La storia di D. e M., stranieri italiani

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In Italia coesistono più di duecento comunità diverse. Ogni persona che mette piede sul suolo italiano porta con sé un bagaglio di cultura e nostalgia per il paese nativo appena lasciato. I motivi d’ingresso in Italia possono essere divisi in due macro-categorie: ricerca di un lavoro e ricongiungimento familiare da una parte, e protezione e asilo politico dall’altra. Il primo in forte calo negli ultimi anni, il secondo in forte crescita e dovuto per lo più a fattori di spinta che di attrazione. 

Al contrario di quanto si crede, la maggior parte delle persone all’interno del processo migratorio partecipa in maniera estremamente consapevole. Dati dell’Istat confermano che il 65,9 % degli immigrati era in possesso di informazioni sull’Italia prima ancora di arrivarvi, mentre il 2.4% dichiara di esserci stato ancor prima di decidere di stabilirsi in modo permanente nel paese. 

I primi giorni in Italia sono i più traumatici. La ricerca di un’abitazione e le infinite procedure burocratiche sono le principali attività che occupano le giornate. Tutto questo è accompagnato da una forte sensazione di smarrimento e paura. Le persone che arrivano hanno abitudini, valori e ideologie diverse. Eppure, non è la differente cultura il reale motivo di preoccupazione quanto, invece, la diversità stessa.

Di solito, gli immigrati che entrano nel paese sono in età da lavoro. Spesso, gran parte di loro ha avuto precedenti esperienze lavorative nel loro paese d’origine, ma una volta qui, nonostante la paga migliore, subisce un forte declassamento occupazionale. Ciò è dovuto a diversi fattori: barriere linguistiche, titoli di studio non riconosciuti o semplicemente mancata conoscenza del nuovo contesto di lavoro.

Ogni straniero vive un percorso diverso. È una scommessa in cui ci si gioca il tutto per tutto, spesso anche la propria vita. Non importa quanto possa essere spaventoso, l’unica cosa che importa è che ne vale la pena. La lontana ed incerta prospettiva di una vita migliore supera mille volte quella di una vita nella paura o una vita volta all’incertezza economica. 

M. è arrivato in Italia a 10 anni insieme alla madre e al fratello. Il padre si era trasferito 9 anni prima a Roma in cerca di lavoro. Ricorda i primi anni di scuola come un bel periodo. Gli altri bambini l’avevano accolto come solo i bambini sanno fare, con una concezione del “diverso” che non ha niente della cattiveria e della diffidenza che sembra arrivare poi in età adulta.

Quali sono state le principali difficoltà che hai riscontrato a scuola?

Sono arrivato da un Paese in cui la scuola non è accessibile a tutti. In Bangladesh l’intero sistema scolastico è privatizzato, se vuoi andare a scuola devi pagare. Appena arrivato sono stato inserito in prima media, un anno indietro rispetto ai ragazzi della mia età. Sono sempre stato un bambino curioso, mi piaceva andare a scuola. L’unico problema era che in pratica non ci capivo niente. La grammatica italiana è difficile. Volevo studiare ma non avevo gli strumenti e le conoscenze necessarie. I miei professori hanno provato ad aiutarmi, ma non potevano certamente starmi dietro tutto il tempo. Quello di cui avevo bisogno era un vero e proprio corso di alfabetizzazione o almeno un insegnante di sostegno. Purtroppo, sono poche le scuole che prevedono aiuti di questo tipo. Ho fatto del mio meglio, ma non sempre basta. Sono stato bocciato e ho dovuto ripetere la prima media.

Hai mai vissuto episodi in cui ti sei sentito a disagio per il fatto di essere straniero?

Quando ho cominciato il liceo le cose sono cambiate. Più i ragazzi crescevano, più si allontanavano da quei bambini che all’inizio mi avevano accolto con gioia. Piccole frasi razziste e atteggiamenti provocatori sono diventati all’ordine del giorno. La mia religione era quello su cui “scherzavano” di più. Integrarsi non è un gioco. Non basta avere una mente aperta, guardare la partita della Roma e amare la pizza. Spesso i tentativi vengono vanificati da una forte diffidenza degli autoctoni e dal peso di una cultura e di una famiglia alle spalle con valori diversi, spesso più conservatori. Forse è proprio questo quello per cui ho più sofferto: rifiutare l’invito per andare a bere una birra a 17 anni o per andare a ballare in discoteca a 18 è stato ciò che per tutti gli anni della mia adolescenza mi ha costantemente ricordato la mia diversità. 

