Fragilità di bambini e adolescenti e solitudine famiglie. Quali risposte?

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“Mi sono trasformata in mamma, babysitter, chef, parrucchiera e psicologa per i miei figli […] Ci sentiamo abbandonati da tutti e da tutte”.  

Il secondo incontro della Children’s Week, “Fragilità di bambini e adolescenti e solitudine famiglie. Quali risposte?”, si apre con le parole di Serena, mamma e oncologa, descrivendo la situazione vissuta dalle famiglie durante il primo lockdown. La pandemia ha fatto riemergere fragilità e realtà già presenti, come una lente di ingrandimento. Cosa possiamo fare? Quali risposte?

Prende la parola Arianna Taurini, portavoce del gruppo CRC, Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Spiega quanto sia incisivo l’ambiente familiare sulla vita e sul benessere dei bambini e dei ragazzi. È stata proprio la famiglia a mostrare l’esigenza di un supporto alla genitorialità, attraverso servizi socioeducativi e sanitari, rivestendo il ruolo di comunità che tiene al centro i diritti dei bambini e dei ragazzi. Soggetti a pieno titolo di diritto.

Interviene Giorgio Tamburlini, pediatra del centro della Salute del bambino del gruppo CRC. Sottolinea l’importanza delle relazioni e degli ambienti attraversati dai bambini nel corso del processo di apprendimento e sviluppo personale, visceralmente collegati alle competenze genitoriali. Affinché le famiglie riescano a rafforzare le risorse che già possiedono, lasciando da parte la logica riparativa e mirando a interventi preventivi: centri per le famiglie e servizi sociopsicologici di sostegno alla fascia preadolescenziale e adolescenziale.

In questa direzione si inseriscono politiche multisettoriali, con la collaborazione tra settori diversi e tra il settore pubblico e privato, il superamento della frammentazione della comunità, in modo integrato. Rispondere a nuove esigenze diventa l’obiettivo prioritario, tenendo a mente il “Documento sui primi mille giorni” per la promozione della salute del bambino nella prima fase della sua vita.

“Ci attraversa tutti. Coinvolge tutte le famiglie”, prosegue Liviana Marelli, del gruppo CRC. Ribadisce ancora una volta la necessità di politiche universalistiche e progressive per tutte le famiglie, tenendo conto del fattore della genitorialità in condizioni di vulnerabilità, per contrastare l’incremento delle diseguaglianze e della povertà. Affinché siano garantiti i livelli essenziali delle prestazioni volte a prevenire, accompagnare e sostenere le figure genitoriali.

Ad esempio, nell’ambito degli affidi ci si orienta all’ideazione di percorsi che possano limitare l’allontanamento, sostenendo le famiglie d’origine, ma anche assicurando il supporto necessario durante il rientro in famiglia, in seguito al percorso realizzato in comunità, in luoghi di accoglienza o con famiglie affidatarie, sostenute a loro volta.

Gli spunti di riflessione che derivano dall’11° Rapporto CRC mettono in evidenza l’esigenza di azioni di sistema integrate, coordinate, multidisciplinari, continuative. Per “investire sulle comunità locali, come luogo di politiche attive, di corresponsabilità e sinergia”, affinché diventino reti territoriali in grado di comunicare tra di loro. E sono proprio i territori il primo tassello da posizionare nel processo di ricostruzione, conclude Liviana Marelli, “per governare situazioni attuali e dare risposte all’esigibilità dei diritti”.

La voce dei ragazzi e delle ragazze arriva da Carlo e Almas, rappresentanti del Care leavers network, che si impegnano nel riportare le proprie esperienze personali ai professionisti.

