Le proteste per il clima: la redazione di Change the Future si confronta

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Commento di Rebecca Bottaini 

La prima sensazione che ho avuto guardando il video delle attiviste, è stata ribrezzo in quanto l’arte è di tutti e non hanno nessun diritto di rovinare un bene così prezioso per l’intera umanità con l’obiettivo di sensibilizzare le persone sul cambiamento climatico. È sicuramente una buona causa manifestare per questo problema, ma quanto è funzionale se poi si rischia di danneggiare una parte importante della nostra storia come questa?

Chiaramente si sono fatte notare in tutto il mondo e la notizia sta circolando su tutti i giornali, ma quanto impatto può avere realmente quest’azione?

Commento di Ilaria Corrias 

Il gesto di protesta avvenuto a Londra sembra aver seguito la triste parabola riservata alla maggior parte delle notizie odierne: un episodio suscita scalpore, nelle successive 48 ore le piattaforme di comunicazione se ne occupano in maniera ossessiva, e nel giro di poche altre ore la notizia cade nel dimenticatoio. La necessità di questo genere di protesta si mostra evidente nella totale incapacità delle élite politiche di prestare reale ascolto alle più urgenti istanze di cui le persone giovani si fanno portavoce. Ma troppo spesso tali gesti vanno incontro all’epilogo sopra descritto. Forse le ragioni di tale dinamica risiedono nell’assenza di progettualità di alcune manifestazioni. Il rischio che azioni come quella avvenuta a Londra vengano inglobate all’interno di un sistema comunicativo fallace, e da esso annientate, può forse essere aggirato con delle manifestazioni di protesta incisive quanto propositive, che non si limitino a denunciare una realtà che il popolo si costringe a ignorare, ma che mettano al centro la proposta di un progetto concreto, condiviso, fondamentale per il futuro e il presente.

La rivoluzione degli educati – Commento di Emanuele De Zanet

Il recente fenomeno di protesta degli attivisti manifestatosi nei confronti di opere d’arte è senza dubbio un avvenimento che fa riflettere.

La prima cosa che ho pensato alla vista di un “Van Gogh” deturpato è stata la stessa di quando, da bambino vedevo le foto di una povera Palmira sotto la terribile violenza dello Stato Islamico. Un gesto ignobile di chi, consapevolmente o no, sta distruggendo l’origine della civiltà che lo ha messo alla luce.

Nel contesto europeo nel quale viviamo, quasi tutti gli stati membri hanno alla base del vivere comune un regime di Stato Democratico, regime che per essere tale ha bisogno di identità storiche e culturali necessarie per avere dei pilastri, delle colonne portanti del nostro agire quotidiano.

Le Costituzione lunghe ci consentono, infatti, la tutela dei cosiddetti corpi intermedi ( famiglia, associazioni, partiti). Questi corpi intermedi, in realtà, sono alla base di un pensiero elaborato e pluralista. Una Società che non ha più delle entità di formazione di un pensiero elaborato è morta, fatua e senza futuro.

I grandi artisti che ora si stanno girando nella tomba per lo spregio nei confronti delle loro opere facevano parte di gruppi, insiemi di studiosi oppure erano soli, soli con le loro idee che hanno difeso coi denti. Alla base di quelle idee e di quella forza incredibile ci aggrappiamo noi.

L’intrinseco valore dell’Arte non è il manufatto artistico in sé, ma la storia e il pensiero a monte della creazione perché in ogni gesto umano c’è una storia, un passato presente e futuro che vogliono essere apprezzati, valorizzati. Che cosa sarebbe una natura morta di Gerard Dillon se noi non conoscessimo la storia del prestigioso pittore irlandese?

Seppur simbolico e con una buona intenzione, attaccare oggetti dietro i quali si nasconde l’umanità nelle sue più svariate sfaccettature è sempre un errore stigmatizzabile. Quanto alle buone intenzioni desidero ricordare che anche i peggiori regimi sanguinari della storia avevano alle spalle “buone intenzioni” (una patria ricca, potente, influente, benestante) eppure all’inizio di ogni opera di omologazione del pensiero c’è sempre la distruzione o il tentativo di oscurare ciò che è profondamente vero, bello e costitutivo della civiltà.

