L’Ungheria del “despota” Orbán ai tempi dell’Unione Europea (e del Coronavirus)

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Con l’aiuto di Stefano Bottoni, docente dell’Università degli Studi di Firenze e autore del saggio “Orbán un despota in Europa”, ricostruiamo gli eventi accaduti nel mese di marzo in Ungheria. Analizziamo l’evoluzione del rapporto tra l’Ungheria e l’Unione Europea dopo il conferimento dei pieni poteri al premier Viktor Orbán e le conseguenze di tali fatti sulla comunità europea.

Si è visto come il Premier Orbán, dapprima scettico come Trump, abbia cambiato rapidamente opinione in merito alla pericolosità del virus il weekend del 14 e 15 marzo. Quali sono stati i cambiamenti più rilevanti adottati dal suo Governo riguardo la società ungherese? Quali sono stati i settori maggiormente influenzati da questo suo repentino cambio di prospettive?

In Ungheria la pandemia ha iniziato a diffondersi molto più tardi che in Italia, circa due settimane dopo, con il primo caso registrato il 4 marzo. Nella prima settimana, complice il fatto che la maggior parte dei casi riguardavano studenti iraniani dell’Università medica di Budapest, è stata impostata dai media ufficiali e dalla comunicazione governativa una campagna tesa a dimostrare che si trattasse di un virus straniero, che stava attaccando il corpo della nazione, ma che questo fosse fondamentalmente sano e che quindi questi “untori iraniani” potessero essere isolati dal resto della popolazione e dovessero anche essere stigmatizzati.

Questa campagna è collassata nel momento in cui si è scoperto che il virus stava cominciando a circolare proprio attraverso “ungheresi purosangue” che tornavano dalle vacanze sciistiche in Austria o in zone dell’Italia settentrionale già colpite.

Il premier Victor Orbán ha quindicambiato improvvisamente idea. Ha rinunciato a quella linea a metà tra Trump, Bolsonaro e Boris Johnson, non negazionista, ma fortemente riduzionista con venature anti-straniere. Solo durante quel fine settimana drammatico ha deciso, come diversi paesi europei, di chiudere i confini. L’Europa si è richiusa: il trattato di Schengen è stato sospeso. Orbán dopo molte esitazioni ha deciso di chiudere le scuole da lunedì 16 marzo e di avviare una nuova fase. È stato il momento in cui il governo ha iniziato a concepire il piano politico e anche di architettura giuridico istituzionale che poi avrebbe portato a fine mese all’approvazione della molto discussa legge sui pieni poteri.

A proposito dell’assunzione dei pieni poteri è stata solo l’emergenza a renderla possibile o vi sono stati anche degli altri fattori?

Nel caso dell’Ungheria di Orbán non dobbiamo dimenticare un fatto molto importante: questa assunzione di pieni poteri, che è stata definita da parte della stampa un “putsch antidemocratico”, in realtà non lo è. La sua gestione del potere e l’esercizio delle sue funzioni hanno già caratteristiche quasi illimitate e questa manovra è solo il coronamento di un percorso politico che ormai dura da un decennio. La legge sui pieni poteri è importante perché ha dato al governo un margine amplissimo per gestire i tempi della pandemia. Il quale, ad un mese di distanza, si sta rivelando uno degli aspetti più difficili di tutta questa crisi. Gestire la fase 1 è “facile”, il problema è quando e come riaprire: il margine di discrezionalità del governo diventa assolutamente fondamentale. Infatti, la legge approvata non stabilisce un limite temporale, ma dice che sarà il governo stesso a decidere il momento di uscita del paese dallo stato di emergenza e di reinstallare il parlamento e gli altri organi costituzionali nella loro pienezza di poteri.

Inoltre, in Ungheria la Costituzione del 2012, che Orbán aveva fatto approvare dopo essere andato al governo, pone un margine breve di 15 giorni, perché non si pensava ad una pandemia. La Costituzione preparava il paese ad affrontare catastrofi naturali come un terremoto o una grande alluvione, non una situazione simile a quella che si sta verificando. Quindi Orbán a metà marzo ha colto immediatamente le grandi potenzialità politiche di questa pandemia: ampliare ulteriormente i margini del potere e mettere nell’angolo l’opposizione, definita l’alleata del virus. Da una parte chi lotta contro il virus, dall’altra l’opposizione nemica della popolazione ungherese che sta soffrendo.

