Come il ciclo mestruale impatta sulla produzione di rifiuti

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Una delle principali criticità dei nostri tempi è certamente quella di non essere in grado di individuare agevolmente il peso delle proprie scelte individuali. Mi spiego meglio: quando ad esempio si parla di tutela ambientale e di cambiamento climatico spesso si tende a spostare il focus su una responsabilità collettiva e di rado ci si concentra invece sul potenziale delle nostre scelte personali. Prendiamo come esempio l’impatto ambientale dato dai prodotti per l’igiene mestruale. 

Si stima infatti che una persona con utero utilizzi 11.000 assorbenti nel ciclo di una vita. La stima è data da un calcolo di circa 13 cicli all’anno per una media di 40 anni di fertilità. 

Si stima infatti che le persone AFAB (Assigned Female At Birth, femmina assegnata alla nascita) sanguinino per un totale complessivo di circa sei anni e mezzo della loro vita, che porta dunque ad una cifra esorbitante di rifiuti prodotti per garantire l’igiene mestruale. Gli assorbenti monouso “tradizionali” sono un concentrato di plastica, basti pensare ai tamponi: sono racchiusi nella plastica, il cordone per sfilarli è realizzato in plastica e spesso presentano un sottile strato di plastica anche nella parte assorbente e la situazione persiste anche per gli assorbenti ad uso esterno che presentano un packaging in plastica ed a livello di assorbenza hanno la stessa problematica. 

Per fronteggiare questo argomento è necessario fare un passo indietro e comprendere dove il tabù legato alle mestruazioni affonda le sue radici. Basti pensare che nell’Antica Grecia il sangue mestruale era considerato così impuro e tossico da costringere le donne greche ad isolarsi nel gineceo. Si riteneva infatti che le donne nel periodo del mestruo potessero far arrugginire il metallo, far morire la vegetazione e rendere addirittura i cani rabbiosi. 

Ma anche in tempi più moderni, ovvero nel 1963 in Italia, solamente 61 fa, la legge italiana sosteneva che fisiologicamente tra uomo e donna ci fossero differenze nella funzione intellettuale e questo specie in determinati periodi della vita femminile. Possiamo quindi parlare di un’effettiva “rivoluzione” dell’assorbente solo negli anni sessanta del novecento, in quanto è in questo momento che viene ideato il primo assorbente lavabile e con la possibilità di essere fissato alla biancheria intima. 

L’esigenza di una maggiore igiene personale e ritmi della vita sempre più frenetici portarono a una maggiore richiesta di mercato e a un conseguente abbattimento dei costi di produzione su larga scala. Nel contempo negli anni sessanta gli scienziati furono particolarmente interessati alla realizzazione di plastiche sempre più sofisticate e di nuovi materiali sintetici con l’obiettivo di coprire nuove fette di mercato, impiegando così in maniera produttiva le nuove scoperte. Uno di questi mercati era proprio quello dei prodotti per l’igiene mestruale in quanto le plastiche flessibili ben si prestavano per questo specifico utilizzo. 

Attualmente occorre spostare il nostro focus dai privilegi che diamo per scontati che derivano dal nostro essere in una società occidentale per vedere quanto il tabù mestruale complichi ancora la vita delle donne. In India ad esempio esistono ancora le cosiddette “capanne mestruali” (note anche come kurma ghar o gaokor), dei veri e propri rifugi nella foresta dove le donne dei villaggi vengono letteralmente bandite ogni mese perché considerate “impure”. E abbiamo dovuto aspettare il 2018 per vedere per la prima volta in televisione il sangue mestruale rappresentato da un liquido rosso e non blu come sempre fatto in precedenza. 

Le donne sono state costrette per decenni a riutilizzare scampi di tessuto o qualsiasi materiale potesse fare le veci di un vero e proprio assorbente e la responsabilità di questa condizione può essere pienamente addossata al tabù mestruale. Ancora oggi, sfortunatamente, questa problematica viene semplificata banalmente con la frase “risolveresti il problema con la coppetta mestruale!” che manifesta un pensiero comune che tende a riportare al centro del dibattito il tema della salute riproduttiva ma anche l’atteggiamento velatamente abilista riguardo a chi può soffrire di malattie croniche che ne impediscano l’utilizzo o più banalmente non si senta a proprio agio con questo sistema per l’igiene mestruale. 

Come possiamo quindi ridurre il nostro impatto ambientale quando si parla di igiene mestruale? Ci troviamo dinanzi a numerose opzioni più sostenibili: in alternativa alla coppetta mestruale possiamo optare per assorbenti lavabili, intimo mestruale o in caso di esigenze di dispositivi monouso optare per quelli biodegradabili. Le fasce di prezzo sono molto diversificate e questo consente a tutte di poter trovare una soluzione con il minor impatto ambientale possibile ed al contempo sostenibile economicamente. Anche in questo caso possiamo preferire small business o realtà locali ai grandi marchi o a colossi del commercio online. La chiave di lettura fondamentale per comprendere al meglio questo argomento risiede però nel mettersi in ascolto e fare il possibile per abbattere i pregiudizi che riguardano l’igiene mestruale.

Foto di Cliff Booth