Andiamo oltre. Viaggio in Repubblica del Congo

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Viaggiare non è solo un piacere, viaggiare in chiave missionaria è un’esperienza di vita e per la vita che rende migliori noi stessi.

Dall’11 al 27 Luglio ho avuto modo di partecipare ad un viaggio missionario in Repubblica del Congo, organizzato dal Centro Missionario diocesano della Diocesi di Vittorio Veneto per i giovani interessati a conoscere un ”pezzo di mondo diverso dal solito”. Siamo stati ospitati dalla comunità dei Frati Minori (OFM) del convento presente nel quartiere periferico di Djiri, un quartiere dove povertà e crisi sociali sono la realtà dominante e fondante della gente che vi abita.

Viaggiare in questa ottica vuol essere un modo per conoscere realtà differenti per cultura, tradizioni e condizione di welfare a quanto siamo abituati nel nostro contesto di “popolo dell’opulenza”.

Non si entra in contatto con queste realtà con lo spirito crocerossino di voler salvare il mondo rendendolo come piacerebbe a noi. No. Si entra in punta di piedi e si esce con la stessa cortesia con la quale si è entrati senza pregiudizi e cogliendone le differenze con lo spirito autenticamente europeo di stare uniti nella diversità, non solo come membri della famiglia della UE, ma come componenti della comunità mondiale che cammina la stessa strada, lo stesso percorso di vita intrecciandosi gli uni con gli altri.

La Repubblica del Congo è uno piccolo Stato ricco di materie prime (come tanti altri Paesi Africani) che, dopo travagliate lotte e conflitti sanguinosi, ora è in una condizione di pace o, per meglio dire, di pausa delle ostilità perché la popolazione è esausta ed accetta l’oppressione del regime guidato da Denis Sassou Nguesso.

Nel rispetto verso ogni Paese straniero non posso non sottolineare come la realtà congolese soffre di una dittatura corrotta che ha venduto a multinazionali europee lo sfruttamento di risorse naturali molto preziose per l’Umanità.

In primis il petrolio. Il Governo del Paese ha già firmato contratti di sfruttamento e ricevuto risorse finanziarie da parte di queste “Sorelle del petrolio” le quali, in realtà sfruttano e estraggono più petrolio di quanto sia consentito dagli accordi. Il governo Congolese, d’altro canto, ammorbidito da laute prassi di corruzione non manda i suoi ispettori a verificare l’operato di queste Aziende dell’energia e, ironia della sorte, questo petrolio una volta estratto viene raffinato e venduto al Congo stesso.

Con questa manovra altamente speculativa non solo si perdono risorse cedendole a prezzi stracciati, ma si mette in situazioni drammatiche la popolazione che, in tempi con inflazione alta come questi, fatica non poco per rifornirsi di carburante.

In questo Paese avere carburante è fondamentale perché l’unico modo per muoversi e cercare emancipazione sociale è spostarsi verso la capitale Brazzaville che offre l’opportunità di una Università.

Il livello delle infrastrutture è garantito da due grandi strade, denominate “Routes Nationaux”: la N1 collega Brazzaville alla città di Pointe-Noire, che si affaccia sull’Oceano Atlantico (l’etimologia del nome deriva dalle tragiche deportazioni di schiavi neri); la N2 collega Brazzaville con Makoua, la seconda cittadina del Paese.

Appena arrivati nella capitale congolese ci siamo cimentati nel percorrere la RN2: 500km di quella che noi descriveremo come una strada statale, a doppia corsia, nel cuore della foresta equatoriale. Un affascinante viaggio immersi fra le bellezze paesaggistiche, i villaggi di autoctoni che vivono in casette fatte di argilla e terracotta e i terribili check-point della Gendarmerie (corpo paragonabile alla nostra Arma dei Carabinieri, il Paese ha ereditato in toto il sistema Francese – essendo una sua “ex” colonia) che impediscono il proseguire del tragitto fermando i viaggiatori e costringendoli ad estenuanti attese che hanno come fine ultimo l’estorsione di mazzette.

Il nostro viaggio aveva come destinazione Makoua perché i frati che ci hanno ospitato volevano farci toccare con mano la vita dei villaggi poveri.

Partiti da Djiri, quindi, abbiamo proceduto il nostro viaggio in direzione Oyo, un piccolo Paesino a metà strada, dove avremmo fatto pausa pranzo.

La strada subito si presenta come un percorso di ostacoli che ci vede come protagonisti privilegiati, se confrontati con i veicoli degli altri. Ho visto coi miei occhi l’immagine cinematografica del film “Tolo Tolo” di Checco Zalone, dove vengono rappresentati gli immigrati richiedenti asilo nelle strade del deserto; erano numerosissimi, tutti sopra un camion fatiscente carico di peso e oggetti vari. Queste scene esistono veramente. Solo che vederle fa accapponare la pelle e si può capire come l’essere umano, in situazione di precarietà, è disposto a correre un rischio enorme come quello di perdere la vita pur di migliorare, di ottenere un upgrade per sé stessi e  i propri famigliari.

La RN2, costruita tra il 2008 e il 2010, è infatti il pagamento che il Governo Cinese ha dato in cambio dello sfruttamento delle foreste equatoriali congolesi.

File interminabili di camion con tronchi lunghi anche decine di metri da Bunji per essere poi trasportati via fiume a Brazzaville e infine raggiungere la Cina.

La foresta, se così si andrà avanti, resterà soltanto qualcosa da inserire nel “cassetto dei ricordi”.

