The Changers alle prese con la disobbedienza civile

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«Essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione perfino biologica» diceva Salvador Allende quando rivolgeva ai giovani cittadini l’invito a prendere coscienza della realtà sociale e politica del proprio paese e ad avere il coraggio di dissentire. Ma procediamo un passo alla volta. Noi The Changers siamo sessanta ragazzi dislocati su tutto il territorio nazionale italiano, uniti in un unico progetto redazionale “Change the Future” promosso da Save the Children Italia e fortemente voluto da Sottosopra, il Movimento giovani per Save the Children. Il nostro obiettivo è dare voce alle storie dei più giovani, raccogliere le loro esigenze e le loro mancanze, le opportunità che vorrebbero vivere e gli strumenti di cui necessitano per raggiungerle. Siamo un gruppo eterogeneo, abbiamo età e biografie diverse, frequentiamo licei, istituti e università. La nostra condotta editoriale sarà orientarci lungo i diciassette obiettivi dell’Agenda 2030 e i punti della Convenzione per i diritti dei bambini.  

Questa esperienza redazionale è un allenamento del pensiero critico, ci renderà più temerari se l’entusiasmo di una nostra idea dovesse incontrare una barriera culturale, ambientale e sociale. Quindi se alcuni di noi decideranno di diventare professionisti dell’informazione sarà bene coltivare anche la disobbedienza civile, ovvero riconoscere «l’arte di associarsi come azione politica». Il libro che ho preso come riferimento è Disobbedienza civile di Hannah Arendt, filosofa e storica tedesca del secolo scorso. Il quesito iniziale con cui esordisce è chiedersi in cosa consiste la disobbedienza civile e in che modo si manifesta. Secondo l’autrice è «praticata da minoranze organizzate, unite da un’idea o un intento per protestare contro una politica governativa. Non è un’azione segreta e i principi su cui si fonda sono il consenso, il diritto al dissenso e la non-violenza». L’entusiasmo di queste minoranze nasce dalla volontà di cambiamento e più nello specifico dall’auspicio al mantenimento e ripristino dello status quo laddove la condotta governativa si fa dubbia «in termini di costituzionalità e legalità». 

Essere in grado di distinguere il disobbediente civile dal comune criminale è una pratica di pensiero democratico oggi che «il sistema rappresentativo è in crisi», scrive Arendt, aggiungendo che «le istituzioni devono essere flessibili per accogliere il cambiamento». Noi – The Changers – che viviamo «una società di massa in cui c’è una riduzione del desiderio di agire» abbiamo il dovere di accogliere queste riflessioni sul dissenso, quest’arma rivoluzionaria capace di proporre soluzioni e trasformazioni sociali. Imparando a cooperare per un obiettivo comune si rafforzerà in noi la fiducia nel cambiamento, saremo (forse?) capaci di agire per impedire che qualsivoglia catena possa ridurci al silenzio. Mi ha molto colpita che la parola conclusiva del libro sia fiducia, nonostante le infinite storture del reale che Hannah Arendt abbia enunciato senza tentennamenti. Quindi a noi The Changers la sfida ulteriore di cogliere questa positività nell’agire e che le voci a cui daremo corpo possano cadere nella nostra stessa trappola.