Strategie di comunicazione e greenwashing

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Negli ultimi tempi abbiamo sentito parlare con maggiore intensità di temi come l’ambiente, la sostenibilità, il riciclo e quello che potremmo fare in merito per contribuire.

Questo ha innescato nel cittadino un acceso senso del dovere: “Anche io voglio contribuire e fare qualcosa di buono per questo pianeta”.

La crescente consapevolezza ambientale nelle persone ha portato diverse aziende a rivalutare sia il processo di produzione che le strategie di marketing per marcare la nota green dei loro prodotti e servizi.

Tutti abbiamo potuto notare la presenza sempre più forte nei supermercati e nei negozi di prodotti super sostenibili, biodegradabili e riciclati.

Purtroppo, ahimè, dietro queste affermazioni, packaging e slogan sempre più verdi si nasconde un infido fenomeno noto come “greenwashing”, una pratica che rischia di instaurare sfiducia nel consumatore e compromette gli sforzi di aziende che si impegnano realmente in nome della sostenibilità.

Con il termine “greenwashing” possiamo riferirci a tutte quelle strategie di comunicazione adottate dalle imprese per trasmettere un attaccamento alle politiche verdi che in realtà non esiste.

In questo modo, la brand image di queste aziende subisce un’impennata positiva: il consumatore green viene tratto in inganno dalla falsa filosofia eco-friendly di queste aziende.

Da dove nasce il termine greenwashing?

Negli anni ‘60 abbiamo i primi segni di un interesse alle questioni ambientali, tant’è che alcune imprese captano il vantaggio di legare il proprio marchio a temi quali la sostenibilità.

Inizialmente, l’espressione per definire queste pratiche era “ecopornografy”, coniato da Jerry Mander, noto pubblicitario americano.

Egli voleva definire tutti quei tentativi da parte di aziende di sfruttare tematiche ambientali per finalità di lucro.

Il termine esatto, invece, è stato coniato dall’ ambientalista statunitense Jay Westervelt negli anni ‘90 per definire la pratica scorretta di alcune catene alberghiere che invitavano gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani facendo leva sull’impatto ambientale. Nascondendo, in realtà, l’ovvia motivazione legata al risparmio economico.

Infatti, le imprese alberghiere collocavano nelle camere una green card con la dicitura “Salviamo il pianeta” per invitare i clienti a riutilizzare gli asciugamani.

Di fatto, però, loro non mostravano alcun tipo di impegno per la salvaguardia dell’ambiente.

Come può  presentarsi il greenwashing?

Sono diverse le forme in cui può manifestarsi una strategia comunicativa fuorviante con l’obiettivo di ingannare il consumatore e costruire un’immagine ambientale dell’azienda fittizia.

  1. Utilizzo di un linguaggio vago e approssimativo o, al contrario, talmente tecnico da risultare incomprensibile
  1. Utilizzo di determinate immagini suggestive con una predominanza di verde o di ambienti naturalistici
  1. Etichette false contenenti certificazioni non riconosciute dagli organi competenti
  1. Vengono enfatizzate alcune caratteristiche green del servizio o prodotto evitando di menzionare le fasi produttive meno sostenibili.

Un esempio lampante lo abbiamo con il popolare brand di abbigliamento H&M: negli ultimi anni ha lanciato sempre più linee di prodotti definiti ecologici e sostenibili, ma la loro comunicazione é da considerarsi fuorviante in quanto il marchio viene riconosciuto nel settore del fast-fashion.

La produzione di quantità industriali di abbigliamento a basso costo non può considerarsi affatto eco-friendly.

Anche nel settore automobilistico abbiamo subito una pratica di greenwashing con Volkswagen nel 2015: il noto scandalo passato con il nome di “Diesel Gate“.

Venne scoperta la falsificazione delle emissioni di automobili munite di motore diesel: l’azienda aveva fatto installare nei propri veicoli un software per manipolare i test sulle emissioni facendo apparire le auto meno inquinanti.

Questi esempi rappresentano una piccolissima parte del vasto catalogo quale é il greenwashing.

I danni causati non sono solamente per l’azienda colpevole, ma queste pratiche ingannevoli minano la fiducia che i consumatori hanno posto nella vision dell’azienda e, nel lungo tempo, porterà loro a un comportamento di diffidenza e indifferenza per tutti gli altri prodotti che verranno definiti eco-friendly.

La perdita di fiducia della clientela comporterà una diminuzione delle vendite e a danni sostanziali per la brand image.

Come accertarsi del reale impegno delle aziende verso la sostenibilità?

In primo luogo, quando ci troviamo a fare acquisti bisognerebbe verificare la presenza di alcune certificazioni ambientali sulle etichette dei prodotti come EMA, ISO, GRS. 

La presenza di questi acronimi rivela una reale applicazione di politiche ambientali.

É importante verificare la presenza di dati veritieri, informazioni precise per dimostrare impegno verso la sostenibilità. Un’azienda che non ha nulla da nascondere offre ai propri consumatori informazioni chiare e trasparenti su tutto il processo produttivo dei suoi prodotti e servizi.