Gli stereotipi: la prigione della ragione

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Uno stereotipo è una qualsiasi opinione precostituita, semplificata o generalizzata, non acquisita dall’esperienza, che va a definire, a prescindere dai casi o senza opportune verifiche, svariati gruppi sociali in base ad una caratteristica che questi hanno in comune. 

Purtroppo, spesso sono proprio questi a formare quello che potremmo definire come “pensiero naturale”: può accadere che gli stereotipi siano talmente radicati nella mentalità comune da divenire parte integrante della cultura.

Gli stereotipi non si limitano al semplice pensiero predefinito, sono molto più di questo. Ecco perché è possibile inserirli in due macro-gruppi: innocui e pericolosi. Gli stereotipi innocui sono quei pensieri che non hanno ripercussioni immediate sulle persone che ne sono vittima, ma possono averne quando questi vengono diffusi. È tramite la diffusione in gruppi che gli stereotipi possono infatti passare dall’essere innocui ad essere pericolosi, per poi, quando raggiungono larga scala, diventare un vero e proprio luogo comune. Quando questi sono pericolosi, o lo diventano, possono fornire la base d’appoggio per la discriminazione, il bullismo e la violenza. Esempi possono essere: ridere di una persona per l’aspetto fisico, per il modo di apparire, per i voti scolastici, per la condizione sociale, per la religione, per il colore della pelle, per l’orientamento sessuale, per la sessualità, per il modo di vivere la vita.  

L’anno scorso, al fine di combattere gli stereotipi, SottoSopra ha organizzato la campagna  UP-prezzami ed ha raccolto dati in merito tra i giovani. Chi ha risposto ai sondaggi ha dichiarato di aver assistito in misura maggiore a episodi di: ragazzi esclusi intenzionalmente da coetanei (32,3%), ragazzi sui quali venivano messe in giro maldicenze (23,9%), derisioni (16,4%), ragazzi picchiati o spintonati (9,3%), minacce (4,5%) e ragazzi derubati (2,9%); tra i luoghi dove si sono rivelati più diffusi la scuola prevalentemente (circa il 43%), la strada (28,5%), i social (20%), meno diffusi nei luoghi dove si pratica sport (3%). 

Soltanto l’1% dei rispondenti ha invece dichiarato di non aver mai assistito ad episodi di discriminazione, mentre il 61% ha dichiarato di essere stato vittima di episodi in cui si è sentito discriminato, molti di questi hanno preferito rivolgersi ad amici, pochi ai genitori o a nessuno, mentre tutti hanno preferito non rivolgersi alle forze competenti.   

I motivi per essere discriminati sono vari, tra i più diffusi in percentuale: essere omosessuali (88%), grassi (85%), rom (85%), di colore (82%), musulmani (76%), poveri (71%), disabili (67%), arabi (67%), bassi (45%), donne (25%), magri (21%), ricchi (18%). Per ogni condizione o stile di vita come emerge dati di cui sopra, c’è uno stereotipo preconfezionato. 

Tra gli stereotipi più diffusi, quelli:

– sessuali, pregiudizi sul modo in cui una persona vive la propria sessualità e con chi la vive e possono generare omofobia o in generale sessuofobia;

– fisici, riguardano il modo di apparire di una persona, in base alla sua pettinatura o al suo modo di vestire questa viene giudicata e, nel caso, esclusa da una determinata cerchia di persone; 

– razziali, finora tra quelli più problematici, vengono infatti tirate conclusioni su una persona in base al colore della pelle o alla nazionalità;

– teologici, definiscono religioni e credenti senza effettivamente conoscerne le tradizioni. Al momento questo tipo di stereotipi affligge i musulmani che vengono definiti come “terroristi” o “fanatici”;

– di condizione sociale, definiscono una persona in base alla capienza del suo portafogli e agli oggetti che è in grado di permettersi; 

– di disabilità, questi stereotipi giocano più sulle insicurezze e sulle “debolezze” di una persona, cercando di screditarla a causa di quella che viene definita come una “mancanza”;

– di genere, questi sono forse quelli più subdoli presenti nella nostra società, i più nascosti nella nostra mentalità e definiscono le persone secondo il loro sesso, dal principio del loro essere;

– di professione, possono essere associati non solo agli stereotipi di condizione sociale, ma anche a quelli di genere e creano “preferenze” tra le professioni, considerando alcune più nobili e adatte a determinate persone, a scapito di altre considerate invece degradanti e adatte di conseguenza ad una determinata categoria di persone; 

– di età, infine, sono quelli che vanno a stabilire ciò che possiamo fare, che possiamo indossare e il modo in cui possiamo comportarci. Questi non accentuano soltanto la discriminazione e il pregiudizio ma, soprattutto nei giovani ancora in fase di crescita, contribuiscono a danneggiare l’autostima, complicando il già difficoltoso rapporto con sé stessi. 

Che sia quindi la vita reale, o la bacheca di Twitter, non ha importanza, nessun luogo sfugge alle discriminazioni e questo comporta, tra le varie conseguenze, anche un disimpegno morale: capita sempre più spesso infatti che, assistendo ad episodi di bullismo o discriminatori, si preferisca non intervenire o li si giustifichi. Gli eventi di discriminazione più verranno giustificati e più ai ragazzi passerà l’idea che sia giusto rispondere alla violenza con altra violenza e agli insulti con insulti più cattivi. Questo non fa altro che aumentare la discriminazione, generata principalmente dall’ignoranza. Per combattere l’ignoranza, oltre a diffondere la conoscenza, dobbiamo abbattere gli stereotipi.