Il dualismo di Lampedusa

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Lampedusa non è solo un’isola.

Questo lembo di terra è patria di storie e voci che finiscono oppresse e soppresse da un sistema che se ne lava le mani, incurante.

Lo spirito di Lampedusa si nota già dai primi passi fuori dall’aeroporto: le notizie, i contenuti divulgati dai media e gli allarmismi generali, ormai, sono cosa ben nota a tutti gli italiani, eppure gli abitanti vivono una situazione completamente differente dal quadretto solitamente dipinto.

Nonostante gli sbarchi la situazione a Lampedusa non è emergenziale. Le ong, la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera effettuano giornalmente le operazioni di primo soccorso necessarie per il benessere dei migranti, che vanno dal recupero in mare alla cura sulla terra. Molte di queste operazioni però, non fanno notizia, perché sono “solo” 10, 20, 40 persone. Come ha affermato Rossella Miccio, presidente di Emergency, durante una delle tavole rotonde tenutesi in occasione della commemorazione del decennale del naufragio del 3 ottobre 2013, tutti vorremmo che l’intervento delle ong non fosse così indispensabile.

Se le istituzioni si occupassero della prima accoglienza in Italia, allora gli enti del terzo settore non si troverebbero una guerra mossa contro di loro solo per aver rispettato i diritti umani di base sanciti dalla convenzione delle Nazioni Unite e dalla morale umana, bensì sarebbero un aiuto indispensabile a tutti quei governi ligi all’obbligo di soccorso e rispettosi del diritto alla vita di tutti.

Ma la situazione lampedusana, lo sappiamo, è ben diversa: hotspot spinti al loro limite che potrebbero accogliere al massimo settecento persone contemporaneamente, quest’anno si sono trovati a contenerne oltre settemila (secondo numeri non ufficiali, poiché quelli ufficiali non esistono).

“Nel nostro lavoro c’è una componente emotiva e psicologica importante” ci ha detto Ivana, psicologa del Team Frontiera Save the Children Italia, mentre parlavamo di alcune delle storie di prima accoglienza al molo Favaloro. Che il lavoro della prima accoglienza non fosse un lavoro facile si sapeva: il mare non porta con sé numeri, ma trascina persone, vite e storie da situazioni disperate, di guerra e di persecuzione nella maggior parte dei casi. Ma i servizi dei media mainstream spesso non rendono giustizia al grande impegno che si trova dietro a ogni sbarco, all’impegno che tantissime persone, sia delle ong italiane, sia normali abitanti mettono per affrontare questa situazione

Ma Lampedusa non è solo sbarchi, è anche arancine (chiamate qui rigorosamente al femminile), pasticceria siciliana, panini a panelle e crocchè, mare cristallino, sole cocente di giorno e frescura serale. Il dualismo lampedusano si vede subito, ci dicono Miriam e Giulio del Team di Frontiera, dalla nave di migranti che entra in molo e quella colma di turisti che passa dietro. Noi della delegazione del Movimento Giovani per Save the Children Italia, a Lampedusa per la commemorazione organizzata dal Comitato 3 Ottobre, questo dualismo lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle e lo abbiamo fatto nostro, perché i naufragi non sono la tradizione lampedusana, ma lo è l’accoglienza, la gente amichevole, salutare la maggior parte delle persone che incontri per strada perché alla fine, lì, anche in poco meno di quattro giorni, conosci tutti.

È stato strano nuotare a pochi metri dal molo Favaloro, immergersi in quelle acque che per molti sono ristoro e per altri morte.

Di storie a Lampedusa se ne sentono tante, c’è chi col suo peschereccio aiuta come può, soccorrendo i migranti, mentre chi con la sua barca va in perlustrazione e recupera corpi di uomini, donne e bambini che non ce l’hanno fatta, che hanno lottato fino all’ultimo per avere una vita che fosse degna di essere chiamata tale, senza doversi arruolare per forza nell’esercito eritreo in guerra o dover morire in Siria a causa della propria etnia. E infine di Lampedusa ci sono le risate, la musica in piazza e gli aperitivi vista mare, c’è la vita per cui vale la pena lottare.
A pranzo, proprio il 3 ottobre, un signore lampedusano del tavolo accanto ci ha chiesto: “Ci sono i politici?”

Noi gli abbiamo risposto che ce n’erano pochi, giusto qualche sindaco e la vice-presidente del Senato, che in onore dei dieci anni di indifferenza professati dal comitato di Tareke Bhrane ha fatto un discorso in piazza letto da fogli. Lui ci dice solo: “Eh, è colpa loro tutto questo, sapete?”