Siccome sono altresì convinto che questi attivisti non sono dei pericolosi golpisti mi permetto di delineare il motivo del titolo di questo ragionamento “La rivoluzione degli educati”.

Troppo spesso l’istinto primordiale dell’uomo e specialmente nelle situazioni di crisi importanti è propenso ad affidarsi a persone forte, autorevoli e pronte alla rivoluzione sfacciata e diretta.

Anche Giovanni Giolitti aveva capito molto bene questo atteggiamento umano, il risultato però è stato che lasciare scioperare pacificamente gli operai (dobbiamo entrare nell’ordine delle idee che per quegli anni uno sciopero era un gesto assolutamente rivoluzionario) ha portato ad un miglioramento sostanziale delle condizioni di lavoro. Non scatenò l’esercito creando uno scontro fra picchiatori di diverse uniformi ma promosse il dialogo e la pace.

Risulta agli occhi dei più che è difficile tessere legami, ponti piuttosto che muri. La potenza invasiva quanto distruttiva e peraltro amplificata dai mezzi di comunicazione di queste proteste riduce il palcoscenico di opportunità che abbiamo per risolvere in modo pratico e concreto i problemi, in questo caso, del cambiamento climatico. Se vanno al telegiornale i ragazzi rivoluzionari che si legano alle opere d’arte allo stesso modo al TG non ci vanno i ragazzi della WorldHouse International di Rondine. Se “chi urla di più ha diritto alla vacca”, per usare un detto brianzolo, ci si dimentica che in realtà i veri cambiamenti, o meglio, il vero progresso lo fa chi dalla mattina alla sera, in silenzio e con spirito di abnegazione compie al meglio dello proprie possibilità ciò che in sorte gli è capitato di fare.

Continuiamo a studiare, a leggere e mettere in pratica le nostre competenze in modo semplice e mite, senza necessità di gesti eclatanti perché ciò che importa is to “make the difference”.

La cortesia, il garbo dell’esprimersi saranno il giusto condimento di un confronto sereno e distensivo che consentono all’Uomo di uscire dai labirinti che esso stesso ha costruito

Per concludere con un messaggio diretto ai cortesi lettori di questo mio pensiero desidero riportare il consiglio di Marcel Proust che diede ad un giovane per fare successo: “Monsieur étonnez-moi pas épate-moi”.

Commento di Asya Turchi

Recentemente due attiviste del gruppo “Just Stop Oil”  hanno imbrattato i “Girasoli” della National Gallery di Londra con salsa al pomodoro. Domenica scorsa due attivisti di “Ultima generazione” hanno tirato purè di patate sui “Covoni” di Monet, denunciando l’inazione istituzionale nei confronti della crisi climatica. In entrambi i casi non sono mancate impetuose reazioni da parte dell’opinione pubblica, cornice di un ritratto che si ripete nel tempo ma in forma diversa. 

Gli atti dimostrativi radicali esistono da ben prima che la crisi ambientale diventasse oggetto di quotidiano dibattito, e sono spesso stati fondamentali per ottenere maggiori diritti, maggiori tutele, o per denunciare condizioni di vita intollerabili, anche quando non sembrava esserci un collegamento diretto tra l’oggetto contestato e quello bersagliato. 

Tutt’ora ci si chiede quale correlazione corra tra l’arte e l’ambiente, e spesso non bastano le spiegazioni degli attivisti per placare le critiche e gli scontenti degli spettatori. 

