La nostra fortuna: avere una sanità pubblica (ma colpita duramente dai tagli)

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Sanità pubblica e tagli. L’emergenza Coronavirus ha riacceso diverse lampadine spente ormai da troppo tempo. L’Italia, nel giro di pochi giorni, si è ritrovata catapultata in una situazione difficilissima, senza precedenti. Viviamo la quotidianità in maniera insolita, consci del fatto che, almeno fino a dopo Pasqua, la nostra vita sarà diversa, anormale, stravolta.

I numeri del virus fanno paura, è vero, ma la risposta degli italiani sembra essere all’altezza. Abbiamo superato la prima fase d’indifferenza, convinti che il Coronavirus fosse quasi un gioco, spinti dal menefreghismo giovanile del “tanto muoiono solo i vecchi”. Ed oggi, invece, siamo tutti dietro la stessa barricata, combattendo questa maledetta battaglia contro un nemico invisibile, silenzioso, impercettibile. Ci siamo finalmente convinti che non parliamo di una semplice influenza e di conseguenza abbiamo cominciato a fare i conti con noi stessi. L’Italia sta reagendo, con fatica e determinazione, e sta pagando un prezzo altissimo.

Abbiamo superato il numero dei morti in Cina, siamo il primo Paese in Europa per numero di contagiati. Il Sistema sanitario nazionale è al collasso, gli ospedali sono in emergenza, i nostri medici ed i nostri infermieri meriterebbero una medaglia al valor civili per gli sforzi che stanno facendo. Mentre noi restiamo a casa, loro restano in corsia. Il numero dei deceduti e dei contagiati in camice bianco fa riflettere: 90 medici hanno perso la vita in servizio ed oltre 12mila sono risultati positivi al Covid-19.

Ormai siamo tutti consapevoli che, nonostante la drammaticità, siamo un popolo fortunato. Viviamo in un Paese in cui la sanità è pubblica, garantita a tutti, senza alcun tipo di esclusione o distinzione. Apriamo la nostra riflessione con una domanda: realmente, in che condizioni si trova il nostro Sistema sanitario nazionale? Buone. Ma non buonissime, aggiungerebbero altri.

Il Servizio sanitario italiano è universale – molto meno costoso di altri sistemi come quello francese o tedesco basati su mutue e assicurazioni pubbliche – ed è agli antipodi con quello americano, privato e classista. Nonostante ciò, ne ha passate di cotte e di crude.

Infatti, in 10 anni sono stati tagliati circa 37 miliardi dalla sanità pubblica. Stando al report della Fondazione Gimbe dello scorso settembre, il finanziamento pubblico è stato decurtato di 25 miliardi nel 2010-2015, per tagli conseguenti a varie manovre finanziarie, e di oltre 12 miliardi nel 2015-2019, quando alla sanità sono state destinate meno risorse di quelle programmate per esigenze di finanza pubblica. Nel 2018 l’Italia ha destinato risorse pubbliche alla sanità per un valore pari al 6,5 per cento del Pil. Una percentuale vicina alla media Ocse (6,6%) ma più bassa di quella di altri Paesi europei come Germania (9,5%), Francia (9,3%) e Regno Unito (7,5%).

Inoltre, il dato è in calo rispetto al 2010, quando si era attestato intorno al 7%. Basandoci sempre sui dati pubblicati da Gimbe, nel periodo 2009-2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica si è attestato al 10%, rispetto a una media OCSE del 37%. Questo gap evidente pesa principalmente sul personale sanitario. In Italia, infatti, ci sono 3,2 posti letto per mille abitanti. La Francia ne ha 6, la Germania 8. Un vuoto che si traduce inevitabilmente in un calo nel livello di assistenza. Si parla, secondo le varie stime pubblicate, di oltre 70.000 posti letto persi negli ultimi 10 anni e circa 360 reparti chiusi.

