Estrattivismo, sfruttamento ambientale e migrazioni

› Scritto da

Quando ci addentriamo nel tema dell’estrattivismo, ci troviamo di fronte ad un fenomeno che affonda le sue radici nel passato, ma che continua a plasmare il nostro presente e il nostro futuro. Risalente a circa 500 anni fa, l’estrattivismo rappresenta non solo la semplice estrazione di risorse naturali, ma anche una complessa rete di dinamiche che spaziano dal saccheggio colonialista alla dipendenza economica.

L’ascesa dell’estrattivismo è intimamente legata alla storia della colonizzazione delle Americhe, dell’Africa e dell’Asia, nonché all’avvento della Rivoluzione Industriale che ha plasmato l’economia mondiale in un sistema capitalista. Questa pratica di accumulazione di risorse, che ha trovato terreno fertile sia nei governi liberali che in quelli progressisti, si è trasformata nel tempo, assumendo connotazioni sempre più complesse e controverse.

L’attenzione si concentra principalmente sull’America Latina, dove l’estrattivismo coesiste con un fenomeno altrettanto problematico: la maledizione delle risorse naturali. Secondo i principi fondanti di questa teoria, i paesi ricchi di risorse naturali spesso finiscono per subirne l’effetto negativo, anziché trarne vantaggio. Questa “maledizione” si manifesta attraverso una gestione inefficace delle risorse, creando dipendenza economica e politica piuttosto che favorire uno sviluppo sostenibile.

Gli stati “lucrativi”, desiderosi di esercitare il controllo politico, si ritrovano ad affrontare un dilemma: come gestire la distribuzione delle risorse in modo equo e sostenibile? Purtroppo, spesso si ricorre a politiche di redistribuzione populiste, che, sebbene possano portare momentaneo sollievo dalla povertà, non pongono solide basi per lo sviluppo a lungo termine.

L’effetto devastante sull’ambiente è innegabile. La corsa frenetica all’estrazione ha portato a una rapida esaurimento delle risorse “rinnovabili”, come le foreste e i suoli, minacciando la biodiversità e compromettendo la sicurezza alimentare delle comunità locali. Inoltre, l’espansione delle attività estrattive ha portato a un aumento degli incidenti sul lavoro e della criminalità, oltre a un indebolimento delle istituzioni democratiche e un aumento della corruzione.

Oltre a ciò, questo fenomeno ha portato con sé massicce migrazioni di popolazioni autoctone forzate a lasciare il terreno in quanto doveva essere utilizzato (per non dire sfruttato) secondo mire estrattive. Queste migrazioni sono la conseguenza dell’ennesima logica di potere che l’occidente ha posto nei confronti dei paesi colonizzati. Il caso illustrato dell’America Latina ne è solo una prova, ma la lista di aree e terreni sfruttati, popolazioni ridotte alla fame e subordinate ai “conquistatori” è lunga.

Negli ultimi anni si è invece sentito parlare del neo-estrattivismo: diversi paesi della regione con governi progressisti hanno spinto alcuni importanti cambiamenti nella modalità di estrazione, accentrando a livello statale il controllo di buona parte della produzione. Il neo attivismo in determinate aree del Sud America come in Venezuela, Ecuador, Bolivia mantiene e riproduce elementi chiave dell’astrattismo di stampo coloniale che si è verificato in passato. Attraverso questa tecnica che si è mantenuta nel tempo, lo Stato raccoglie una percentuale maggiore del surplus generato dai settori estrattivi per finanziare importanti e massicci programmi sociali. Essi assicurano nuove fonti di legittimazione sociale, essenziali per combattere la povertà e promuovere lo sviluppo, questi sussidi sono visti come conquista popolare.

Ci spostiamo poi verso il post-estrattivismo dove l’idea di fondo è caratterizzata dal pensiero che la maledizione delle risorse naturali non sia una fatalità del destino, ma una scelta. La sfida è quindi quella di trovare una strategia per costruire il “buen vivir” sfruttando le risorse naturali non rinnovabili, trasformandole in una benedizione. 

Purtroppo questo passaggio non sarà mai un realtà se si prosegue con l’espansione delle attività estrattive e senza esservi alternative specifiche per la loro riduzione e controllo.

Invece, se si trovasse un’alternativa valida, si riuscirebbe a sostenere e proteggere la biodiversità del pianeta, conservare senza distruggere quei territori che hanno un grande numero di elementi ambientali e culturali e includere un’ampia e reale partecipazione sociale per vincere la sfida dell’estrattivismo su grande scala.