Eppure tali gesti fanno parlare, e tanto. Fanno parlare di giovani in una comunità in cui le nostre voci e preoccupazioni sono inascoltate, in cui le proteste pacifiche non assicurano più passi in avanti, in cui aumenta l’insicurezza e l’incertezza verso il futuro, e nessuno sembra farci caso. A fronte anche delle denunce e degli arresti che seguono queste azioni (gli attivisti di “Just Stop Oil”, ad esempio, sono stati arrestati), è evidente che si tratti di atti urgenti, disperati, perpetrati nella consapevolezza che il punto di non ritorno sia sempre più vicino. 

In questo clima caldo e incerto, di cui siamo gli inevitabili protagonisti, la mia speranza è riposta nelle persone che rifletteranno sull’importanza delle istanze ambientaliste e del coinvolgimento giovanile nei processi decisionali.

Dal canto nostro, non possiamo che continuare a farci sentire, nel bene e nel male.

Commento di Sofia Torlontano

Quando si parla dei gesti portati avanti dagli attivisti per il clima, in Italia e nel mondo, tutti si preoccupano del messaggio che questi cercano di mandare, del metodo comunicativo, e dell’associazione che rappresentano. “Non sono i modi giusti! Così lanciano un messaggio sbagliato, scostano l’attenzione dal tema!”

In realtà, sarebbe bene focalizzarsi sulle persone in sè che portano avanti queste manifestazioni. Ragazzi e ragazze disperati, che si rendono conto che, effettivamente, nessuno ci ascolta.

Sentirsi ignorati, sentirsi persi, porta a compiere azioni estreme. Porta a realizzare che, questi gesti folli, sono l’extrema ratio in un mondo immobile davanti all’inevitabile collasso climatico.

Gli attivisti sono già consapevoli che verranno arrestati e denunciati, e spesso esposti alla gogna pubblica. Ma rispetto alla disperazione che sentono dentro, non è nulla. Rispetto al vedere il nostro mondo andare a rotoli, i politici immobili, l’opinione pubblica indifferente, essere arrestati è il minimo indispensabile per essere ascoltati, sentiti e visti.

I giovani avranno sulle spalle il peso di decenni di inazione da parte della politica. Queste proteste, seppur folli, sono grida d’aiuto. Rovinare le opere d’arte VS finire nel baratro climatico.

Ma sembra che, nonostante tutto, l’opinione pubblica voglia scegliere la seconda opzione. Eppure dovremmo essere grati a quello persone che stanno scontando pene e arresti, che stanno combattendo per noi, per il nostro stesso pianeta. Dovremmo mostrare solidarietà.

Chi giudica queste azioni come “sconclusionate ed estremiste” non sente dentro quella disperazione chiamata Ecoansia. Non è consapevole di quanto, il nostro futuro, sia grigio e incerto.

Dovrebbero fare in altri modi”. Ognuno di noi è un attivista, non bisogna essere assunti o avere un contratto. Chi giudica, dà alternative, ma non agisce, delega semplicemente il probema a qualcun altro mentre, ne frattempo, rimane immobile.

Ogni quattro mesi esce un rapporto scritto da scienziati che cita che stiamo andando incontro al baratro, e ribadisce la necessità dell’azione che i nostri governi dovrebbero prendere qui e ora, per mitigare il collasso del nostro pianeta. Ma le persone sono più convolte dalla zuppa di pomodoro sul vetro di un quadro, che dall’inazione dei nostri governi.

Commento di Giuseppe Lacavalla

Il modo di protestare dei giovani attivist* per l’ambiente è da molti incompreso e inevitabilmente scatena polemiche. Ad oggi nessuna opera d’arte è stata realmente danneggiata perché opportunamente protetta. Potremmo discutere a lungo sulla bruttezza del gesto e su quanto possa risultare antipatico ma soprattutto sulla sua reale utilità – si parla più del quadro imbrattato che della motivazione che ha spinto a compierlo – ma mettiamoci nei panni dei giovani che hanno sempre più difficoltà a far sentire la loro voce, non solo sul tema ambiente, che organizzano manifestazioni, cortei e proteste da anni rimanendo inascoltati dalla politica, e che probabilmente vedono come ultima spiaggia la realizzazione di un gesto così forte e divisivo.