“Ti chiedo una cosa sola, studia”

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Tra le centinaia di lettere che compongono il doloroso quanto necessario libro “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945)” di Giovanni Pirelli, quella scritta da Paola Garelli probabilmente colpisce più delle altre per il pensiero che la donna, prossima all’esecuzione, riserva all’amata figlia. 

Vi si legge infatti: “Mimma cara, la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia”.

L’auspicio di Paola, benché sia stata privata della possibilità di assistervi, ha trovato applicazione concreta nell’Articolo 34 della Costituzione italiana, il quale dispone che “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.

Sebbene questo principio, per i suoi risvolti sociali, possa essere considerato tra i più alti e nobili della nostra carta costituzionale, la realtà dei fatti continua purtroppo a dimostrare quanto risulti difficile tradurre in azioni concrete simili propositi.

Le diverse priorità delle agende politiche che si sono susseguite nel tempo hanno molto spesso posto in secondo piano il tema della formazione e, più nello specifico, l’accesso ad una istruzione di qualità. Le conseguenze di tali scelte finiscono per ricadere soprattutto sulle classi sociali svantaggiate, composte da famiglie che – pur volendolo – non riescono a garantire una adeguata formazione ai propri figli. 

La precarietà che caratterizza il mondo lavorativo pesa ulteriormente sulle spalle di queste famiglie e, di conseguenza, la formazione dei figli tende a divenire una questione secondaria di fronte a problematiche di più grave portata e contingenza. 

Tutto ciò finisce per creare un divario spesso insanabile tra giovani – della stessa età e ugualmente meritevoli – che, provenendo da contesti sociali differenti, hanno la fortuna o meno di accedere alle stesse opportunità.

Una situazione non tollerabile per un paese che stabilisce nella sua carta costituzionale il diritto (concesso a tutti, altrimenti è un privilegio) di raggiungere i più alti gradi degli studi.

Secondo dati diffusi da Save the Children, già nella prima infanzia solo il 13,7% dei bambini accede agli asili nido pubblici e convenzionati; il tempo pieno viene garantito solo al 38,1% degli studenti della scuola primaria e la dispersione scolastica coinvolge più di un adolescente su sette (il 12,7%). I pochi asili nido pubblici presenti sul territorio permettono solamente a poche – fortunate – famiglie di accedervi e per la maggior parte di esse non è possibile rivolgersi a strutture private a causa delle rette troppo elevate.

Il sistema di assistenza e vicinanza alle famiglie, anche per quanto riguarda i gradi della formazione primaria, risulta altrettanto insufficiente: molti comuni italiani, ad esempio, offrono un esiguo numero di contributi per l’acquisto di beni quali materiale scolastico che, a fronte della richiesta, rappresentano solamente un palliativo che non contribuisce però a risolvere la problematica. Per fortuna la società civile sembra dimostrare una certa sensibilità al tema, per cui non è raro leggere di iniziative spontanee quali la raccolta/scambio di materiale scolastico e libri. Pur volendo sottolineare l’importanza di iniziative del genere, rimane comunque necessario immaginare una nuova politica – di lungo periodo – che ponga al centro il tema della formazione delle nuove generazioni, fin dalla più tenera età.

Il discorso si complica ulteriormente se si considera la formazione universitaria. Il costo della vita delle grandi città – dove hanno sede i principali poli universitari – risulta infatti proibitivo per coloro che provengono da situazioni economiche svantaggiate: alla questione del caro affitti si affiancano rette universitarie elevate e strette scadenze temporali per poterle saldare senza incorrere in ulteriori sovrattasse e more.

È doveroso rimarcare, in questo senso, che l’attuale sistema regionale delle borse di studio stenta a coincidere con le scadenze e le esigenze degli studenti, i quali molto spesso si ritrovano ad attendere i fondi che spettano loro nella totale incertezza. 

Un passo in avanti in questo senso sembra comunque essere già stato compiuto: molte università pubbliche hanno infatti stabilito ormai una zona “esentasse”, la quale consente agli studenti di poter essere esonerati dal pagamento delle rate dietro presentazione di una attestazione della situazione economica (l’indicatore ISEE). È bene ricordare inoltre che le università italiane, tramite la “Terza Missione”, sono già attivamente coinvolte in numerose azioni a favore della giustizia sociale. 

Ciò che manca, tuttavia, è un coordinamento unitario che permetta di stilare una catalogazione comune delle varie attività e dunque disporre di eventuali verifiche di efficacia delle singole misure. 

La mancanza di adeguati finanziamenti pubblici nel settore dell’istruzione e il conseguente bisogno di ricorrere ad investitori privati per poter sopperire a tali mancanze hanno contribuito ad affermare un diverso metodo di valutazione dell’impatto sociale della formazione, non più basato sui benefit dei singoli beneficiari, quanto sulla spendibilità e sul ritorno economico di simili investimenti. 

Ciò crea inevitabilmente un cortocircuito, per cui il luogo per eccellenza adibito alla formazione dell’individuo (quasi sempre uno spazio pubblico) tende a divenire uno spazio privato in cui a dominare è la logica dell’investimento-ricavo.

Il tutto con conseguenze devastanti per gli studenti i quali, soprattutto se sprovvisti di adeguati mezzi, si vedono negate le stesse possibilità che sono a disposizione di altri studenti, altrettanto capaci e meritevoli ma provenienti da contesti più agiati.

In questo senso, le università potrebbero proporsi come promotrici di un simile cambiamento, esercitando una notevole pressione e implementando concreti progetti finalizzati a tale scopo.

Più in generale, è possibile affermare che siano stati comunque compiuti dei passi in avanti. 

Il riferimento è all’attuazione della “Garanzia Infanzia” da parte di una ventina di paesi, tra cui spicca anche l’Italia. L’elaborazione del Piano di Azione Nazionale della Garanzia Infanzia (PANGI) ha permesso di stabilire obiettivi significativi quali una copertura del 95% sui servizi educativi per la scuola dell’infanzia e il contrasto della dispersione scolastica.

Molto ancora deve essere compiuto, ma l’elaborazione di un simile piano costituisce sicuramente un buon punto di partenza, dal quale si auspica possano scaturire ulteriori iniziative.

Investire nella formazione e nel capitale umano significa essenzialmente garantire alle attuali generazioni un futuro dignitoso e brillante. 

Paola Garelli desiderava solamente che sua figlia potesse studiare in un paese finalmente libero e in pace. I padri costituenti, negli stessi anni, hanno sancito questo principio inserendolo nella fonte del diritto più alta all’interno del nostro ordinamento. 

Una generazione istruita è una generazione che molto probabilmente non commetterà gli stessi errori / orrori del passato.

Malala sostiene che “un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”. Tutto ciò è valido solamente a condizione che quel bambino abbia accesso – come tutti gli altri – ad una istruzione di qualità.

Questa è la prima lezione.