Verso una salute universale. Conquiste e mancanze del Sistema Sanitario Nazionale

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In Italia l’assistenza sanitaria si basa su principi di universalità, eguaglianza ed equità ma, nei fatti, non tutti hanno accesso alle cure nello stesso modo. Per esempio, chi non ha una residenza legale non può avere una tessera sanitaria e, di conseguenza, un medico di base. Può andare in pronto soccorso, oppure, se non può pagare per uno specialista privato, sperare nelle associazioni mediche del terzo settore. Anche recarsi in farmacia per un antibiotico o un farmaco che richiede prescrizione medica diventa complicato.

Dall’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale nel 1978, le leggi che tutelano l’accesso alla salute sono state aggiornate più volte per diventare sempre più inclusive. Eppure, tra le differenti applicazioni regionali e alcuni vuoti normativi, esistono ancora oggi gravi disuguaglianze.

Medicina delle migrazioni

Il caso dell’accesso alla cure degli immigrati è un esempio di come una normativa nazionale sempre più attenta al tema nel corso dei decenni non venga declinata in modo adeguato e uniforme a livello locale.

Per i primi 20 anni dalla nascita del SSN, la possibilità di curarsi degli stranieri è stata per lo più sulle spalle di associazioni di volontari. Soltanto nel 1998 il loro diritto all’assistenza sanitaria è stato disciplinato organicamente dal Testo Unico sull’Immigrazione che garantisce la tutela della salute anche a coloro che provengono da Paesi extra-europei e vivono in Italia in condizione di irregolarità giuridica.

Per queste persone, è stato introdotto il codice Stp (Straniero temporaneamente presente), un sostitutivo della tessera sanitaria che riconosce una serie di cure e viene rilasciato a seguito di una dichiarazione d’indigenza.

Nel 2007, con l’ingresso nell’Ue della Romania e della Bulgaria, è nata l’esigenza di un sistema che tenesse conto della presenza nel paese dei neocomunitari, cittadini europei che, pur garantiti da trattati e accordi internazionali, potevano rimanere esclusi dall’accesso ordinario ai servizi sanitari.

È stato dunque istituito il codice Eni (Europeo non iscritto) che, pur con alcune differenze (ad esempio non può essere anonimo ed è regolato a livello regionale), si sovrappone a quello Stp (anonimo e con validità su tutto il territorio nazionale).

Nonostante sia prevista dell’accordo stato regioni n.255/2012, l’adozione in tutta Italia del codice Eni non è ancora avvenuta in Lombardia e Umbria, mentre la Puglia li rilascia solo per le urgenze. Una mancanza che crea una disparità sostanziale tra stranieri irregolari in base alla loro provenienza (se da Paesi dell’Ue o no) nella possibilità di accedere alle prestazioni ambulatoriali per la medicina essenziale.

Inoltre, le interpretazioni su quali siano le cure a cui hanno diritto i titolari di Stp ed Eni sono spesso diverse. “La normativa – spiega la Dott.ssa Cecilia Fazioli dell’Inmp, l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà – garantisce le cure urgenti, essenziali ancorché continuative, quelle che possono creare un danno se la persona non viene curata immediatamente o nel tempo. Questo “urgenti ed essenziali” nelle regioni Lazio e Campania si assimila ai Lea, i Livelli essenziali di assistenza, quindi tutti hanno accesso a tutte le prestazioni cui hanno diritto le persone iscritte al Sistema sanitario nazionale. Ma è difficile trovarlo scritto nelle direttive locali: in altre Regioni vige invece un’interpretazione restrittiva che limita l’accesso a chi non ha la tessera sanitaria alle sole cure urgenti, in alcuni casi si limita anche il rilascio stesso del codice Stp all’esigenza immediata di cura, mentre in Lazio e Campania il codice può essere rilasciato anche per screening e medicina preventiva”.

Questa variabilità, aggiunge Fazioli, “fa sì che spesso la materia sia lasciata in secondo piano, e che gli operatori che dovrebbero rilasciare i tesserini non abbiano tutte le informazioni per poterlo fare correttamente: così le persone che lo richiedono spesso sono rimandate indietro”.

Curarsi senza residenza

Un altro ostacolo a quelle “cure gratuite agli indigenti” garantite dall’art 32 della Costituzione, è il possesso di una residenza legale. Un problema contro cui ha lottato a lungo Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di strada, un’associazione che si occupa da 20 anni dei diritti dei senzatetto.

