Nato a Milano, dopo 18 anni sono italiano ma al referendum non ho potuto votare

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Mi chiamo Ken, sono nato nel 2001 da genitori giapponesi, a Milano.

Sono stato svariate volte in questura per rinnovare il permesso di soggiorno. Ogni due anni, ore di attesa di fronte alla questura per più giorni, senza avere la certezza di ricevere quella tessera gialla che ti permette di avere di conseguenza la carta d’identità e la tessera sanitaria. Insomma, tutto.

Una situazione di ansie, frustrazioni e limiti, che sono svanite quando in una giornata di settembre del 2019 è arrivata una lettera dal Comune, che mi informava della possibilità di poter fare richiesta e diventare cittadino italiano con costi decisamente minori poiché residente in Italia da quando ero nato.

Ho fatto domanda a gennaio. Non so in condizioni normali quanto ci avrei messo, ma con la pandemia in corso, il 28 maggio ho fatto il giuramento. Il 29 maggio, sono diventato legalmente Italiano.

Quello è stato il giorno in cui mi sono detto che, dopotutto, la burocrazia italiana non è così tanto noiosa e lunga come pensavo quando ancora non ero cittadino europeo.

Inoltre, il trattamento.

Per rinnovare il permesso di soggiorno è presente uno spazio che ti permette di stare al caldo in inverno e relativamente al fresco in estate. Ma per entrare in quel “paradiso” è necessario attendere ore davanti a cancelli di ferro, senza sedie a disposizione, in mezzo al marciapiede.

Ci sono alcune questure che richiedono addirittura la fila. Ma quella fila è talmente lunga che ti porta ad attendere in mezzo la strada. A volte pensavo che far parte di un bestiame. Dopo tutto non è tanto male.

Per diventare cittadino italiano invece è bastata un’ora di attesa in un corridoio di uffici del comune e un quarto d’ora, forse meno, per il giuramento.

Quello che sto per presentare è sicuramente un problema di tempistiche, contesto e sfortuna.

Dal 29 maggio io sono un cittadino italiano senza carta d’identità con “i poteri”. Ho ancora la carta d’identità che dice che sono giapponese, quella che dice che non è valida per l’espatrio. Quella che né una domenica di settembre, né il giorno dopo, mi avrebbe permesso di votare. Ho la carta d’identità che mi identifica come persona, ma non come cittadino italiano.

Ironia della sorte: qualche giorno prima era arrivata un’altra lettera firmata dal Sindaco di Milano Giuseppe Sala e in allegato era presente la tessera elettorale.

Insomma, avevo la possibilità di votare, ma non il mezzo.

Consapevole dell’esito che avrebbe avuto il referendum, non ho avuto quella grande frustrazione che ho provato invece durante le europee in cui non potevo votare sia per questioni di cittadinanza ma anche per questioni anagrafiche.

Si è sempre detto che votare è importante. Oggi aggiungo che poterlo fare lo è ancora di più.