Colombia, un paese che non trova pace: l’incontro della Rete di Pace e Disarmo

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“Pace non significasolo che tacciono le armi. Con l’ingiustizia non possiamo parlare di pace”, afferma Monica Puto, volontaria di Operazione Colomba impegnata direttamente sul campo nella Comunità di Pace di San José de Apartadó, in Colombia.

Il Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII è tra gli organizzatori dell’incontro online “Colombia, un Paese che non trova pace: violenza e impunità in tempi di pandemia” che si è svolto il 2 dicembre 2020,insieme a Cgil, Libera, Cisl e il gruppo di lavoro America latina di InDifesadi.

È la stessa formula a cui ormai ci siamo abituati negli ultimi mesi di lockdown: un link di Zoom che mostra molteplici realtà su un solo schermo e una trasmissione in diretta Facebook, questa volta sulla pagina della Rete Pace e Disarmo.

Le parole di Monica fanno riferimento al processo di pace che si sarebbe concluso formalmente nel 2016 con la firma dell’accordo da parte del Governo del paese Sud Americano, rappresentato da Manuel Santos, e del partito delle FARC, Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune, nato dall’ex gruppo di guerriglia che porta lo stesso nome (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). È un passaggio fondamentale per comprendere tutto ciò di cui si è discusso nel corso del seminario.

Pur trattandosi di una svolta nello scenario politico del paese che vanta di essere “la democrazia più longeva” rispetto agli altri Stati del Cono Sud, non è sufficiente a garantire verità e giustizia in un territorio che conta più di 120mila desaparecidos. È proprio in questo contesto di continuo e costante conflitto che nasce nel 1997 la prima Zona Neutrale della regione: un avamposto di pace per chi dichiara il suo rifiuto alla guerra. Questa la realtà che costruisce Monica ogni giorno attraverso le sue azioni, insieme agli altri volontari di Operazione Colomba, per garantire che vi sia anche monitoraggio a livello internazionale.

A moderare l’evento è Sergio Bassoli, dell’Area Internazionale della CGIL, che descrive la cornice complessa che caratterizza il paese dell’America Latina: un contesto agrario attraversato da conflitti per la terra di campesinos, ettari di territorio utilizzati per la coltivazione di coca e sindacalisti assassinati.

È in un panorama di per sé già in bilico che si inserisce l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia. “Non sappiamo cosa sia peggio: il Covid o le balas assassine”, racconta Giulia Poscetti, referente del settore internazionale di Libera dell’area America Latina, che insieme alla rete ALAS (America Latina Alternativa Sociale) ha realizzato un Report analizzando la situazione di fragilità e di crisi sociale e umanitaria.

Si aggiunge la voce di Giuseppe Iuliano, responsabile del Dipartimento Internazionale della Cisl, riflettendo sullo scenario sindacale: “Perché questa cosa ci preoccupa così tanto?” chiede. I leader sindacali, non violenti sono l’ennesima vittima di questo “crimine contro l’umanità”, verso il quale si chiede che l’Unione Europea agisca. “Dobbiamo parlare di vite umane, non di cifre,” prosegue Giuseppe, ricordando i leader sindacali assassinati negli anni di questa guerra senza fine, di cui la povertà dilagante nel paese è da riconoscere come una delle cause.

“Cominciamo il processo di pace sapendo che non finirà domani. Non finisce quando mettiamo una firma: da lì si costruisce,” interviene così Camilo Zaluaga, membro della Comisión de verdad (CDV), una delle istituzioni nate per “sbrigliare la matassa di mezzo secoli di conflitti”, insieme alla Unidad de Búsqueda de Personas Desaparecidas (UBPD) e la Jurisdicción Especial para la Paz (JEP). Continua mettendo in evidenza la particolarità di questo tentativo di pace, rispetto a quelli passati, data dalla centralità delle vittime con la partecipazione di tutti i cittadini e dal riconoscimento degli attori e degli aspetti dell’esilio della popolazione.

Camilo ricorda Mario Paciolla, operatore ONU ritrovato morto nella sua casa a San Vicente del Caguán (Caquetá) il 15 luglio 2020, che stava lavorando a un’indagine sul bombardamento in cui morirono almeno sette minorenni fra i 12 e i 17 anni, compiuto dalle forze militari nel villaggio Aguas Claras, che fa parte dello stesso comune nel quale hanno ritrovato il suo corpo.  

“Portare la pace nei territori, per vivere la pace nei territori”: è questo il messaggio finale che viene lanciato da Roberto Bensi, del COSPE Colombia, che è un po’ una speranza e un po’ un monito per i governi e la comunità internazionale: diventare costruttori di pace.