News delivery: il microtargeting e l’informazione passiva

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Dalla loro nascita a oggi i social network – e internet in generale – hanno conosciuto un rapidissimo sviluppo, che ha prodotto una vera e propria rivoluzione nel campo della comunicazione. Una rivoluzione che ha portato con sé tutta una serie di cambiamenti nel modo di fare informazione, marketing, e nel relazionarsi tra le persone.

Il web ha migliorato le nostre vite sotto diversi aspetti, come abbiamo potuto constatare durante la pandemia, quando ci ha permesso di restare in contatto con le chi era lontano. Al tempo stesso, però, al suo interno sono emerse dinamiche pericolose, che rischiano non solo di compromettere le libertà individuali, ma di ledere lo stesso tessuto sociale. 

Specialmente in quest’ultimo periodo – che ha visto incrementare il nostro tempo online – è cresciuto il fenomeno del microtargeting.  Questo articolo si propone di illustrarne le strategie, al fine di mettere in guardia il lettore dai pericoli che un uso inconsapevole di questi potenti mezzi di informazione può arrecarci. 

Innanzitutto: cosa si intende per microtargeting? 

Con questo termine si indica quella strategia, impiegata anche in ambito politico, operata per influenzare particolari persone o gruppi di persone attraverso il reperimento e immagazzinamento di dati personali. Basandosi su ricerche, attività sui social, siti visitati, o gli stessi dati presenti sul nostro telefono, è possibile tracciare un nostro profilo psicologico e individuare le nostre preferenze, per poi inviarci pubblicità, notizie, o articoli che potrebbero interessarci. Questa pratica non è  recente, ma il suo impiego ha avuto un ruolo decisivo in quest’ultimo periodo, grazie all’enorme mole di informazioni che  accumulata su siti web e social network, causando anche scandali e terremoti mediatici.

Come già accennato, infatti, questa strategia è ampiamente utilizzata in ambito politico. Grazie ai dati che si ottengono, si può decidere su quale linea impostare la propria campagna politica, andando a trattare temi particolarmente caldi, e dunque racimolando voti facendo della pura demagogia. Chi naviga il web è costantemente bombardato da news, link, post, storie, tweet che trattano le tematiche più svariate, e spesso e volentieri dà per scontato che ciò che si legge sia vero. Il problema sorge nel momento in cui, sulla base del profilo che è stato tracciato a loro insaputa, si ricevono informazioni che andranno esclusivamente a confermare le personali convinzioni pregresse, per sbagliate che siano. Chi crede, ad esempio, che l’adozione da parte di coppie omosessuali porti a disagi per i bambini, riceverà notizie di studi su presunti traumi che hanno colpito i figli di suddette coppie. 

Non si tratta più di fare giusta informazione, ma di produrla e basta. Il campo dell’informazione si fa sempre più simile ad una fabbrica in cui vengono costantemente assemblate notizie su notizie. La parola d’ordine sembra essere diventata una sola: produrre. Le fake news trovano in questo modo l’ambiente adatto per proliferare.

Un tempo i giornali riportavano più o meno gli stessi fatti – ovviamente con tagli differenti a seconda del quotidiano – e si creava così il dibattito pubblico. Opinioni contrastanti potevano incontrarsi e confrontarsi. Adesso tutti ricevono notizie differenti, anche in contraddizione tra loro, ma senza che nessuno sappia quale sia la “verità”, venendo a creare una dimensione esclusivamente privata dell’informazione. Si costituiscono delle vere e proprie bolle di informazione che fluttuano nello stesso spazio senza mai entrare in contatto tra loro. Com’è evidente, i rischi non sono solo per la privacy degli individui – messa a serio rischio da un simile trattamento dei dati – ma per lo stesso tessuto sociale.

Da questa situazione traggono vantaggio molti politici, che sfruttano le paure delle persone di fronte a false notizie sensazionalistiche, cavalcano l’onda dell’entusiasmo degli elettori, si presentano come paladini della giustizia. È sufficiente guardare la campagna politica americana di Trump, per rendersi conto della pericolosità del binomio microtargeting + fake news. L’ex presidente americano ha fatto ampiamente ricorso a simili strategie, inondando di tweet e post i suoi social, condividendo notizie false e addirittura manipolando video per screditare i suoi avversari, arrivando anche ad appoggiare teorie del complotto come QAnon. In tal modo si è creata la fittizia immagine di uno scenario politico disastrato e corrotto in mezzo a cui egli si erge quale unico salvatore. Non è finita qui: è stato scoperto un grave coinvolgimento di Cambridge Analytica – una società che immagazzina e gestisce i “big data” dei social – nelle elezioni americane, durante le quali quindi gli elettori sono stati influenzati attraverso i loro profili social.

Gli scontri politici non assumono più la forma del dibattito democratico nelle piazze, bensì quella del campo da guerra sui social. I politici si danno battaglia a colpi di tweet, post, video, foto, fake news, che danno in dotazione come fossero munizioni al loro esercito di elettori armati di computer e cellulari: a prevalere è chi ha più cartucce.

Cosa si può fare in un simile scenario? Dobbiamo rassegnarci alla sorte ormai segnata di un dibattito che scompare? Dovremo adeguarci ad un’informazione sempre più incerta? 

La risposta è no: una via di uscita c’è. 

Com’è evidente, questa pericolosa strategia di influenza si basa principalmente su una caratteristica degli individui: la loro passività. Se un tempo era il pubblico che si informava, cercando attivamente le notizie, prendendo parte di spontanea volontà ai dibattiti e assistendovi direttamente, ora, nella società del tempo economizzato, è l’informazione a ricercare i suoi soggetti. Essa viene “consegnata a casa”, come fosse un pranzo: si potrebbe parlare di “news delivery”. Se il “cliente” spendesse un po’ del suo tempo per verificare la qualità del “cibo” che gli viene recapitato, si renderebbe conto della sua tossicità e l’intero sistema perderebbe di efficacia.

Insomma: l’unico modo per porre un freno a questo fenomeno è che ognuno di noi si assuma le proprie responsabilità. Non basta limitarsi a leggere, ma occorre anche verificare, e soprattutto c’è bisogno di ricostruire un dibattito, andandoci a confrontare con chi ha opinioni diverse dalle nostre senza scadere in imbarazzanti litigi. Il confronto è il seme da cui fiorisce l’albero della corretta informazione e il suo frutto è un’opinione pubblica sana. Sta dunque a noi, renderci protagonisti della corretta educazione o essere spettatori del suo tramonto.