Resistenze creative in una città che cambia
*Sara Palumbo e Giulia Sorbino
Napoli si trova oggi a un bivio cruciale. Da un lato, il suo fascino magnetico attira orde di turisti, ammaliati dalla promessa di un’esperienza autentica tra vicoli e sapori indimenticabili; dall’altro, questa stessa affluenza rischia di soffocare l’anima della città e dei suoi abitanti, trasformandola in un mero palcoscenico per un turismo di massa, che tende a privilegiare l’aspetto culinario a discapito della sua straordinaria ricchezza culturale e storica.
La realtà si trasforma così in una messa in scena ben congegnata, un teatro per turisti affamati di cliché: la pizza fritta, il caffè, i vicoli brulicanti di vita; tutto confezionato ad arte per soddisfare le aspettative di un pubblico globale. I social media, con il loro potere amplificatore e spesso distorcente, alimentano questo processo, rendendo virale un’immagine parziale della città.
L’autenticità così bramata dai turisti, si rivela spesso un’illusione, un prodotto di marketing ben confezionato. Ristoranti e botteghe storiche, un tempo custodi di tradizioni secolari, si trasformano in attrazioni turistiche, adattando la loro offerta ai gusti omologati del pubblico internazionale e la cucina napoletana, un patrimonio di sapori e saperi tramandati di generazione in generazione, diventa un semplice pretesto per scatti Instagram e recensioni online.
Ed è così che Napoli rischia di diventare vittima del suo stesso successo, un’icona svuotata di significato, mentre monumenti, i musei ed altre preziose realtà locali lottano con non poche difficoltà per farsi spazio tra la folla.
Ma in questo scenario di turismo gastronomico crescente e di accondiscendenza alle aspettative del visitatore, resistono piccole realtà che cercano di opporsi a questa deriva. Una di queste è Magazzini Fotografici, nel cuore del centro storico. Per capirne di più, abbiamo incontrato Yvonne De Rosa, fotografa e fondatrice del progetto, che ha recuperato uno spazio un tempo occupato da un antico borsettificio, in quello che lei definisce come “il decumano dimenticato”.
Magazzini Fotografici è oggi un luogo di cultura, di incontro e di scoperta, per chi desidera andare oltre lo stereotipo.
“Magazzini nasce sicuramente dalla mia voglia di creare un punto di ritrovo, un luogo che non fosse solo mio”, racconta Yvonne. “Nella pratica è stato questo posto che ha trovato me. Io cercavo solo un nuovo studio; poi è arrivata l’ispirazione. Ho unito questo sogno alla mia attività professionale, basata sulla ricerca fotografica, sulla cultura visuale e sull’utilizzo della fotografia per raccontare storie”.
Nel suo racconto emerge la consapevolezza del ruolo che le immagini giocano nel nostro tempo: “Credo che l’alfabetizzazione visuale stia assumendo sempre più importanza. Ora dobbiamo più che mai armarci contro un attacco di finte immagini. Spesso si attribuisce alla fotografia troppo valore, troppa verità. Ma bisogna capire che non è così: la fotografia è un linguaggio, e come tale va capito e utilizzato. È importante che tutti sappiano come gestirlo, per migliorare la comprensione delle cose”.
Lo spazio di Magazzini è davvero unico. Appena ci si allontana di una ventina di metri dal decumano centrale, il caos sembra dissolversi. È come se ci si trovasse in una dimensione parallela, ancora immune alla folla, ai tavolini per l’aperitivo, ai flussi incessanti.
Non c’è un biglietto d’ingresso per visitare Magazzini. Le mostre sono accessibili a tutti, gratuitamente. Si può entrare per curiosità, per studiare, o anche solo per godersi l’atmosfera. Lo spazio ospita rassegne cinematografiche in collaborazione con La Cineteca di Babele, presentazioni di libri, laboratori didattici e workshop.
Anche la storia del luogo è parte integrante del progetto: “Questo edificio mi ha conquistata da subito. Aveva il fascino dei posti dove sono successe cose, sicuramente fuori dall’ordinario. La parte più faticosa è stata smaltire tutto il materiale di scarto che non poteva essere semplicemente buttato via. Mi è costato molto tempo personale. Però è stato anche il modo in cui ho iniziato a conoscere davvero la zona. Lo spazio è l’anima di questo posto. Ho deciso di lasciare alcune macchine da cucire e trasformarle in tavolini, la cosa divertente è che questa scelta è stata fatta sicuramente per mantenere un po’ lo spirito del luogo ma anche per la disperazione di non dover più smaltire oggetti”.
Magazzini non è solo un centro culturale, ma anche un luogo di formazione, di scambio e di crescita, soprattutto per i più giovani: “Non nasce per essere un posto egoriferito. Io non solo ho fiducia nei giovani, ma mi chiedo: perché non dovrei averla?” Infatti, lo spazio accoglie tirocinanti e collaboratori che vogliono apprendere a un ritmo più umano, lontano dalla frenesia del lavoro tradizionale. “Qui si impara a presentarsi, ad accogliere le persone, a rapportarsi con gli altri, a essere pazienti e anche risoluti quando serve”.
Di fatti il team di Magazzini è formato da chiunque voglia associarsi per proporre eventi o attività, “da persone che desiderano utilizzare lo spazio per imparare e per fare belle cose”.
L’attività di Yvonne e del suo team consente di riflettere sulla difficoltà che diverse realtà culturali hanno a sopravvivere, a farsi spazio in una Napoli sempre più caotica e, più in generale, in una società sfuggente, che non si ferma un attimo da quello spasmodico inseguimento alle attività più virali, “che vanno fatte”.