I dati OCSE, aggiornati al luglio 2019, raccontano di un Italia che si attesta sotto la media europea per la spesa sanitaria totale, davanti solo alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia ed ai Paesi dell’Europa orientale. Lo scorso settembre, il Ministero della Salute ha pubblicato, come di consueto, l’Annuario statistico del servizio sanitario nazionale che contiene i dati più aggiornati sull’assetto organizzativo e sulle attività della sanità in Italia. Nel 2017, quando le strutture di ricovero pubbliche erano 518 e quelle private accreditate 482, in Italia i posti letto negli ospedali pubblici erano circa 152mila e circa 41mila in quelli privati. In base ai dati Eurostat e Ocse, in Italia – tra il 2000 e il 2017 (l’ultimo anno disponibile) – il numero dei posti letto pro capite negli ospedali è calato di circa il 30%. Sempre secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2017 i posti letto nelle strutture pubbliche andavano dai 3,9 per 1.000 abitanti del Molise (prima in classifica) ai 2,0 per 1.000 abitanti della Calabria (ultima in classifica). Un’altra regione da prendere in esame è il Lazio.

Lo scorso anno la giunta Zingaretti ha festeggiato l’uscita dal commissariamento. Una situazione che il Presidente Nicola Zingaretti ha eredito ma che ha dovuto obbligatoriamente gestire, anche a spese della sanità pubblica. Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2011 il Lazio aveva complessivamente 72 strutture di ricovero pubbliche, scese a 56 nel 2017, con un saldo negativo di 16 strutture. In particolare, nel 2011 il Lazio aveva 46 ospedali a gestione diretta, nel 2017 (ultimi dati disponibili) erano 33. A Roma il Forlanini, il Santa Maria della Pietà, il San Giacomo hanno chiuso. Il San Filippo Neri, il Sant’Eugenio e il San Camillo sono stati ridimensionati.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, durante uno dei tanti discorsi alla nazione, ha sottolineato più volte come la maggior parte dei contagiati riesca a guarire, ma non ha mai negato che uno dei motivi che desta più preoccupazione è l’elevato numero di persone che necessita di un’assistenza continuata in terapia intensiva. Secondo i dati pubblicati dalla Protezione civile, al 6 aprile, è ricoverato in terapia intensiva circa il (3898 persone) dei 93.187 casi al momento positivi al coronavirus. Poiché un aumento dei ricoveri in terapia intensiva avrebbe messo (e metterebbe) a dura prova i nostri ospedali, il Governo ha predisposto un piano per aumentare del 50% il numero dei posti letto in terapia intensiva.Nel Lazio, ad esempio, i posti letto iniziali erano 571. Al 30 marzo, i posti per la terapia intensiva sono aumentati di circa 260 unità. In Lombardia, i posti letto iniziali erano 861. Al 30 marzo, i posti per la terapia intensiva sono aumentati di circa 894 unità.

Imparare subito, imparare tutti?

Ecco, abbiamo fatto un quadro complessivo della situazione. Abbiamo illustrato dati e numeri e   abbiamo cercato di far capire al lettore cosa significa concretamente tagliare sulla Sanità. Dobbiamo dire grazie a quanti si stanno adoperando negli ospedali e dovremmo, probabilmente, essere meno grati a tutti coloro che negli ultimi anni hanno messo questa priorità – così la definiva giustamente la ministra Tina Anselmi quando nel 1978 diede vita al Servizio Sanitario Nazionale – in fondo alle agende di governo. Ma oltre ai dati, oltre i numeri, è chiaro che il coronavirus ha fatto emergere quali sono alcuni dei problemi del nostro Paese. Il primo è proprio il devastante indebolimento del Ssn – nel momento della crisi, dopo essersi a lungo leccati le ferite, si corre subito ai ripari – rispetto all’ininterrotta crescita di fondi e impegno a favore delle spese militari.

Mentre si chiudono i reparti, la tendenza di crescita della spesa militare cresce a dismisura: nel 2018 è stata di 25 miliardi di euro, pari all’1,4% del Pil, e ha segnato un aumento del 26% rispetto alle ultime tre legislature. Il secondo è una vera propria peste dei nostri tempi: l’aumento a dismisura delle fake news.

Bugie che condizionano la percezione, che influenzano la rete, che smuovono le opinioni, troppo spesso a sfavore della scienza. Ha fatto bene il Sottosegretario Martella ha creare la task force per combatterne la diffusione. Il terzo problema, e concludo, è la dimostrazione, tangibile a tutti, che dobbiamo ripensare completamente sia i modelli di sviluppo che il mondo del lavoro. I Muse cantavano “In an isolated system the entropy can only increase”: forse è il momento di rompere questo recinto.

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