Bambini orfani India

“Così garantiamo un’istruzione ai bambini orfani”: il racconto di una volontaria italiana in India

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Articolo pubblicato il 14 aprile 2020

Sotto Natale ripubblichiamo questo articolo, che racconta una storia di speranza, amicizia e bellezza, per ricordare quanto è bello scoprirsi fratelli con l’auspicio di tornare a potersi incontrare presto.

Il desiderio di garantire il diritto a un’istruzione adeguata a ogni bambino e bambina, sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ha mosso Sara Anzaldi fin da piccola. Un viaggio con la sua famiglia all’età di sette anni fino in India e il suo ritorno nell’estate della maturità. Due mesi e mezzo a Pondicherry come volontaria all’interno del progetto di BLESS Children Home.

Sara, da dove è nata la tua idea di partecipare a questo progetto e come hai conosciuto BLESS Children Home?

L’India fa parte di un percorso personale. È una terra con cui ho un legame molto forte. È iniziato tutto da un viaggio quando avevo sette anni per andare a trovare Suvarna, ragazza che abbiamo adottato a distanza con la mia famiglia. Siamo cresciute insieme. Anche se in mondi completamente diversi. Lei ha la mia età e questo mi ha sempre fatto riflettere molto. Compari tutto con le tappe della tua vita. Tornare questa volta significava dare il mio contributo.  E poi c’è sempre questa idea del viaggio di maturità come esperienza di formazione per decidere un po’ dove andare. Ma per me è stato più come andare. È grazie alla piattaforma di Workaway che ho trovato proprio questo progetto educativo, principalmente incentrato sull’istruzione. Tema che da sempre mi sta a cuore, anche se sto studiando per qualcosa di abbastanza diverso. BLESS Children Home si è fatta trovare.

Di cosa si occupa BLESS nello specifico?

Bless è principalmente un campus per bambini orfani, semi orfani e in condizioni di svantaggio. Ospita 30 bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni. Anche se di solito molti vanno via prima, se riescono a trovare un lavoro, per esempio. Offre una casa e la garanzia di poter andare tutti i giorni a scuola con un furgoncino, cosa non scontata.  C’è un dormitorio, una sala studio dove i bambini hanno la possibilità di praticare yoga, di partecipare a lezioni di danza e a quelle di inglese tenute dai volontari. È uno spazio dove imparano a vivere in comunità, si dividono i compiti per le pulizie, per cucinare e per lavare i propri vestiti. Un luogo costruito da poco è la nursery, dove sono ospitati 8 bambini neonati. Noi volontari siamo ospitati in casa di Anthony, insieme alla sua famiglia. Oltre a questo progetto fisso ne vengono attuati altri in base alle necessità dei villaggi, con i quali si discute attraverso delle vere e proprie riunioni. Sono 60 in totale i villaggi coinvolti. Un esempio sono i medical camps, con lo scopo principale di incentivare la prevenzione o la costruzione di bagni nei villaggi della zona del Cuddalore.  E poi durante periodi di emergenza danno sempre il loro contributo, come durante l’alluvione in Kerala con l’invio di sacchi di riso.

Quali sono le ragioni che hanno spinto Anthony ad aprire questo luogo?

Dopo il college Anthony ha scoperto da Frate Windey i progetti di sviluppo di villaggi negli anni ’80. Così è nato BLESS nel 1989, con la voglia di espandere questi progetti anche nella sua zona del Cuddalore.  Spesso mi ha raccontato della sua volontà di dare la possibilità a tutti di avere un futuro, di poter garantire il diritto allo studio e all’istruzione. Di conoscere ciò che c’è fuori dal proprio villaggio e dalla propria lingua, diversa da tutte le altre, perché la maggior parte di loro parla Tamil, non Indi.  

Hai nominato il diritto allo studio e all’istruzione, pensi che siano diritti concessi ai bambini che hai incontrato?

Vorrei dare una risposta di speranza. Se penso ad Anthony me lo immagino come un pescatore, con la differenza che più che “pescati” tutti i bambini vengono salvati. Anche se l’obbligo scolastico è fino ai 15 anni, la maggior parte va a lavorare senza proseguire gli studi. Garantire loro un futuro, dandogli un’istruzione di base, è il fine principale. Inoltre danno loro condizioni igieniche decenti, la possibilità di mangiare tre volte al giorno. Elementi necessari per l’esercizio di questo diritto. E poi c’è il contatto con altri bambini e ragazzi, la dimensione comunitaria e l’incontro con altri volontari, secondo me fondamentali per la loro educazione personale.

Cosa pensi che BLESS stia facendo per ridar vita e rivendicare questi diritti? O cosa potrebbe fare?

