Next Generation Italia, intervista all’On. Massimo Ungaro

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Entro fine aprile il governo Draghi dovrà presentare alla Commissione Europea come intende spendere i 209 miliardi del Recovery Fund. Le due bozze circolate tra dicembre e gennaio hanno dimostrato che l’Italia sembra non voler seguire l’indicazione della Commissione Europea sull’inserimento di un sesto pilastro dedicato alle “politiche per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani, come l’istruzione e le competenze”. In Parlamento, nel frattempo, è stato creato un nuovo intergruppo parlamentare, “Next Generation Italia”, dedicato all’equità generazionale e alle politiche giovanili. Ne parliamo in questa intervista con l’On. Massimo Ungaro di Italia Viva, membro e coordinatore di questo nuovo intergruppo.

Il 24 marzo è nato l’intergruppo parlamentare “Next Generation Italia”, perché l’esigenza di un nuovo intergruppo dedicato ai giovani? Quali saranno i primi passi?

L’esigenza nasce dal fatto che le risorse destinate alle future generazioni sono troppo basse in Italia. Questo sia se le compariamo in via storica che con l’allocazione dei fondi per i giovani negli altri paesi. Diritto allo studio, spese per la mobilità sociale per l’entrata nel mondo del lavoro e per la formazione. L’Italia è il penultimo paese che investe in istruzione e ricerca nell’Unione Europea dopo l’Ungheria, nemmeno l’8% del PIL, e quindi è giusto dare un segnale politico forte e bipartisan. Per questa ragione abbiamo creato un intergruppo parlamentare “Next Generation Italia” per l’equità intergenerazionale e le politiche giovanili. Occuparsi di giovani è un tema di crescita. La volontà è di organizzarci e avere una voce più forte e per questo ci siamo costituiti come gruppo informale, di coordinamento per fare emendamenti e proposte. Hanno aderito sessanta parlamentari tra Camera e Senato di tutti i partiti, e insieme abbiamo elaborato un documento congiunto conciso e chiaro con delle proposte.
Nelle prossime settimane incontreremo la ministra Dadone, poi avremo anche degli incontri con il Ministro Franco, Orlando e il presidente Draghi. I primi passi sono il documento congiunto, fare pressione per l’inserimento di queste proposte nel Recovery Plan, e poi presidiare nei prossimi anni per fare in modo che ci siano risorse adeguati a favore della formazione, dell’occupazione e dell’emancipazione dei giovani. Sui temi ho trovato grande entusiasmo dei colleghi, c’è voglia di lavorare su questi temi e questo ci dice che dietro i teatrini, il vero tema latente è il patto tra generazioni.

Cosa rappresenta questo nuovo intergruppo?

Nell’intergruppo “Next Generation Italia” ci sono tutti i partiti, per noi di Italia Viva questo è il vero tema della politica di oggi: il patto tra generazioni. Abbiamo un sistema pensionistico funzionante, ma dobbiamo pensare anche alle risorse per i giovani e le future generazioni. Il debito spaventoso rischia infatti di pregiudicare le risorse per il pieno sviluppo delle nuove generazioni.

Quali sono le priorità che interessano il mondo giovanile, alla luce anche dell’impatto che la pandemia sta avendo sui giovani su diversi piani?

Ci serve subito un piano di emergenza per l’attivazione dei giovani inattivi. L’Italia ha 2 milioni di NEET, è il paese europeo con più giovani inattivi ma vive il paradosso di non avere una strategia per i giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano e non lavorano. Serve un programma di emergenza per portare i giovani in azienda, formarli, finanziare sei mesi di formazione e lavoro. Altri paesi l’hanno fatto. Il programma Garanzia Giovani oggi al massimo finanzia il 60%, noi abbiamo bisogno di coprire il 100% e snellire tutto il processo burocratico molto spesso troppo lungo e complesso. A prescindere dalla possibilità per i giovani, dopo questa formazione, di trovare lavoro, credo sia molto meglio andare in azienda e imparare qualcosa piuttosto che stare sul divano e prendere il reddito di cittadinanza. Sulla scuola bisogna poi mettere maggiori fondi per il diritto allo studio, affitti calmierati agli studenti, rilanciare l’istruzione tecnico superiore che hanno degli indici di occupabilità dell’80%. In Germania e Francia questo tipo di istruzione tecnica interessa decine di migliaia di giovani all’anno, nel nostro Paese il sistema è invece molto piccolo. Nel PNRR si fa un primo passo mettendoci un miliardo e mezzo, ma manca una visione iniziale di come svilupparli. Importante è anche una riforma di accompagnamento dei giovani nel mondo del lavoro, che riguarda il contrasto ai tirocini non retribuiti che sono un veicolo di immobilismo sociale e in alcune professioni i praticantati non retribuiti precludono l’accesso a chi non ha una famiglia con reddito solido. Dovremmo quindi prevedere una retribuzione minima per i tirocini, regolamentare sia quelli curriculari che quelli extracurricolari. Una proposta del PD riguarda anche la necessità di riformare l’apprendistato professionalizzante che va de-burocratizzato per far sì che diventi la via maestra per l’accesso al mondo del lavoro. L’apprendistato è un buon equilibrio tra tutele e formazioni. Oggi le aziende non lo usano perché è troppo burocratico e complesso e prediligono quindi i tirocini che sono senza regole e senza salario. Un altro punto importante è l’introduzione di lauree abilitanti e professionalizzanti, l’accesso al mondo delle professioni è troppo lungo e macchinoso. Dopo l’università i giovani devono fare l’esame di abilitazione, il praticantato non retribuito e ci mettono diversi anni per entrare nelle professioni. Servono ovviamente accordi con gli ordini professionali ma c’è una proposta dell’On. Toccafondi, appoggiata dal precedente Ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi, proprio su questo tema. 