“È necessaria una figura costante che accompagni le famiglie. Il ragazzo è in un certo modo forzato a seguire un percorso, mentre la sua famiglia d’origine rimane bloccata, ferma” – dice Carlo Ferrario – rimarcando così la necessità della tutela continua delle famiglie dopo l’allontanamento. “Sono venute fuori le fragilità che erano già presenti” prosegue Almas Khan, ripercorrendo la sua esperienza durante la pandemia, tornando a vivere con i propri fratelli e rivivendo situazioni del passato. “Noi avevamo acquisito la capacità per aiutarci. Per affrontare la situazione e andare avanti” racconta, confrontando la sua situazione con quella di coloro che si ritrovano soli, abbandonati e impotenti di fronte alla fragilità.

Il dialogo continua con l’intervento della Professoressa Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dell’educazione e dello sviluppo all’Università degli studi di Padova, seguendo l’interrogativo “Come essere genitori oggi e accompagnare i nostri ragazzi a trovare anche in casa degli spazi loro per continuare a volare?”.

Daniela Lucangeli tenta di rispondere utilizzando una metafora. “Fate finta di muovervi in una stanza al buio, che avete visto solo per pochissimo tempo. Cosa succederebbe? Io, per esempio, sono inciampata in un vaso di fiori”. La risposta sta proprio nella capacità di accendere la luce, per modificare la situazione esistente, per fare chiarezza. La resilienza che ne deriva è la capacità di duttilità di un essere vivente a tutte le situazioni. “Dobbiamo comprendere cosa genera l’ansia e la paura e rispondere con il suo opposto. L’ansia infatti ha bisogno di sicurezza. La paura di coraggio. L’angoscia di aiuto”. Nell’ambito della genitorialità questo processo educativo di autoregolazione funziona se una madre o un padre riescono a chiarire prima di tutto a sé stessi cosa sta succedendo, per poi supportare i propri figli. “Quel vaso di fiori contro cui vado a sbattere al buio, potrebbe diventare elemento rigenerativo”. Allora bisogna ripartire da lì, dall’accoglienza, dalla connessione che viene generata, raccogliendo le infinite possibilità che ne derivano.

Partecipa al dialogo che viene a costruirsi anche Chiara Giaccardi, membro del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Partendo da una frase molto semplice “la famiglia non è un nido, ma è un nodo”, si interroga sulla sua validità in questo momento storico, in cui la diffusione del virus ne ha trasformato l’aspetto. “Il nido diventa tana e prigione. Le città si sono trasformate” e la famiglia mononucleare, di conseguenza, assume un carattere individualistico, come micro-gruppo. In questa situazione, in cui la nostra società altamente interconnessa favorisce la facilità del contagio, la pandemia si trasforma nella cartina tornasole per comprendere come essere resilienti. “Sono le forme abitative che si collocano negli spazi intermedi tra l’interno e l’esterno – che si affacciano alla collettività – quelle che continuano a resistere” – continua Chiara Giaccardi. I balconi, le conversazioni tra vicini di casa che prima non si erano mai incontrati, diventano strumento fondamentale per ripensare a un equilibrio tra spazio privato e comune. Solo in questo modo la famiglia mononucleare – oggi inadeguata – non tenendo conto dell’intergenerazionalità, riesce a smettere di soffocare al proprio interno. “Torna a respirare”. Ma solo se riesce ad aprirsi al di là dei propri confini, trovando la prossimità anche nella distanza.

Rispetto al Piano nazionale a cui sta lavorando insieme al gruppo di esperti, Chiara Giaccardi nomina solamente l’aspetto rilevante della natalità, sottolineando come le famiglie non possano essere feconde se si rinchiudono in loro stesse.

L’incontro si conclude con le parole di Sandra Zampa, sottosegretaria al Ministero della Salute, rimarcando l’importanza del documento sui primi mille giorni. “È necessario istituire una cabina di regia. Un luogo dove coordinare gli interventi, dove integrare i vari sistemi”.

Le famiglie hanno bisogno di risposte rapide e veloci, di trovare aiuto qui e ora e il loro coinvolgimento deve passare necessariamente da un luogo dove “trovare tutto ciò che serve loro”, sostenendo la genitorialità. Perché le famiglie possano riuscire ad accendere la luce e trovare nel buio il proprio vaso di fiori.