Sicuramente garantisce che 6 giorni su 7 vadano a scuola, che partecipino a lezioni di inglese e che possano trovare anche momenti di svago, attraverso yoga, danza e momenti di gioco. L’esistenza di una community internazionale creata principalmente da Diogo, volontario portoghese, fa in modo che ognuno possa dare il proprio contributo in base alle proprie competenze e preferenze. Così hanno la possibilità di fare cose che di solito non fanno. Disegnare, colorare, partecipare a dei talent usando la loro creatività e praticando degli sport. Il diritto al gioco per me è fondamentale. E poi ci sono le gite con volontari, la possibilità di andare fuori dal proprio villaggio e di conoscere la propria cultura. Io per esempio avevo accompagnato un gruppetto a Thanjavur, un sito di templi molto importante.

Com’è la situazione scolastica nella zona in cui sei stata?

La zona in cui sono stata è il Tamil Nadu. Il problema è il divario molto grande tra la scuola privata e la scuola pubblica. Molto lacunosa se non hai qualcuno che ti possa seguire. L’ho potuto notare dalla grandissima differenza nel livello di inglese delle nipoti di Anthony, che hanno la possibilità di frequentare la scuola privata.

Cosa hai potuto fare tu nel tuo piccolo?

Appena arrivata ho avuto un momento di stallo in cui, come mi ha detto Anthony, “capisci cosa senti più tuo”. All’inizio potresti aspettarti che è già tutto organizzato, ma hai bisogno di tempo per entrare nell’ottica di questo piccolo mondo. Così ho iniziato a insegnare inglese ai bambini più piccoli, organizzando giochi in cui potessero anche parlare per praticare la lingua. Abbiamo disegnato, ormai tutti i muri sono stati colorati. Ogni tanto aiutavo loro nei compiti.
Ho creato una pagina Instagram e Facebook con le foto che ho scattato durante il mio periodo lì e adesso continuo a occuparmi della prima anche da casa. Poi la cosa più grande forse è stata la raccolta fondi sulla scia di volontari precedenti. Attraverso il sito GoFundMe abbiamo raccolto poco più di 2000 euro, utilizzati per costruire la cucina e per assumere una tutor di inglese che potesse seguire i bambini e le bambine. Grazie al supporto del Circolo dei lettori di Novara ho esposto alcune delle foto all’interno della mostra fotografica “L’india delle donne e dei bambini”, parte dell’ottava edizione del progetto Voci di donna, all’interno della Galleria Giannoni. Anche qui siamo riusciti a raccogliere donazioni per rifare le uniformi scolastiche dei ragazzi. È stato un bel modo di contagiare gli altri, di dire agli altri “fallo anche tu”. È un po’ così che funziona la comunità internazionale. È la passione di ognuno che permette che il progetto possa continuare. 

Questo senso di comunità che hai percepito come lo spiegheresti?

L’ho percepito fin dall’inizio. Già prima di partire, attraverso i consigli di volontari che erano già stati lì, cosa che ho poi potuto fare anche io dopo. È stato un incoraggiamento, un po’ un “un passaggio di testimone”. Questa comunità poi si fonda sui legami che si creano. È importantissima la dimensione della condivisione di esperienze. Ho avuto la fortuna di trovare un’amica, una compagna di viaggio e qualcuno con cui sognare in grande, Aina, ragazza spagnola. Abbiamo tante idee per il futuro di BLESS. Anche nei miei momenti di sconforto ho sempre trovato supporto nella rete di volontari. Soprattutto per le incomprensioni che derivavano dalla distanza culturale. Non capisci cosa sta succedendo e probabilmente solo qualcuno con il tuo stesso background culturale è in grado di spiegartelo. Per me poi è stato incredibile ricevere tutte quelle foto dagli altri volontari da pubblicare online. E continuare a sapere di donazioni fatte da altri. Dai letti agli spazzolini, non finisce mai. Qualcuno è tornato. Ciò che spero di poter fare io da quando me ne sono andata.

Cosa pensi se ti immagini il futuro di BLESS?

Il futuro di BLESS è un grande progetto che abbiamo in testa io e Aina. Un sogno che Anthony ha da molti anni e in cui crediamo è un programma di sponsorship. Servono fondi per contribuire al pagamento dell’anno scolastico, dei loro vestiti, della loro sussistenza. Noi la pensiamo come una famiglia a distanza per ogni bambino, che possa donare loro più del minimo indispensabile. Altrimenti non riesco a vedere margini di cambiamento. Non si può vivere di donazioni.

Come possiamo contribuire a questo progetto?

Se qualcuno ha in mente un’esperienza di vita in una comunità, ovviamente partire! L’ospitalità è qualcosa che mi ha stupito fin dall’inizio. Non è scontato essere ospitati senza chiedere nulla. Se non il proprio contributo volontario. Nel campo che più ci sta a cuore. Sembra banale ma davvero anche le piccole cose possono fare la differenza. Anche semplicemente inviare un pacco di libri.

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