Non c’è un episodio preciso che posso descrivere, per il semplice motivo che ogni giorno mi alzo e devo combattere. Combattere con gli sguardi della gente, con la diffidenza e con la mentalità un po’ chiusa dei miei genitori. È proprio questa infinita lotta che mi fa costantemente sentire uno straniero. È stancante.

Se potessi chiedere agli italiani di cambiare qualcosa nel loro modo di accogliere chi, come te, viene a vivere in Italia, cosa chiederesti?

A nessuno va di lasciare la propria casa. Le persone che arrivano qui non si sono svegliate un giorno con l’idea di venire in Italia. Se sono qui è perché la situazione nei loro paesi era diventata invivibile. E poi basta con questa cosa delle diversità! Diverso da cosa poi? Se potessi, chiederei alle persone di smetterla di avere paura. Io sono un tipo molto simpatico, ho bisogno di amici.  Datemi una chance. 

La storia di D. è invece molto diversa. Mette in luce un altro aspetto del processo di migrazione: quello della burocrazia, di infiniti tempi di attesa e di un viaggio molto più travagliato. È una storia di violenza.

D. ha lasciato il Sudan a 19 anni ed è passato per i centri di prigionia in Libia. Il suo viaggio è durato mesi e i segni sono ancora ben impressi. 

Quali sono i problemi principali nella procedura di richiesta di asilo?

È possibile fare la richiesta d’asilo nel centro di prima accoglienza. Non è scontato che la domanda venga accettata. È richiesto un colloquio in cui bisogna raccontare la propria esperienza e dimostrare che ci siano motivi validi dietro la domanda d’asilo. Molte persone hanno paura che la loro storia non venga considerata abbastanza grave e non abbia i requisiti adatti, quindi capita che utilizzino storie standardizzate o storie di altri richiedenti. Il problema è la mancanza di informazioni disponibili e la poca trasparenza su tutte le procedure. Quasi tutte le persone che arrivano non conoscono la lingua. Durante il colloquio è possibile avere un interprete ma questo vuol dire, comunque, affidare la propria storia ad un estraneo. I tempi di attesa sono lunghissimi e vivere in una situazione di insicurezza per molti mesi è straziante. 

Come hai trovato il tuo primo lavoro?

Prima di arrivare in Italia, sognavo di poter lavorare in qualche azienda. Pensavo di poter sfruttare la mia conoscenza dell’inglese e del francese. Non è andata come sognavo: il mio primo lavoro non era nemmeno un vero lavoro. Stavo fuori dai supermercati per giornate intere e aiutavo le persone a portare le buste in macchina o riportavo indietro i carrelli. Poi un giorno, un miracolo. Ho iniziato a parlare con una signora, credo di esserle stato simpatico perché quello stesso giorno mi ha portato a casa sua e mi ha offerto un lavoro: aiuto nelle pulizie della casa e giardinaggio. Ho iniziato a frequentare la sua stessa chiesa, e ho conosciuto tante persone che hanno iniziato ad assumermi per diversi lavori. Sarò per sempre grato per l’opportunità che mi è stata data. Ho scoperto la passione per il giardinaggio e ci sto puntando molto per una futura professione.

Se potessi tornare indietro nel tempo, rifaresti le stesse scelte? Verresti comunque in Italia?

Domanda difficile. Ci penso spesso e credo che la risposta sia si, lo rifarei. Ho sofferto tanto nella mia vita, ma adesso sono qui, ce l’ho fatta e sono felice. Non voglio dire che giustifico le violenze che ho subito solo perché adesso ho una vita migliore, non potrei mai. Voglio dire che io, in quanto essere umano, merito una vita come tutti gli altri, una vita che possa essere trascorsa con dignità. Nel mio Paese non c’era questa possibilità, quindi ho deciso di andarmela a prendere da un’altra parte. Non ho dimenticato ciò che ho vissuto e non mi aspetto di farlo. Le mie cicatrici e i miei ricordi rappresentano tutto ciò che non va nel mondo e tutto ciò che deve essere cambiato.