Da Barcellona a Cluj, vite in quarantena

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di Federica Mangano e Carolina Torres

2709 km. C’è un filo sottile che collega due città:Barcellona e Cluj Napoca. Spagna e Romania.
Quattro voci che parlano contemporaneamente.
Storie diverse, ma parallele.

Due ragazzi italiani all’estero. Un ragazzo spagnolo, una ragazza rumena.
C’è qualcosa che ci rende tutti uguali in questo preciso istante. Nonostante le nostre origini, i nostri luoghi di residenza e le nostre idee. Stiamo a casa.
Questo lockdown può prendere forme diverse, a seconda del luogo in cui viene messo in atto.

Vi raccontiamo Barcellona e Cluj Napoca attraverso quattro storie differenti.

THEODORA

Studentessa di Relazioni Internazionali a cui piace sperimentare, conoscere, vivere fuori dalla propria zona di comfort per poter vedere il mondo da prospettive nuove e differenti.

MATTEO

Studente di Sicurezza e Diritto Internazionale a Odense, in Danimarca. Cittadino del mondo e anima curiosa, ama immergersi in culture e contesti diversi. Crede che la conoscenza dell’altro sia una scoperta e un dono.

HENRY 

Studente di FX Animation a Barcellona e originario di Tarragona, una città portuale situata a 100 chilometri a sud di Barcellona. Ama l’arte in tutte le sue sfumature in particolare le animazioni e gli effetti speciali per il cinema.

MATILDE

Giovane italiana e project manager freelance nel settore di eventi e turismo. Ama circondarsi di persone da tutte le parti del mondo ed essere sempre in movimento. Trasferitasi due anni e mezzo fa a Barcellona, attualmente vive a Sitges, un piccolo comune che sorge sulla costa di Garraf, fra Barcellona e Tarragona.

Cosa sta accadendo a proposito del Coronavirus?

T: La Romania è stata infettata dal Covid19 come tutta l’Europa e proprio come negli altri paesi europei, sin dall’inizio la situazione è stata presa sotto gamba. Cruciale è stata l’ondata di rimpatrio di coloro che vivevano all’estero, soprattutto tutta quella forza lavoro che da anni ha scelto il Nord Italia come casa. Così come tutti gli studenti del Nord hanno sentito la necessità di invadere la stazione di Milano e scendere verso sud, così anche tutti i rumeni che abitavano in Italia hanno voluto rimpatriare, non pensando al livello sanitario delle loro destinazioni. 

M: Rispetto ad altri paesi la Romania si è mossa in anticipo, considerando che la quarantena obbligatoria per tutti i cittadini è stata imposta quando si contavano meno di mille casi. Ora c’è molta polizia tra le strade a controllare chi è in giro, ma il numero di casi registrati ogni giorno ci fa pensare che siamo ancora lontani dal picco effettivo.

H: La Catalogna, in quanto comunità autonoma, ha affrontato l’emergenza coronavirus in modo differente in merito a temi di sanità e istruzione: ha adottato misure restrittive prima di Madrid e ora, se da una parte i presidenti delle diverse regioni hanno appoggiato la decisione di estendere lo stato di emergenza fino al 26 aprile, d’altra parte sono in disaccordo sul prolungamento della quarantena. Madrid ha affermato la volontà di non prendere ulteriori misure che potrebbero compromettere ulteriormente l’economia, mentre il presidente catalano ha chiesto una quarantena totale.

M: Tutta la Spagna è stata colpita in pieno e molto velocemente dall’emergenza coronavirus. Barcellona è cambiata radicalmente in un arco di tempo brevissimo: inizialmente non c’erano dichiarazioni che avessero messo in allerta cittadini e turisti né atteggiamenti di grande allarmismo fino alla presenza del primo caso nella capitale catalana. In pochi avevano dato retta alle prime raccomandazioni, un po’ come è successo in Italia, e successivamente alla dichiarazione del confinamento e della Spagna come zona rossa, la situazione è precipitata in pochi giorni: molti italiani sono scappati con l’ultimo traghetto in partenza per l’Italia, molti supermercati sono stati presi d’assalto e in poche ore i beni di prima necessità si sono esauriti. Lo stato spagnolo sembrava scettico e nessuna misura è stata presa in anticipo, ma quando ha deciso di affrontare l’emergenza, ha adottato il modello italiano, prendendolo come riferimento principale. 

C’è una percezione della diffusione del Coronavirus e della sua pericolosità o c’è ancora scetticismo?