Ci sono poi altre technicalities come l’invio di militari in imprese considerate strategiche, con la militarizzazione di alcuni settori dell’economia. C’è stata la normativa severa contro chi venisse sorpreso a diffondere fake news, anche se non è stato ancora denunciato né condannato nessuno. Non è però da oggi chele autorità vietano ai giornalisti qualunque tipo di contatto diretto con gli ospedali. Quindi il problema come spesso succede con Orbán non è tanto la legge, il cavillo giuridico, sul quale lui ha quasi sempre ragione. Il problema è il contesto generale in cui la legge viene applicata: un dominio totale sulla situazione.

Per concludere, la legge di fine marzo ha ampliato a dismisura un set di poteri di cui Orbán disponeva già e che adesso può usare con ancora più ampi margini di discrezionalità.

Proprio in merito a questo tipo di poteri che ha acquisito il premier Orbán, quali sono state le misure concrete adottate dal governo dopo l’assunzione dei pieni poteri?

Oltre all’invio dei militari a presidiare 140 aziende strategiche, c’è stata poi una misura messa in atto dal Ministro delle Risorse Umane, il quale ha emanato una direttiva agli ospedali ordinando di liberare entro 8 giorni il 60% di tutti i posti letto disponibili. La reazione dei medici e dei direttori sanitari è stata tra lo sbigottito e l’infuriato. Anche se alcuni hanno provato a resistere, questo concretamente ha significato mandare a casa centinaia di persone, molte delle quali sono morte. Ad oggi abbiamo 3500-3600 casi registrati con 370-80 morti, quindi, il caso ungherese non è assolutamente tragico in termini di emergenza sanitaria. Questa pandemia diventa per Orbán anche l’occasione di affrontare una riforma sanitaria complessiva, con una razionalizzazione di posti letto. Nessuno poteva immaginare che in realtà uno degli aspetti più drammatici della pandemia in Ungheria non sarebbe stato quello dei morti di Covid. La tragedia ha coinvolto esattamente gli ospedali, i medici o i direttori sanitari, che sono stati messi di fronte alla scelta se obbedire a degli ordini disumani oppure essere rimossi, come successo per duedirettori.

Sempre riguardo a questa manovra come è stata percepita dall’opinione pubblica ungherese? 

La mia impressione è che la popolazione ungherese sia ormai assuefatta da questo sistema. Lo conosce molto bene, come dicono gli ungheresi “come i soldi cattivi” (mint a rossz penz). Orbán è ormai molto prevedibile, lo è nella sua gestualità, lo è nelle battutine che fa, quindi è difficile immaginare che la popolazione sia rimasta molto sorpresa. Mi ha stupito moltissimo la rivolta che c’è stata anche dal suo stesso partito. Era il 13 marzo quando Orbán, come tutti i venerdì mattina dalle 7:30 alle 8, ha tenuto un discorso sulla Radio pubblica ungherese. Si è rivolto agli insegnati e agli studenti minacciando loro di perdere lo stipendio e l’intero anno scolastico, con la chiusura delle scuole dal lunedì successivo. Durante la giornata i cellulari e le tastiere sono diventati roventi: il partito e il premier stesso sono stati coperti di una valanga di insulti e molti sindaci hanno cominciato a telefonare a Budapest. La sera Orbán si è presentato in diretta Facebook dal suo canale personale dicendo che aveva ascoltato le parole del paese e aveva deciso di chiudere le scuole dal 16 marzo, ma che il paese sarebbe stato forte e bravo, superando tutte le difficoltà. Un’apparizione totalmente diversa da quella di 12 ore prima. Quindi qualcosa sicuramente è cambiato. Questo ci dice fondamentalmente una cosa: che Orbán continua ad avere una capacità di manovra tattica e di essere flessibile nei momenti topici. Ed è questo che lo rende molto superiore ai suoi avversari ed in grado anche oggi di dominare anche le critiche che arrivano da settori ampi della popolazione. L’Ungheria si è messa nelle mani del proprio governo, come più o meno tutte le opinioni pubbliche europee. Questo vuol dire che il controllo sociale e sull’apparato è ormai quasi totale. Pochissimi sono in grado o hanno l’intenzione di sfidare apertamente questo tipo di sistema.

