Pensare sulla Luna per applicare sulla Terra: il progetto Loops-m

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Da sempre la voglia di conquistare lo spazio spinge l’uomo a trovare soluzioni che siano orientate il più possibile verso l’ottimizzazione dei sistemi e alla minimizzazione degli sprechi. Mandare qualsiasi oggetto nello spazio è costoso, per cui le risorse per la sopravvivenza devono essere ridotte al minimo e ottimizzate al massimo. Sulla Terra non sentiamo questa necessità e non siamo abituati all’ottimizzazione, per questo dovremmo prender spunto da idee e applicazioni dei progetti spaziali per ereditarli sulla Terra come stile di vita più sostenibile.

In un precedente articolo abbiamo già parlato del progetto ReBUS, portato avanti dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – ENEA e di come l’approvvigionamento dell’uomo sulla Luna richieda una serie di soluzioni tecnologiche e innovative.

Ma queste soluzioni, applicate sulla Terra, migliorerebbero il nostro stile di vita? E in che modo? L’abbiamo chiesto a studenti e dottorandi che stanno lavorando concretamente a un prototipo che aiuterebbe l’alimentazione degli astronauti nelle missioni Lunari: LOOPS-M, un progetto nato l’anno scorso grazie alla collaborazione tra ENEA e La Sapienza, prima coinvolgendo i ragazzi del CITERA Centro di Ricerca Interdipartimentale Territorio Edilizia Restauro Ambiente e poi gli studenti di Ingegneria Aerospaziale, insieme ai dottorandi che fanno ricerca in Enea.
Il progetto Loops-m si colloca all’interno di IGLUNA, una piattaforma digitale interdisciplinare nata per promuovere la collaborazione fra università europee e non, fungendo da luogo di incontro fra studenti per promuovere progetti pensati ad un futuro lancio verso la Luna. IGLUNA è stata lanciata dall’ European Space Agency nel 2016, all’interno dell’iniziativa ESA_Lab@ .

Mi parlate del progetto LOOPS-M? In cosa consiste?

Abbiamo creato un prototipo di serra lunare autonoma, concentrandoci su diversi aspetti tra loro collegati: l’anno scorso ci siamo focalizzati sullo sviluppo teorico dell’intero modello, grazie a degli studenti di architettura della Sapienza, che hanno creato la struttura della serra.
Il principale oggetto della serra è l’OrtCubo (HORT3 MKII), un modulo per la coltivazione idroponica verticale di microverdure, altamente efficiente e totalmente scollegato dall’ambiente esterno.
Le microverdure sono normali varianti ortofrutticole coltivate in uno stadio leggermente oltre a quello del germoglio. A questo stadio le piante contengono dalle 4 alle 40 volte una concentrazione maggiore dei fitonutrienti che normalmente avrebbero le piante alla dimensione normale. Si ha quindi una piantina piccola, con poco peso, ma altamente nutriente; 50/100g di queste piante in varietà diversa costituisce la razione giornaliera che una persona deve assumere per rimanere in uno stato di salute con vitamine e sali minerali.
La serra utilizza unicamente luci artificiali e a led, ed è completamente scollegata dall’esterno e non richiede l’uso di terreno.
Ci siamo anche concentrati sulla riproduzione di questa struttura in ambiente VR (realtà virtuale) per riprodurre tutte le attività di questa serra all’interno della realtà virtuale qui sulla Terra.
Quest’anno invece, grazie alla collaborazione degli studenti di ingegneria aerospaziale, ci siamo riproposti di concentrarci più su lato fisico della serra, creando una nuova versione dell’Ortcubo che sia più automatizzata in modo da ridurre il carico di lavoro che dovrebbe gravare sugli astronauti.
Abbiamo un gruppo che si occupa di Automazione, che ha progettato cassetti del modulo movibili, e la presenza di un robot – un braccio che sostituisce il lavoro dell’uomo.
Stiamo recuperando tutti i pezzi necessari attraverso degli sponsor, e una volta messe insieme le parti, bisognerà renderle operative attraverso un software che è ancora in corso di lavorazione.
Un’altra novità del progetto di quest’anno è la parte di bio conversione: in ambito spaziale si cerca di creare un ciclo di produzione chiuso, per utilizzare al meglio anche gli scarti, sempre per la questione di costi di spedizione nello spazio. Abbiamo quindi aggiunto al progetto un nuovo step, con un modulo ulteriore in cui sono contenuti degli insetti della specie Hermetia Illucens che si dovrebbero occupare di riciclare alcuni scarti che altrimenti verrebbero buttati. Pensiamo quindi a degli insetti molto piccoli, che saranno allevati in un modo completamente scollegato dall’ ambiente esterno, così come per le piantine. Inoltre, questi insetti potrebbero costituire una ottima fonte proteica per gli astronauti o, come già sperimentato, possono essere ridotti in farina per uso alimentare.
Abbiamo anche mantenuto la parte di realtà virtuale, ma solo dal punto di vista dell’esperienza, per poter far vedere qual è il progetto a lungo termine, insegnare come usare le coltivazioni e fare esperienza nel concreto di quello che succederà sulla Luna.
L’ultima innovazione sul lato progettuale è lo sviluppo di uno scudo che proteggerebbe la serra, e quindi il cibo, se dovessero cadere micro-meteoriti.