T: Per fortuna da pochi giorni a questa parte la Romania ha attraversato una presa di coscienza riguardante la situazione di emergenza europea e mondiale. I canali mediatici sono il punto chiave. Un altro punto chiave della Romania, però, è il grande dislivello tra area urbana e area rurale. Ho potuto notare con i miei occhi quanto senso civico caratterizza i clujani: anche se non era ancora stato stabilito lo stato di emergenza, le strade erano vuote. Il governo rumeno ha da subito preso le precauzioni giuste, le università sono chiuse dal 16 di marzo. Purtroppo, non tutti connazionali rumeni hanno da subito capito la situazione di pericolo, tuttavia il contagio è stato abbastanza contenuto inizialmente. La situazione è sfuggita di mano quando la gente ha cominciato a rimpatriare, mentendo sulla propria provenienza ai controlli al confine. C’è chi ha detto di provenire dall’Austria, chi dalla Germania, che ai tempi erano ancora zone sicure, mentre la maggior parte di loro veniva dalla zona rossa del nord Italia.

M: Il governo e i cittadini hanno capito da subito la gravità della situazione negli altri paesi e si sono mossi da subito. E anche quando il lockdown non era ancora entrato in vigore, nelle settimane subito dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza, le strade erano già deserte. Ciò nonostante il traffico di auto non è sembrato diminuire e ci sono stati alcuni episodi in cui i cittadini rumeni sembravano aver sottovalutato la sua pericolosità. Ci sono state persone multate dalla polizia, raccontando di aver portato il proprio pesce rosso a spasso.

H: In provincia arrivano molte notizie, ma le fonti non sono sempre ufficiali. Ne conseguono pareri discordanti, molta confusione tra le persone e la sottovalutazione del pericolo. Fino a qualche settimana fa non mancavano le persone per strada in grandi gruppi nei supermercati o nei bar della città, ma quando tristemente la Spagna in pochissimo tempo è diventata il primo paese in Europa per numero di contagi e decessi, le persone hanno smesso di sottovalutare il pericolo.

M: L’alto numero di contagi e decessi ha portato alla luce la fragilità del sistema sanitario spagnolo e le persone stanno rispondendo sempre di più in modo positivo. Non mancano però persone imprudenti, che violano la quarantena e vengono arrestate. In soli 20 giorni di quarantena, sono stati 300 gli arresti.

Come si sta vivendo quello che accade in Italia?

T: Da poco ho avuto la possibilità di rimpatriare nella terra che mi ha cresciuta, il sud Italia, la mia terra. Il programma di rimpatrio organizzato dalla Farnesina ha dato la possibilità a me, a tutti gli studenti e a tutti i connazionali italiani bloccati all’estero di poter ritornare nelle proprie case. È stata una scelta coraggiosa, in cui ognuno di noi si è dovuto assumere le proprie responsabilità di fronte alla legge e alle nuove misure restrittive e di precauzione.

Dopo settimane intere ho la possibilità di percepire sulla mia pelle ciò che mia madre mi raccontava per telefono.

Nonostante ciò, l’Italia riesce a sorridere, ad essere positiva, a tirarsi su con il calore e la solidarietà della propria gente, grazie allo spirito italiano che da sempre rende questa terra meravigliosa. La cosa che più mi commuove in tutto ciò e l’unità che emerge in questa situazione, Nord e Sud sono finalmente uniti, abbracciati insieme per combattere questa battaglia, urlando tutti dai nostri balconi “ce la faremo, andrà tutto bene!”

M: Dal mio punto di vista personale, da italiano, sicuramente con apprensione, dovuto al fatto che i miei familiari e amici si trovano in una delle regioni più colpite d’Italia, l’Emilia Romagna. Per quanto riguarda la Romania mi sembra molto spaventata e c’è il timore che la situazione possa degenerare come in Italia, senza aver i mezzi per affrontarla. 

H: In un primo momento si parlava molto dell’Italia in tutti i giornali e in televisione, ma agli occhi di tutti la situazione italiana era una realtà molto lontana dalla nostra. Non pensavamo che sarebbe arrivata anche in Spagna così velocemente. La prima persona registrata era una cittadina italiana che aveva visitato la sua famiglia giorni prima di tornare a Barcellona, ma il governo catalano aveva da subito isolato lei e le persone a lei vicine, per cui avevamo molta fiducia nella nostra gestione dell’emergenza. Nelle ultime settimane, però, quando i numeri dei contagi sono aumentati in modo esponenziale, le scuole sono state chiuse ed è iniziata la quarantena, abbiamo davvero iniziato a comprendere la situazione in Italia e il sentimento di fratellanza è soltanto cresciuto. Purtroppo però, ciò che ci accomuna non è soltanto l’allegria, la musica cantata dai balconi e la voglia di andare avanti, ma anche la paura per le conseguenze che questa emergenza avrà nelle nostre economie.

