Da Cuneo al Guatemala: il viaggio dei clown

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“È così, è proprio così!” disse quel giorno un gruppo di volontari esperti in clownterapia a Cuneo. Erano tutti cascati nelle trappole del naso rosso e del viaggio, e davanti a quell’esclamazione Lucio e gli altri payasos misero le basiper un nuovo inizio. In quel momento è nata la loro associazione “Eso Es Odv”, un omaggio in lingua spagnola che tradotto significa proprio “è così’”.

Siamo a Chimaltenango, in Guatemala, a due ore di distanza dalla capitale, un paese dove impari in fretta a convivere con le alte temperature, l’aria afosa, la polvere di terra che si appiccica a ogni passo. Il viaggio dei payasos inizia con una serie di scali, loro sono dodici e ventiquattro le valige, il materiale di scena pesa e richiede spazio. Una volta a terra i volontari affittano un appartamento vuoto e, a missione conclusa, doneranno il materiate utilizzato alle famiglie di Chimaltenango. I primi giorni corrono veloci, sempre dietro a spettacoli di teatro tra orfanotrofi, case di riposo e centri per bambini disabili. Il camioncino guidato da Baudì sfreccia da un luogo all’altro e per tutto il giorno si vive tra uno scendi, sali, carica valige, scarica sorrisi e sudore.

Ai volontari di “Eso es Odv” va riconosciuto un merito: oltre a portare avanti la progettualità teatrale degli spettacoli di micromagia sperimentano un sistema di sussidio scolastico per le famiglie di Chimaltenango. Durante l’anno organizzano in Italia eventi di beneficienza per raccogliere fondi e preparare borse di studio, il cui valore economico è di 100 euro l’una. Lo stipendio di un insegnante in Guatemala ammonta mediamente a 250 dollari, per cui la borsa di studio di “Eso Es” riesce a coprire senza affanni le spese scolastiche del bambino, tanto che alcuni oggi sono all’università. Tassa di iscrizione, libri, zaino, materiale didattico, cesto di generi alimentari e scarpe, perché secondo una legge in Guatemala non puoi entrare a scuola se sei scalzo (in Italia lo diamo per scontato).

Al momento “Eso Es” aiuta 27 bambini, selezionandoli ogni anno attraverso un sistema meritocratico. «Gli scrutini sono un momento di grande tensione» dice Lucio «chi non supera l’anno perde la borsa. Sono tanti i motivi per cui un bambino non ce la fa. C’è chi scompare, ad esempio. Uno di loro si è unito con la madre ai caminantes, un grande esodo migratorio che parte dalle Honduras e approda negli Usa, meta finale. Altri abbandonano la scuola per andare a lavorare, perché qui le famiglie sono molto povere».

Il Guatemala vive un profondo disagio economico, spesso convertito in criminalità e sfruttamento. A Quetzaltenango ad esempio esiste la comunità degli spaccapietre, bambini schiavi che spaccano pietre tutto il giorno per produrre materiale edile. A San Raymundo invece c’è il villaggio La Granadilla, un’accozzaglia di baracche clandestine in cui si fabbricano fuochi d’artificio e in cui donne e bambini maneggiano polvere da sparo senza tutele. In questi stabilimenti gli incidenti sono molto frequenti, spesso irreversibili. C’è chi perde la vista o le dita di una mano e nelle esplosioni più violente anche la vita.

Durante l’ultima missione, quella prima dello scoppio pandemico, Lucio e i payasos si sono spinti fino al Rio Suchiate, il fiume che contrassegna la frontiera tra Guatemala e Messico. Anche qui sono emersi i complessi equilibri di queste due nazioni schiacciate dal peso della criminalità.

Ebbene, Lucio racconta tutto questo quando descrive il lavoro di “Eso Es” più come «una questione di frequenze» con cui il volontario si deve rapportare. Non è sempre facile convivere con la drammaticità di un popolo, come quello guatemalteco, perciò ognuno fa con i propri mezzi quello che può. Il viaggio della compagnia errante dei payasos termina qui. Il sipario cala e lascia ai bambini la speranza di vivere in un mondo più attento alle loro esigenze e più magico rispetto alle condizioni di vita e di lavoro a cui purtroppo sono costretti.

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