Poco prima di Oyo ci siamo imbattuti in una delle grandi contraddizioni di un Paese che ha raggiunto il livello che i criminologi chiamerebbero “State capture”: l’aeroporto presidenziale.

Il Presidente della Repubblica del Congo, originario di Oyo, ha pensato di costruirsi un aeroporto personale per poter raggiungere comodamente le sue residenze.

L’aeroporto è grande quasi come quello di Venezia “Marco Polo” ed è usato qualche volta all’anno. Un incredibile spreco di risorse finanziarie della collettività.

Ma è proprio in questo che si evidenzia la differenza fra uno Stato democratico ed uno che opera in vista del culto della personalità del Presidente: il bilancio dello Stato coincide con il bilancio personale del sovrano. Tale convinzione, la medesima degli assolutismi presenti in Europa prima delle rivoluzioni democratiche (cfr. Luigi XIV “L’état c’est moi), è anche incentivata da un anomalo approccio all’economia statale in chiave marxista-comunista, dove l’azzeramento della proprietà privata e lo spazio formale alla proprietà collettiva si trasforma in proprietà del Presidente in carica che da poco ha compiuto 40 anni di mandato quasi del tutto ininterrotti.

Quando a fine anni novanta non è stato rieletto, ha pensato di sabotare le elezioni e, una volta ritornato al potere, ha scatenato l’esercito contro i sostenitori del suo avversario attuando vere e proprie carneficine paragonabili a quelle di una guerra civile.

La città di Oyo ci ha accolti in modo festoso. Qui le case sono belle e colorate. Anche i sorrisi delle persone sembrano splendere di gioia.

Gli striscioni lungo la strada dipingono il Presidente Nguesso come un eroe nazionale, padre della patria e genio assoluto.

In uno di questi manifesti di propaganda è presente una sorta di promozione di quella visione economica “fisiocratica” che la storia, oltre che altre teorie economiche, ha condannato come non sufficiente per garantire livelli minimi di welfare state.

In questa cittadina il Presidente ha costruito case per i suoi amici e colleghi di partito (l’unico autorizzato a svolgere attività politica e a candidarsi alle elezioni).

Subito ci attira l’attenzione la chiesa parrocchiale: assolutamente grande e moderna, con un’architettura quasi futuristica.

Fr. Kevin e Severino dunque ci fanno scendere dall’autovettura e ci accompagnano a conoscere il Parroco.

La Parrocchia cittadina è composta da sacerdoti selezionati con il placet del Presidente, segno di una intollerabile connivenza fra la Chiesa e il potere temporale.

In cambio di offerte e considerazione istituzionale la chiesa cattolica congolese celebra Messe in onore di Ministri in aperta e totale contraddizione coi più banali principi di rispetto del sacro e della separazioni fra le funzioni di chi deve guidare le anime e chi i cittadini.

I sacerdoti che invece si battono per la povera gente e non cadono in quel pericoloso carrierismo cavernicolo, che annienta le più alte gerarchie ecclesiastiche, vengono confinati nelle parrocchie di periferia, come il cugino di Fr. Kevin che è parroco a Oyo periferia e vive in un edificio vetusto senza acqua, luce e corrente elettrica.

Vi assicuro che il tenore di vita del “Parroco della Parrocchia del Presidente” è assolutamente differente. La sottolineatura di queste contraddizioni e gravi comportamenti che pervadono anche il mondo clericale non vuole essere una critica fuori luogo, ma un esempio concreto di come le dittature pervadono tutti gli ambiti della vita sociale. Riprendiamo dunque il nostro viaggio per raggiungere un’altra tappa: Bunji. Lì siamo stati ospitati in un convento assolutamente fuori mano, lontano e con difficoltà di raggiungimento a causa del manto stradale poco praticabile.

La vista sulla foresta equatoriale soggetta al lavoro di tanti Congolesi all’opera per tagliare alberi e alberi ci ha non poco ferito. Il responsabile di zona, un cinese, ha tenuto d’occhio ogni nostro movimento e ci ha fotografati svariate volte. La paura regna sovrana: i lavoratori congolesi non spiccicano una parola e si rifugiano in un “Il faut travailler pour manger”.

Segue la nostra giornata visitando il piccolo ma affollato centro cittadino, accompagnati da ragazzi del posto che hanno avuto la grande cortesia di farci entrare nelle case dei cittadini qualunque, di quelli che vivono e soffrono la storia e il destino di un paese non democratico. Mi si presenta un signore, ottantenne, pensionato che – ex dirigente scolastico – non riceve pensione da 38 mesi.

La scarsità di risorse finanziarie che mette la Repubblica del Congo sotto il monitoraggio attento del Fondo Monetario Internazionale riesce infatti a pagare lo stipendio e le pensioni in modo regolare solamente ai militari e ai membri delle forze di polizia, per evitare che si alleino e depongano il Governo creando un vero e proprio colpo di Stato, come avvenuto recentemente in Niger.

Il FMI sta prestando risorse al Congo chiedendo in cambio oggettive riforme strutturali che vengono continuamente disattese. Alla classe dirigente locale non interessa altro che mantenere elevati standard di vita personali. Anche la critica non è soggetta ad interessamento.

Paradossalmente potremmo urlare in piena Brazzaville che il Presidente è un dittatore e non ci succederebbe nulla. Il potere qui si muove solo quando si pongono in essere concrete azioni per spodestarlo e sostituirlo.