M: Nessuno sa cosa accadrà, ma chi come me ha scelto di non tornare ha costruito le basi del suo futuro qui a Barcellona. Nonostante le avversità non ci arrendiamo. Io personalmente mi sto reinventando. Sto rinnovando la mia attività con retreats online. Dal punto di vista emotivo, sono tanti i crolli dovuti al senso di impotenza, alcuni parenti anziani se ne vanno e non è facile essere distanti.

E i nostri connazionali, rispetto agli altri sembrano essere più attenti, responsabili o uguali?

T: Gli italiani dopo settimane hanno capito ciò che realmente stava accadendo, i decessi, la crisi, il pericolo. Gli italiani sono diventati più responsabili, hanno mostrato finalmente il proprio senso civico. C’è comunque chi non vuole sottoporsi alle restrittive, chi vorrebbe evadere, chi approfitta della spesa per vedere i propri cari, ma questi rimangono sono una minorità a cui il governo sta già provvedendo con le nuove sanzioni.

M: In generale sia tra i cittadini rumeni e gli italiani qui a Cluj ci sono stati sia coloro che hanno fin da subito preso coscienza del problema, rimanendo a casa il più possibile e evitando i luoghi affollati e dall’altra parte chi ha continuato a vivere la propria normalità. 

H: Ho diversi amici italiani e sono stati sin dall’inizio molto attenti e molto informati. Le informazioni che avevo riguardo all’emergenza venivano proprio da loro, che seguivano le notizie dai media italiani e dai propri parenti. Purtroppo, gli italiani sono stati isolati ed evitati da molte persone dal momento in cui a Barcellona abbiamo davvero tantissimi turisti e residenti provenienti dall’Italia e questo ha creato episodi spiacevoli a causa della poca e cattiva informazione.  Gli italiani, però, sono stati un esempio per noi.

M: Da quando è cominciato l’isolamento, tengo un diario che pubblico su Facebook in un gruppo di connazionali in cui condividiamo le nostre domande, la nostra paura, ma anche la nostra speranza. I connazionali sono molto coscienziosi, alcuni di noi sono spaventati e senz’altro soffriamo per la distanza con il nostro paese e la nostra famiglia, ma ci diamo forza e siamo fiduciosi. Fortunatamente ho visto da parte di molti italiani una reazione prima ancora che arrivasse quella del governo. Molti italiani hanno avvertito i loro colleghi ed amici, hanno detto loro come reagire e proteggersi. Io personalmente ho aiutato i miei vicini (che sono anziani) e come me si sono auto-isolati prima del lockdown definitivo.

Che immagine emerge generalmente dell’Italia e delle sue scelte di chiudere gli italiani a casa?

T: L’Italia a livello europeo emerge come un paese con le palle (permettetemi la licenza poetica). Responsabilità, senso civico, unità ma anche rapidità nel gestire la situazione catastrofica, misure più che giuste che tutta l’Europa dovrebbe adattare per la propria sicurezza.

M: È paradossale. Inizialmente in tutta Europa e anche qui in Romania eravamo trattati come “appestati”, fermati alle frontiere e obbligati a isolamenti domiciliari. Non appena il virus ha preso piede in altri paesi il “modello italiano di contenimento” è iniziato ad esser preso come sistema necessario per affrontare l’emergenza.

H: Settimane fa la realtà italiana sembrava lontana da quella catalana, mentre ora, con la quarantena c’è una totale vicinanza, fratellanza e approvazione sulle scelte e provvedimenti del governo italiano. Molti catalani parlano la vostra lingua e amano la vostra cultura: durante il periodo franchista chi sosteneva l’ideologia repubblicana, iscriveva i propri figli nelle scuole italiane e questo ha creato un profondissimo legame con l’Italia. 

M: L’immagine che la capitale catalana ha dell’Italia è quella di un paese unito e solidale, di un popolo in ginocchio, che però sta riscoprendo la bellezza, il senso del tempo e le piccole cose. Quando si parla d’Italia si fa sempre riferimento alle canzoni cantate dai balconi, alle persone che cucinano, ballano e non si arrendono. 

ASCOLTA: #iorestoacasa – Diretta dalla quarantena con i ragazzi di UndeRadio e Change The Future