Il cinema al tempo del covid, tra paura e opportunità

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Finita la quarantena la prima cosa che abbiamo desiderato di fare è stato uscire fuori, al parco magari, e incontrare quelle persone che non vedevamo da mesi se non attraverso uno schermo. L’estate è finita, è tempo di tornare a fare le cose di sempre. Anche andare al cinema, un settore particolarmente in crisi. Ma perché non vedere i film in streaming? Lo abbiamo chiesto a Boris Sollazzo, giornalista e critico cinematografico.

Dal lato cinematografico, come hai passato la quarantena?

All’inizio ho avuto un rifiuto, non riuscivo ad abituarmi nonostante già a casa vedessi i film attraverso i vari supporti, ma l’idea di non poter integrare con la visione in sala ha diminuito molto la quantità di cinema da vedere a casa. Quando mi sono ripreso un attimo anche a livello pratico e mi sono adattato, ho riscoperto a livello letterario e cinematografico i grandi classici, dato che il mio lavoro si sofferma sulla stretta attualità.

Qualche settimana prima del lockdown era uscito al cinema 1917, immagino che tu l’abbia visto lì. Io l’ho visto su Prime Video, ma mi è mancata quell’esperienza. Cosa pensi dello streaming?

Non demonizzo lo streaming, ma secondo me 1917 è un delitto guardarlo in streaming. Ma non perché sia sbagliato, ma perché attraverso la tecnologia migliore nelle sale cinematografiche, riesci ad apprezzare la tecnica, i piani sequenza di un certo tipo e la strumentazione della sala.
Credo che lo streaming sia uno strumento interessante per tutti quei film che fanno fatica a raggiungere le persone in sala, sia per la struttura visiva che non necessita per forza del luogo sala. Naturalmente, le sale cinematografiche devono essere dotate diun impianto serio, così da non rischiare che un impianto buono in casa superi quello in sala.
Viviamo in un mondo nella quale la tecnologia ci assiste ma vivo male l’idea che i festival possano essere in streaming. Se fosse così quell’idea di esperienza collettiva tra utenti, colleghi e nazionalità verrebbe inevitabilmente a mancare. È importante che questi eventi rimangano per quanto possibile dal vivo. Lo streaming è un ottimo complemento, ti alimenta la passione e poi ti costringe a volere una qualità sempre più alta. Non credo sia una cosa buona se dovesse diventare un sostitutivo. 

Si chiede tanto aiuto al pubblico e alla loro presenza, ma che cosa deve fare il cinema per convincerli?

Il cinema deve aiutare le persone a non avere paura, bisogna costruire luoghi sempre più accoglienti ed essere rigorosi con le regole da seguire, costruire un’offerta che sia estremamente rispettosa. Poi, il cinema è un’industria di prototipi, ma nel momento della distribuzione diventa un’industria con schemi standardizzati, al pari di quelle delle distribuzioni al dettaglio. Secondo me anche la distribuzione deve diventare un’industria di prototipi.
In questo ritengo che il covid sia un’accelerazione. C’erano settori del cinema che andavano riformati. C’erano abitudini economiche che non erano più moderne, come ad esempio lo sfruttamento orizzontale dei film: una follia. Distribuire 200 copie di film per 3 settimane e poi farle sparire, è una follia. Distribuire un film in 50 copie per 8 settimane in maniera che si possano creare più eventi nel territorio, è molto meglio.
Se avessimo fatto questa intervista un anno fa, ti avrei detto che in Italia ci sono troppo pochi schermi. Oggi ti dico che ci sono troppi schermi, perché c’è una parte della popolazione che ha paura di stare in un luogo chiuso. Abbiamo bisogno di avere meno sale ma che siano più performanti. Così come lo stadio della Juventus da 38.000 posti (prima erano il doppio), così come l’Anteo a Milano che oltre a vedere un film offre una biblioteca, un teatro e così via. Un modello di fruizione che sia più vicina alla persona. E poi più schermi provvisori, che ad esempio per un Batman o per un Zalone vengono fatti costruire e dopo qualche mese si smontano. Così si abbattono anche i costi per gli esercenti.
Oggi, il problema sono le sale di qualità sempre più mediocri, i distributori che per dare un film buono che guadagna ne danno quattro che lasciano le sale deserte. Bisogna tornare a puntare sui film in maniera intelligente, questo perché anche il pubblico diventa sempre più intelligente. 

Per le produzioni dei giovani e quindi spesso rappresentanti del cinema indipendente si parlava di aiuti da fondi pubblici. Pensi che ci possano essere metodi alternativi economicamente sostenibili? 

Trovo che il pubblico debba intervenire sulla normativa covid: le centinaia di migliaia di euro che costano le mascherine, i tamponi e compagnia non possono andare sulle spalle delle produzioni, specialmente le piccole produzioni che verrebbero strozzate: 150 mila euro di spese per 6 settimane di set significa che il film non lo giri, annulli un settore, una forma di espressione
C’è una parte di spese che devono essere sostenibili, e qui lo stato deve intervenire. È giusto che ci sia un finanziamento sul merito, e non sul commerciale, perché contribuisce alla costruzione del linguaggio. Faccio sempre l’esempio della Mercedes. L’unica azienda che guadagna dalla Formula 1 è la Ferrari, diciamo. La Mercedes, così come altre aziende, corrono in Formula 1 per la pubblicità e la ricerca e lo sviluppo, che poi arriveranno nelle mani dei consumatori dopo qualche anno. L’eccellenza artistica serve a migliorare il linguaggio di tutti, per un settore cinematografico più fertile e in salute. Al momento, ogni euro pubblico versato nel cinema ha sempre fruttato dai 2 euro ai 27 euro, quindi non sono mai andati in perdita.

E la possibilità di trovarsi produzioni quasi “one man band”?

Il rischio della contrazione dei posti è presente, ma non deve accadere. Se infatti questo dovesse accadere sarebbe poi difficile tornare indietro. È importante però considerare, a mio avviso, che la sostenibilità a breve termine è possibile soltanto con gli aiuti dello Stato e con i soldi a fondo perduto.