Facebook e l’anima di Internet: la strada (in salita) verso il futuro

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Il mondo non è più quello di una volta. Aggiorniamo i nostri amici con un veloce tweet, curiamo i nostri profili Instagram, ci informiamo su Google e Facebook sembra conoscerci meglio di chiunque altro. Positivo o negativo che sia, è un cambiamento ormai avvenuto, internet è parte della nostra quotidianità. Ma di che tipo di impatto parliamo? E soprattutto, che tipo di azioni dobbiamo intraprendere per monitorare tale impatto sulle nostre vite?

A provare a rispondere è stato Nick Clegg, vicepresidente affari internazionali e comunicazione di Facebook, alla conferenza “The fight for the soul of the Internet” presso l’università Luiss Guido Carli.

Ciò che è importante capire, secondo Clegg, è che esiste un’altra Internet, l’altra faccia della moneta, quella positiva. Ogni tanto è indispensabile abbandonare le visioni pessimistiche sui pericoli del web e dei social network, nonostante siano comunque essenziali per un uso appropriato e consapevole, e concentrarsi sui miglioramenti che essi hanno apportato.

Facebook e Internet non sono solo grandi raccoglitori di Big Data e il loro intento non è quello di mettere a repentaglio la nostra privacy, anche se i dibattiti etici e morali sulla questione sono più che legittimi. Quello che è veramente sorprendente e che va protetto sono la potenzialità e il potere produttivo di queste grosse quantità di dati raccolti.

«Data è informazione. Ma sui social media è un tipo di informazione che racconta la storia di chi siamo e di cosa vogliamo. Un ritratto della nostra personalità, pitturato con tanti zero e uno. Quando le persone condividono sui social media, non ci stanno solo dando informazioni, ci stanno affidando la responsabilità di proteggerle e di far sì che la loro esperienza nell’utilizzo dei social sia appagante», afferma Clegg.

Internet e i social media ci hanno spinto ad affrontare con un approccio nuovo e un diverso sguardo numerosi dilemmi etici: qual è il giusto equilibrio tra privacy personale e il bisogno di sicurezza? Dove tracciare la linea tra libertà di espressione e contenuti nocivi?

«Contrariamente a ciò che si pensa, nonostante Facebook non crei i contenuti, si impegna nel creare dei limiti. È una responsabilità che i social hanno assunto autonomamente: Facebook ha triplicato lo staff fino a quasi 35mila dipendenti, è capace di identificare e rimuovere l’80% del “hate-speech” ancora prima che venga contestata dagli utenti e la quantità di fake news è diminuita del 50% dal 2016«.

Il prossimo passo è quello di sviluppare nuove norme che si basino su valori condivisi e che riflettano il modo in cui vogliamo che Internet sia.

Esistono due tipi diversi di Internet attualmente: un primo modello, quello occidentale, basato su libertà di espressione e in continuo aggiornamento, e un secondo modello, quello cinese, sottoposto a un forte controllo statale, censura e sorveglianza.

In questa polarizzazione, l’Unione Europea può e deve essere protagonista nello sviluppo di tali regolamentazioni. Nonostante non abbia lo stesso potere commerciale di Stati Uniti e Cina, Clegg è convinto che in materia di legislazione l’Europa abbia un ruolo centrale e riconosciuto in tutto il mondo. L’Unione Europea è costituita da stati con lingue e culture diverse, questa eterogeneità può rappresentare un grande vantaggio se utilizzata nel modo giusto: «Se una legge riesce a essere accettata in Europa, nonostante le grandi diversità, allora può essere accettata ovunque».

Data la natura dei problemi da affrontare, le compagnie private non possono intraprendere questa strada in modo completamente autonomo e senza alcun sostegno ma devono essere affiancate dai governi per definire delle regole.

Mark Zuckerberg ha già individuato 4 aree in cui l’applicazione di norme potrebbe fare la differenza: contenuti nocivi e pericolosi, elezioni, privacy e portabilità dei dati. Adesso tocca ai governi iniziare a lavorare in modo pratico. Esiste la possibilità che il nuovo gigante tecnologico si sviluppi proprio in terra europea. Gli ingredienti chiave, secondo Clegg, sono: talento, un ampio consumo domestico, un buon clima imprenditoriale, ricerca negli ambienti universitari, una cultura di sperimentazione e novità.

Probabilmente solo in pochi sono a conoscenza del modo in cui Facebookha trasformato e migliorato l’intero modello economico a livello internazionale. I seguenti dati riportati dal vicepresidente ne sono la prova: in totale, in Europa, quasi 25 milioni di compagnie utilizzano Facebook per fini pubblicitari. Il suo utilizzo ha aiutato a generare più di 200 miliardi di euro l’anno scorso, andando a supportare circa 3 milioni di lavori.

Le compagnie che utilizzano il social network sono più propense all’esportazione internazionale e Facebook le ha assistite nel generare un guadagno pari a 100 miliardi in vendite, quasi due volte il valore totale delle esportazioni annue italiane. Le piccole e medie imprese hanno l’opportunità di raggiungere clienti come solo le grandi multinazionali potevano fare, l’obiettivo ora deve essere quello di creare un mercato digitale globale.

Clegg fa infine un appello ai “policy-makers”: Facebook, i social media e Internet producono un guadagno reale, hanno il potenziale per trasformare la vita delle persone e rappresentano uno strumento per raggiungere gli obiettivi globali. Bisogna evitare che il modello cinese diventi quello dominante e bisogna collaborare nella realizzazione di un sistema di norme capace di rendere internet un posto sicuro e pieno di opportunità per tutti gli individui.

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