L’obiettivo di IGLUNA è stimolare gli studenti a creare idee che possano essere utilizzate per avvantaggiare l’uomo sulla Luna e migliorare la vita sulla Terra. Come pensate che il progetto LOOPS-M, applicato sulla Terra, possa migliorare la nostra vita?

Da sempre lo spazio spinge l’uomo a trovare soluzioni che siano il più orientate possibile verso l’ottimizzazione dei sistemi e quindi alla minimizzazione degli sprechi, cosa che sulla terra non viene applicato perché non ne sentiamo la necessità.
Lo spazio ce lo impone, e questo è un vantaggio dei progetti spaziali, perché poi da questi nascono tante idee e applicazioni che sulla Terra possiamo ereditare per uno stile di vita più sostenibile.
Il nostro progetto si fonda sull’idea dell’uso di poche risorse per ottenere un risultato che sia qualitativamente molto valido ed elevato, e sempre di più in futuro sarà necessario tentare di sfruttare il più possibile le poche risorse presenti anche in ambiente terrestre.
La produzione delle micro-verdure, e quindi l’uso della serra che stiamo progettando, fatta in ambienti estremamente puliti e senza contatti con l’esterno, può essere usate per persone immunodepresse, pazienti, persone inappetenti, poiché è cibo piccolo ma sostanzioso ed estremamente nutriente.
Inoltre, le microverdure possono essere coltivate ovunque perché non c’è bisogno di luce o di una determinata condizione dell’ambiente esterno, quindi possono anche essere coltivate in scantinati di case e ospedali. In questo modo chiunque avrebbe verdura fresca a km 0 super nutriente. Si limiterebbe il trasposto della verdura, ci sarebbe quindi meno inquinamento, non si dovrebbero usare pesticidi, e sarebbero incontaminate, grazie ad un sistema di filtri che purifica l’aria che ricevono.
In città lo spazio è sempre più ridotto, per cui sfruttare i garage o i tetti per una coltivazione sarebbe utile per tutti. La serra che stiamo progettando è larga 1mq circa e alta 2 m, con 5 piani di coltivazione; parliamo di piante molto piccole che possono essere coltivate ad alta densità, (da 1 a 4 semi per cm2) per cui ricaviamo da mezzo kg a 2 kg di verdure per vassoio.
Dal punto di vista di bioconversione, già esistono impianti che usano questi insetti per la riduzione dello scarto, che vengono usati per cibare animali di allevamento. Se poi lo scarto che si usa è di qualità, e quindi microverdure super nutrienti, si avrebbe un prodotto finale di qualità ancora più elevata.
A oggi viviamo in un contesto terrestre minato dal riscaldamento climatico e sempre più minacciato dall’erosione dei terreni e a causa dello sfruttamento del suolo. Queste tecnologie, che sono totalmente slegate dall’ambiente esterno, potranno permetterci anche in futuro coltivare in modo controllato varietà di cibo di altissima qualità, a km 0.

Quali sono i prossimi passi del vostro progetto?

Il progetto ci impone delle scadenze ben delineate. L’evento finale chiamato Field Campain si terrà a luglio in Svizzera e con questo si concluderà l’anno della durata del progetto. Miriamo ad arrivare a questo evento con un prototipo funzionante e testato. Il progetto sarà poi esposto in un’esibizione al museo dei trasporti svizzero, ma ad oggi pensiamo che si riuscirà solamente a far vedere delle immagini in time laps del ciclo di coltivazione delle microverdure, poiché il ciclo dura circa 15 giorni e quindi è un po’ difficile farlo vedere in diretta.
Dopo questo evento potremmo tentare di partecipare ad altri progetti di questo tipo, cercando di migliorare sempre di più alcune sezioni delle unità produttive.
È comunque un’esperienza che, anche se dura solo un anno, ti forma a tutto tondo. Siamo noi stessi che prendiamo decisioni, progettiamo, gestiamo i fondi, cerchiamo sponsor.
Negli anni precedenti da questi progetti sono nate anche delle vere e proprie Start Up.
Veniamo tutti da ambienti diversi, e il progetto è una novità ed un’esperienza di interdisciplinarità per tutti noi, ma non sappiamo se a lungo termine le nostre strade si divideranno o meno.