Spesso si usa dire “l’Italia non è un paese per giovani”. È in atto una grave emergenza giovanile che interessa la formazione ma anche il mondo del lavoro, con tassi di disoccupazione giovanile altissimi. I giovani chiedono, attraverso diverse realtà, di poter portare all’attenzione del mondo politico quelle che sono le difficoltà di questa generazione, ma sembrano non essere ascoltati. Quale è la sua posizione rispetto a questa frase?

Il rapporto tra politica e giovani è un problema gigantesco. Da trent’anni le risorse reali per le nuove generazioni sono diminuite e i giovani sono quindi disinteressati alla politica. Questo non perché sono bamboccioni, ignavi o non hanno interesse civico. La politica non si occupa di loro, i giovani non votano e così si genera un circolo vizioso. Tutti i politici si riempiono la bocca di sostenibilità, pari opportunità e giovani generazioni, ma nelle segrete stanze prevalgono altri interessi perché l’interesse giovanile è meno organizzato ed è tutto affidato alle singole realtà politiche che però non vengono spalleggiate. Dobbiamo cercare di rompere questo circolo vizioso per cui ben vengano tutte le campagne civiche, che non abbiano un colore partitico.

Dall’inizio della pandemia non è stata fatta una misura specifica per gli under 35, eccetto la decontribuzione proposta dal ministro Provenzano. Nel paese con uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile è un paradosso che non ci siano state altre misure. C’è un problema culturale della comprensione dei giovani nella nostra società dove uno fa carriera per anzianità non per merito. Inizia facendo la gavetta, deve stare zitto e buono – illuminante su questo la canzone dei Maneskin “Zitti e Buoni” – e c’è un grado di paternalismo enorme in questo Paese.

I giovani italiani escono di casa poco sotto i trent’anni perché non riescono, quando la media europea è 25 e nei paesi scandinavi siamo sotto ai vent’anni. Nel 2020 hanno lasciato l’Italia 130.000 italiani, il 40% era tra i 18 e i 35 anni. Vanno via perché in Italia non trovano i mezzi per realizzare le proprie aspirazioni. Questo è un problema molto forte e serve una risposta politica di tutte le componenti.  La cosa interessante dell’intergruppo “Next Generation Italia” è che in un gruppo dove ci sono diversi partiti, siamo riusciti a mettere insieme ventidue proposte specifiche senza aver avuto differenze politiche.

La Commissione Europea ha suggerito ai paesi membri di inserire un sesto pilastro nel Recovery Plan interamente dedicato alle politiche giovanili, crede si riuscirà a vedere questo pilastro nella prossima bozza. Cosa dobbiamo aspettarci?

La ministra Dadone ha dichiarato alla stampa che lotterà per l’inserimento del sesto pilastro nel PNRR, ma francamente a venti giorni dalla consegna del Recovery Plan la vedo davvero difficile.

È molto triste l’assenza però di un pilastro specifico per i giovani nel PNRR, la trasversalità del tema ne pregiudica il monitoraggio, valutazione e allocazione dei fondi e va contro le raccomandazioni dell’Unione Europea. Il problema politico-culturale è prioritario a quello economico. Tutti ne parlano tanto, ma di misure concrete non se ne fanno. Nel PNRR sono passati da 3 a 6 miliardi e questo grazie ad Italia Viva, anche se nessuno ne parla. Anche se non si riuscisse a fare un pilastro, ci piacerebbe ci fosse comunque attenzione alle nuove generazioni. È importane quindi che i fondi per i giovani siano circostanziati e indirizzati in modo preciso ai giovani. La Fondazione Bruno Visentini e il Consiglio Nazionale dei Giovani ha fatto uno studio in cui sembra che l’Italia andrà a destinare il 7% dei fondi alle nuove generazioni, come la Francia, ma noi abbiamo 1 milione di NEET in più. La Spagna che invece ha una disoccupazione giovanile come la nostra sta dando il 12% e la Germania il 10%.