiana è il terzo fattore di emissioni di CO2 del Paese.
[…] banche, assicurazioni e investitori italiani attraverso i loro finanziamenti all’industria fossile nel solo 2019 hanno causato l’emissione di 90 milioni di tonnellate di CO2

Per approfondire, clicca qui.

Ciò che ha annunciato Mastercard, lo si può leggere nel post pubblicato sulla nostra nuova pagina Instagram. 

https://www.instagram.com/p/COLPm4ernlX/

Quindi, oltre alla lodevole iniziativa del tracciamento del carbon footprint per ogni acquisto, si comincerà a compensare con la piantagione di alberi.

Ma piantare alberi in continuazione, è la soluzione definitiva?

Abbiamo visto negli ultimi anni numerose campagne che mirano a “salvare la terra” attraverso una piantagione di alberi di massa. A Firenze, nel 2010, nasceva Treedom. Si occupano di piantare alberi a distanza e almeno una volta sui social network, ne abbiamo sentito parlare: anche da personaggi pubblici che non sono specializzati nei temi ambientali. 

Nel panorama mondiale, forse il movimento di massa più celebre è questo: 

Un progetto cominciato nel 2019: 20 milioni da piantare (ad oggi, con le donazioni si è arrivati a quasi 23 milioni).
Al momento, sono stati piantati 8 milioni di alberi, in giro per il mondo. 

Ritornando alla domanda: piantare più alberi possibili nel minor tempo, può essere la strategia definitiva per combattere la crisi climatica?
The Conversation, nel lungo periodo, dice di no.

“But the fact is that there aren’t enough trees to offset society’s carbon emissions – and there never will be. […] If we absolutely maximised the amount of vegetation […], we’d sequester enough carbon to offset about ten years of greenhouse gas emissions at current rates.

In sintesi, anche se si dovesse raggiungere l’ipotetico obiettivo, si parlerebbe di un “benessere” che durerà soltanto dieci anni. Dopodiché, gli alberi non saranno in grado di raggiungere livelli più alti di assorbimento di CO2.
Questo perché, semplificando tantissimo, gli alberi si nutrono anche di nitrogeno e fosforo, proporzionalmente all’anidride carbonica (oltre all’acqua).

“To avoid environmental damage, we must refrain from establishing forests where they naturally don’t belong, avoid “perverse incentives” to cut down existing forest in order to plant new trees…”

Insomma, dobbiamo avere maggior cura degli alberi già presenti ed evitare di abbatterne (e quindi di piantarne in massa) di nuove. Inoltre, la piantagione di un albero non può essere svolta in un luogo qualsiasi “perché farà bene all’ambiente”. Ci sono alcune zone dove è predominante una tipologia di vegetazione e che quindi, nel lungo periodo, sarà soltanto di intralcio.

[…] viewing natural ecosystems as “climate solutions” gives the misleading impression that forests can function like an infinitely absorbent mop to clean up the ever increasing flood of human caused CO₂ emissions.

Foto di Valentina Ochner

Per concludere

Fa piacere leggere che diverse preferite dicano di voler essere ecosostenibili e raggiungere la carbon neutrality per il fatidico anno 2030.
Però, forse, magari, dovremmo cominciare anche a pensare un po’ più nel profondo il significato di quelle parole, capire perché comunichino in quel modo e quale tipo di guadagno vorrebbe ottenere.

Inoltre, c’è un altro argomento di cui non si è trattato, ovvero della net zero.
Togliere l’anidride carbonica è una sfida sin troppo grande ed è considerata una trappola e, sempre secondo The Conversation (è un altro articolo), non è stata e non sarà mai studiata per rimanere sotto l’1.5°C.

Quindi, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, ma questo mare è sempre più alto e sempre più vicino.

Paesaggio soleggiato senza alberi
Foto di copertina e questa di Valentina Ochner