“La legge, 833 del 1978, – spiega Mumolo – all’articolo 19 stabilisce che per ottenere un medico di medicina generale bisogna avere il requisito della residenza, fondamentale anche per esercitare il diritto di voto o poter lavorare, in proprio o come dipendenti. Senza residenza in Italia, si perdono diritti alla previdenza sociale, al welfare e, soprattutto, alla salute. Non hai più la tessera sanitaria e quindi il medico di famiglia, puoi solo rivolgerti al pronto soccorso in caso di emergenza se stai per morire. Se hai malattie che necessitano di cure continuative come diabete, epatite, dermatiti, un antibiotico, è difficilissimo accedere al servizio sanitario”.

Un vero paradosso normativo: gli stranieri senza documenti possono almeno richiedere i codici Stp ed Eni, mentre, continua Mumolo, “i cittadini extra Ue con permesso di soggiorno ma sfrattati (e dunque senza residenza) o i cittadini italiani che finiscono in strada non hanno diritto a nulla, nei fatti”.

Come consigliere regionale in Emilia-Romagna, Mumolo ha ripresentato quest’anno una proposta di legge, arenatasi in passato, per dare un medico di famiglia alle persone senza dimora (circa 6mila in regione secondo l’ultimo censimento Caritas del 2016). Un provvedimento di civiltà, che tra l’altro, comporta una minor spesa per i pronto soccorso.

La proposta è stata approvata il 9 luglio dalla Commissione Sanità e il 29 luglio dall’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna, divenendo il primo caso in Italia. Nello specifico, dà la possibilità alle persone senza residenza presenti in regione, pur prive di un’iscrizione anagrafica, di iscriversi nelle liste degli assistiti delle AUSL (Azienda Unità Sanitaria Locale). Questo permette di potersi rivolgere in caso di malattia ai medici di medicina generale, anziché ai soli servizi di pronto soccorso.

Ad oggi, la legge sta venendo discussa da altre 8 regioni (Abruzzo, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Toscana, Veneto) e, in queste settimane, sarà presentata in Parlamento: un riconoscimento nazionale del medico di base a chi non ha la residenza sarebbe un passo fondamentale verso un pieno riconoscimento della salute intesa come diritto collettivo che lo Stato ha il compito di tutelare.

Dove non arrivano le istituzioni

Dove non arrivano le istituzioni, a cercare di colmare i buchi è spesso la società civile, con associazioni, volontari e ambulatori destinati a chi fatica ad orientarsi nella burocrazia italiana e spesso finisce respinto dal sistema nonostante tutto. Realtà grandi e internazionali oppure piccole e locali come Sokos, che, dal 1993, offre a Bologna assistenza socio-sanitaria gratuita a soggetti vulnerabili (immigrati senza permesso di soggiorno, senzatetto e chiunque viva in condizione di esclusione sociale).

Sokos non solo tenta solo di coprire anche le cure specialistiche non previste dagli Stp, come visite odontoiatriche o cardiologiche, ma assume anche un ruolo fiducia per chi viene ignorato dal sistema. “Le persone – racconta il direttore medico Natalia Ciccarello – spesso vengono da noi in cerca di ascolto, non solo perché stanno male: cercano sicurezza, un riferimento rispetto a cui non essere invisibili”.

Un vuoto normativo in cui l’intervento di associazioni come Sokos è fondamentale, è, ad esempio, l’attesa di tre mesi per il rilascio di Stp. “Uno straniero extra Ue – prosegue Ciccarello – entrato regolarmente in Italia, anche se indigente, viene considerato per tre mesi un turista, e ha quindi tutte le spese mediche a suo carico. Soltanto se si ferma oltre i tre mesi e non ha ottenuto il permesso per lavoro scatta l’irregolarità che permette di ottenere un codice Stp. Prima, di fatto, si è esclusi dalle cure, con tutti i rischi legati, per esempio, alle malattie croniche”.

In questi casi, in assenza di soluzione ufficiale, i medici di Sokos tentano soluzioni alternative: dialogando con le Usl o chiedendo aiuto a colleghi interni agli ospedali, spesso riescono a tamponare anche situazioni oncologiche gravi.

Nonostante gli sforzi e miglioramenti nel corso degli anni, il Sistema Sanitario Nazionale mostra ancora delle carenze nel garantire l’effettiva universalità delle cure. Mentre il mondo dell’associazionismo interviene come possibile, nuove leggi come quella approvata da Antonio Mumolo non dovranno restare un caso isolato.


Questo articolo deriva dal progetto “Pandemia senza documenti – Gli invisibili e l’accesso alla salute”, curato da Ghezzi Anna, Lodovini Alessandro, Scannavini Matteo e Tonnini Benedetta con l’azienda Dataninja