Come il fondamentalismo cristiano statunitense ha alimentato l’omotransfobia in Uganda

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La scorsa settimana il parlamento ugandese ha approvato un disegno di legge contro le persone appartenenti alla comunità LGBTQ+. La legge, considerata una delle più dure del continente, prevede l’incarcerazione a vita in caso di rapporti sessuali con persone dello stesso sesso e la pena di morte per il reato di “omosessualità aggravata”, imputabile ai “trasgressori seriali” e a coloro che hanno rapporti sessuali con minori, anziani, soggetti incapaci di intendere e di volere e persone con disabilità.  

L’Unione Europea, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite hanno rapidamente condannato il contenuto del disegno di legge, mentre continua a mancare una solida presa di posizione delle istituzioni occidentali contro le ingerenze del fondamentalismo cristiano statunitense nella società ugandese, determinanti nell’estremizzazione dei sentimenti anti-LGBTQ+ all’interno del Paese.

Scott Lively e l’Anti-Homosexuality Act del 2014 

I primi gruppi fondamentalisti cristiani statunitensi arrivarono in Uganda nel corso degli anni ‘80, investendo fin da subito nella costruzione di strutture sanitarie, orfanotrofi e scuole nelle aree più disagiate del Paese. Tali operazioni, che si estesero rapidamente durante l’epidemia di HIV/AIDS degli anni ‘90, non si limitarono però alla creazione di infrastrutture e servizi: ad essere esportati furono anche i valori dei movimenti religiosi coinvolti. Il primo a intuire tale influenza fu il reverendo zambiano Kapya Kaoma, che dedicò parte della sua vita ad approfondire il legame tra il fondamentalismo cristiano statunitense e l’ondata di omofobia istituzionale sviluppatasi nell’Africa postcoloniale. 

In un’intervista rilasciata da Kaoma a Roger Ross Williams, regista del documentario God loves Uganda, il reverendo sottolinea la portata del fenomeno, affermando che l’Uganda fosse diventata “il banco di prova” per la diffusione delle ideologie dell’estrema destra cristiana statunitense.

I gruppi evangelici, protagonisti del documentario di Williams e di gran parte del lavoro di Kaoma, guadagnarono presto rilevanza all’interno del Paese, tanto da costituire oggi più di un quinto di tutte le ONG presenti al suo interno. I suoi principali esponenti religiosi, già altamente popolari in Uganda, raggiunsero notorietà internazionale in seguito alla divulgazione di numerosi frammenti di alcuni loro interventi. Tra tali leader spirituali si annoverano Martin Ssempa, qua conosciuto in maniera del tutto caricaturale in seguito alla diffusione di questo video, e Scott Lively, attivista anti-LGBT statunitense già noto per il suo libro The Pink Swastika, in cui sostiene l’omosessualità di Hitler e di altri importanti ufficiali nazisti e sottolinea il loro ruolo nel pianificare l’Olocausto. 

Lively si recò in Uganda nel 2009 per partecipare alla conferenza anti-LGBTQ+ Exposing the Truth behind Homosexuality and the Homosexual Agenda, tenutasi al Triangle Hotel di Kampala. Durante il suo intervento, l’attivista sostenne l’esistenza di un’istituzione malvagia, una minaccia – il movimento gay – che aveva l’obiettivo di distruggere la società basata sulla famiglia naturale, formata da un uomo e una donna eterosessuali uniti in matrimonio, e di reclutare i bambini al fine di farli diventare omosessuali. Alla base della propaganda di Lively c’era la convinzione che tale movimento si fosse già impossessato degli Stati Uniti, e che il suo prossimo obiettivo fosse proprio il continente africano; da ciò derivò la raccomandazione dell’attivista ai leader politici e religiosi ugandesi di “impedire che anche lì accadesse lo stesso”. 

Secondo Kaoma – che partecipò alla conferenza sotto copertura – alcuni punti chiave del discorso di Lively furono inseriti all’interno della bozza dell’Anti Homosexuality Act del 2014. 

L’eredità delle campagne anti-LGBTQ+ e l’Anti-Homosexuality Act del 2023

La macchina d’odio azionata dall’estrema destra cristiana non si è ancora fermata, portando non solo nuove minacce e abusi nei confronti della comunità LGBTQ+ ugandese, ma anche nuovi preconcetti. Seppur infatti già esistesse una legge – di derivazione coloniale – che criminalizzava l’omosessualità, l’idea dell’esistenza di una campagna di reclutamento infantile e di un movimento degli ex-gay (un insieme di associazioni di matrice religiosa che sostengono che sia possibile “guarire” l’omosessualità attraverso la preghiera o le terapie riparative) iniziò a diffondersi nel Paese all’indomani del discorso di Lively e in virtù delle attività dei gruppi fondamentalisti cristiani. Inoltre, come sottolinea Caleb Okereke, giornalista nigeriano e cofondatore di Minority Africa, il fatto che tali gruppi descrivessero l’omosessualità come un’importazione occidentale arricchì la propaganda omofoba ugandese di una “vena anticolonialista”. Le soggettività queer iniziarono ad essere considerate una minaccia alla cultura e ai valori ugandesi “tradizionali”, nonostante tale tradizionalità si rifacesse più all’Uganda postcoloniale che a quello precoloniale.

Un’inchiesta condotta da OpenDemocracy nel 2020 rilevò che più di venti organizzazioni religiose nordamericane avevano speso almeno 54 milioni di dollari, tra il 2007 e il 2020, per promuovere le proprie campagne anti-LGBTQ+ in Uganda. Del resto, quando l’Anti-Homosexuality Act venne dichiarato incostituzionale nell’agosto del 2014 non fu tanto per il suo contenuto, quanto per un vizio formale: essere stato approvato senza aver raggiunto il quorum previsto dalla legge ugandese.

L’attuale disegno di legge, che riprende per molti versi il contenuto del precedente, non è stato esente da influenze esterne. Diversi gruppi registrati negli Stati Uniti hanno preso attivamente parte all’organizzazione politica antecedente la proposta, tra cui la Fellowship Foundation, di cui fa parte anche il parlamentare David Bahati, promotore dell’Anti-Homosexuality Act del 2014, e Family Watch International.

La presidente di Family Watch International, Sharon Slater, è un’organizzatrice di punta all’interno di un collettivo composto da più di 150 attivisti ultraconservatori in Uganda, di cui fa parte anche il vicepresidente del Parlamento ugandese, Thomas Tayebwa. OpenDemocracy, che ha avuto accesso alla chat WhatsApp del collettivo, ha riportato un messaggio di Tayebwa inviato due mesi prima della presentazione della proposta di legge, in cui sosteneva che il terreno fosse ormai maturo per “ripresentare il disegno di legge contro l’omosessualità”. 

Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano a sostenere la possibilità di un imminente taglio agli aiuti verso l’Uganda qualora la proposta dovesse divenire legge, e a evitare qualsiasi commento sulle attività dei missionari quando interpellati sul caso.