Vogliamo indagare la reazione dell’Europa a questa deriva che ha preso il governo ungherese. Come cambierà l’assetto del Partito Popolare Europeo, di cui il partito Fidesz del premier Orbán fa parte? Quale dovrebbe essere la risposta della Comunità Europea?

Il Partito Popolare Europeo è una forza importante ma continuamente declinante. Il suo grande timore è che Orbán si porti via anche voti e sostegno dell’opinione pubblica Europea. Orbán da anni rappresenta un’ala del Partito Popolare Europeo e una parte dei sentimenti e delle pulsioni dell’opinione pubblica europea, che alcuni politici condannano ma che in realtà “ascoltano con un altro orecchio”. Orbán diventa uno strumento attraverso il quale vengono fatti passare determinati messaggi, come nel caso della crisi migratoria del 2015/16. Il Partito Popolare Europeo, che è la casa di Victor Orbán e di Fidesz da ormai vent’anni, ha un problema di identità. Secondo Orbán un partito di destra deve fare politica di destra, con un’identità di destra. Ed è questo quello che dice ai suoi. Nonostante questo sia un regime corrotto, dobbiamo riflettere anche sulle enormi responsabilità dell’establishment europeo nell’alimentare e nel colludersi con esso e con la sua incapacità giuridico-politica di metterlo alle corde nei momenti più importanti. Probabilmente la risposta di lungo periodo non arriverà mai dalla Comunità Europea o dall’Unione Europea, ma arriverà dagli ungheresi stessi o da una crisi che spazzerà via il sistema. Oppure il sistema collasserà per le proprie contraddizioni interne. La risposta arriverà dunque con il tempo.

La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha dichiarato di essere preoccupata dalla situazione in Ungheria e che “Gli Stati – ammette – in certi casi devono prendere misure d’emergenza, ma talune misure si spingono troppo in là”. Le misure messe in atto da Orbán non sembrano proporzionate come richiesto dall’UE. Sarà necessario intervenire nuovamente sulla questione per gli alti esponenti politici europei?

L’esperienza storica, che come storico cerco di analizzare leggendo i fatti sul lungo periodo, è quella che Orbán ha fatto negli ultimi 30 anni del funzionamento dei meccanismi europei profondi. Le parole della Von der Leyen semplicemente riflettono un’aspettativa della stampa europea e di alcuni circoli europei, che sono molto duri nei confronti di Orbán ma che non hanno alcuno strumento giuridico per attaccare il sistema.
A livello di istituzioni europee si è espressa Věra Jourová, commissario europeo della Repubblica Ceca, affermando che lo stato d’emergenza ungherese non sembra violare i limiti e la cornice giuridica prevista dall’Unione Europea. Da allora questa dichiarazione viene utilizzata dalla stampa di sistema ungherese e dagli esponenti intellettuali vicini come una prova del fatto che in realtà non c’è nulla per cui scandalizzarci. È stato sollevato un gran polverone a livello mediatico, ma senza gli strumenti per trasformarlo in una critica dei contenuti. Quindi il problema è l’impotenza delle istituzioni europee nella gestione di un fenomeno politico che ormai travalica i confini ungheresi e che in Ungheria ha una presa quasi totale.
Il sistema ungherese è fortemente dipendente dagli investimenti stranieri, è un’economia apertissima, votata all’export con un mercato interno trascurabile, con mezzo milione abbondante di ungheresi che lavorano stabilmente all’estero, principalmente in Austria o in Germania.  Finché Orbán non vede una telefonata arrivare da Berlino generalmente non si preoccupa.

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