Il privilegio di fare l’università

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Il diritto allo studio in Italia non è garantito. O, almeno, non se sei uno studente universitario fuori sede.

Il diritto allo studio universitario, promosso dal Mur (Ministero dell’Università e della Ricerca), incentiva la possibilità di proseguire gli studi dopo il conseguimento del diploma di scuola secondaria di secondo grado anche per coloro che si trovano in una condizione economica svantaggiata. Quest’ultimi, se risultano idonei ai benefici, possono godere della gratuità dell’iscrizione (o di una parziale riduzione delle tasse universitarie) e di sostegni economici, che variano dall’erogazione di una borsa di studio all’assegnazione di un posto letto all’interno di una residenza universitaria.

In generale, sul diritto allo studio universitario si è legiferato molto. Si è parlato in lungo e in largo del miglioramento dell’accessibilità allo studio universitario, in un paese in cui la quota di persone con un titolo di studi terziario in età compresa tra 25 e 64 anni si attesta al 63%, a fronte della quota media europea che raggiunge, invece, il 79,5% (Rapporto Bes 2022, Istat).

Ma essere uno studente universitario fuori sede è davvero così semplice?

Negli ultimi anni, alcuni dei più grandi poli universitari hanno riscontrato incrementi del numero di iscritti tanto massicci da contribuire all’intensificazione della crisi abitativa che sta attualmente colpendo l’Italia. Soprattutto le grandi città metropolitane – Bologna, Roma e Milano per prime – si sono trovate completamente impreparate a gestire il continuo flusso di persone in entrata e la domanda crescente di stanze e appartamenti da affittare, a fronte di un’offerta praticamente immobile. Tutto ciò è ovviamente culminato in una imponente inflazione dei prezzi, che ha reso ancora più complicato potersi permettere un affitto.

Se la situazione è ardua per i lavoratori che decidono di trasferirsi in queste città, è ancora più drammatica per gli studenti universitari, i quali, il più delle volte, non hanno entrate su cui fare affidamento.

Questo apre allora due quadri differenti.

Da un lato, per i giovani universitari fuori sede che hanno il privilegio di avere famiglie ricche oppure non “sufficientemente povere” da ricevere i sussidi statali o regionali, la scelta è tra una stanza affittata da privati oppure uno studentato privato. In entrambi i casi, il caro affitti ha colpito così tanto da rendere i prezzi insostenibili anche per le classi più elevate.

Dall’altro, per gli studenti “abbastanza poveri” da soddisfare i requisiti per ricevere una borsa di studio e un posto letto in uno studentato pubblico, la questione si complica in altri modi. Infatti, all’interno di tali alloggi, vi sono spesso regole ferree, che rendono la permanenza poco piacevole e, talvolta, anche poco sopportabile: niente ospitalità notturne (o poche ogni mese, sempre su consenso scritto di tutti gli inquilini), sporadiche e non numerose ospitalità diurne, coprifuoco e impossibilità di accedere all’alloggio dopo un certo orario notturno. In più, i fondi per attuare operazioni di messa in sicurezza e ristrutturazione per tali locali non sono frequenti o ingenti, cosicché capita che, non di rado, gli studenti vivano in luoghi che cadono letteralmente a pezzi.

La lista continua e varia da struttura a struttura, ma sicuramente rende l’idea di quanto disagiante possa essere vivere in tali edifici, soprattutto per giovani studenti, magari appena trasferitisi dalla loro città natìa. In più, come una spada di Damocle, la minaccia di sottrazione di questi benefici è sempre incombente. Non rispettare le regole della propria residenza può infatti comportare la revoca del posto letto, così come non raggiungere il numero di CFU (crediti formativi universitari) prestabiliti può significare dover restituire l’intera somma di benefici ricevuta.

Tutto ciò influisce in maniera drasticamente negativa sul benessere psicologico degli studenti, forzati a completare gli studi a dei ritmi imposti da terzi e non sempre realistici, e spinti da un sistema che, nella loro povertà, vede l’ennesima opportunità di instillare la credenza che laurearsi in fretta sia un merito, oltre che una necessità.

Questa situazione preoccupante è stata rimarcata dalle svariate manifestazioni di protesta dilagate su tutto il territorio italiano. In particolare, la questione degli studentati privati è al centro delle polemiche, poiché è chiaro che essi contribuiscono a creare una chiusura negli ambienti universitari, causando, più o meno direttamente, una progressiva privatizzazione dell’istruzione universitaria e l’accentuazione del fenomeno classista. 

Un esempio calzante è l’Università di Bologna, i cui iscritti nell’anno accademico 2022/23 sono stati quasi 97 mila, di cui più di 50 mila fuori sede. Tuttavia, in una città in cui la dimensione universitaria è quella più attrattiva e remunerativa, i posti letto messi a disposizione da ER.GO (Azienda regionale per il Diritto agli Studi Superiori dell’Emilia Romagna) sono soltanto 1.757, mentre quelli messi a disposizione da enti privati – come Camplus, Social Hub e Beyoo – sono circa 3 mila.

A prescindere dal fatto che gli studentati privati ospitino quasi il doppio degli studenti che risiedono invece in strutture pubbliche, il totale di posti letto all’interno di residenze universitarie è all’incirca 5 mila, una quota di gran lunga insufficiente a garantire che gli studenti continuino a scegliere con tranquillità di studiare presso l’Alma Mater. Questo ha contribuito a creare un diffuso malcontento, che è scaturito in diversi cortei, proteste e occupazioni di luoghi universitari e amministrativi, nel tentativo di aprire dialoghi con i vertici della città e dell’università per trovare delle soluzioni efficaci e durature.

Dunque, nonostante il diritto all’istruzione superiore sia promosso da un’istituzione quale il Mur, ma anche dalla Costituzione italiana e dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, tutti i fattori sopracitati mostrano un’evidente disparità di accesso ad una formazione universitaria tra gli studenti ricchi e gli studenti non ricchi o poveri, evidenziando come, per molti versi, essa sia un privilegio di cui non tutti possono ancora godere liberamente.

Se è certo che tali sussidi sono utili e importanti, alla luce di quanto illustrato è anche chiaro che sono necessarie riforme mirate e celeri che migliorino questi istituti, con lo scopo di eliminare qualsiasi forma di discriminazione e incentivare sempre più un’istruzione superiore di qualità accessibile a tutti.