Torino, l’agonia di un settore malato: metalmeccanici e operai in cerca di un sussulto

› Scritto da

Torino è sempre stata considerata il polo industriale nevralgico dell’automotive italiano, complice soprattutto la presenza di un’azienda, la FIAT, e lo sviluppo in parallelo della folta presenza dei reparti dell’indotto necessari alla realizzazione ultima degli autoveicoli. Una tale concentrazione industriale ha dato vita inoltre a uno dei più forti e organizzati movimenti operai: numerosi sono infatti gli eventi di scontro con protagonisti i lavoratori della Fiat Mirafiori, dagli scontri di Piazza Statuto alla rivolta di Corso Traiano, culminati con la cosiddetta marcia dei quarantamila del 1980

Avendo allo sfondo questo scenario, non poteva che partire dal capoluogo piemontese l’iniziativa dei sindacati per cercare di dare una scossa all’industria automobilistica, attanagliata da una crisi dove si fatica a vedere la luce alla fine del tunnel. A promuovere la “Vertenza Torino – 48 ore contro la crisi” i tre sindacati della categoria metalmeccanica Fiom, Fim e Uilm con una due-giorni, svoltasi il 13 e il 14 Febbraio, per dare voce alle varie situazioni dei lavoratori provenienti da tutte le realtà del comparto automobilistico torinese: Blutec, Lear, Cimital Lamalù, Maserati ed Embraco per citarne alcune.

Nel decennio 2008-2017 la produzione nazionale di autovetture si è ridotta del 48 % rispetto al decennio precedente [1], accusando fortemente la costante contrazione di un mercato che dopo il boom del 2007 è diminuito del 21% [2]. Dati che hanno consentito alla Slovacchia (1.031.241 veicoli prodotti) di sorpassare l’Italia (670.932) che si piazza così al settimo posto tra i maggiori produttori di autoveicoli europei, dopo Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e Repubblica Ceca. 

Nel solo stabilimento di Mirafiori dalle 218 mila unità prodotte nel 2006 si è passati alle 20.000 del 2019, con un crollo verticale del -94%. A farne le spese sono ovviamente stati i lavoratori. Negli ultimi 10 anni, secondo i sindacati del settore automobilistico, si sono persi 9mila posti di lavoro solo a Torino, 46mila in tutta la regione e dalle 60 alle 70 aziende hanno chiuso i battenti. L’ultimo anno in cui la cassa integrazione non è stata utilizzata a Mirafiori è stata il 2007, mentre gli addetti dell’automotive in balia degli ammortizzatori sociali sono circa 30 mila. Nel solo 2019 la regione Piemonte è stata la seconda per richieste di cassa integrazione dopo la Lombardia, con un aumento del 14% rispetto al 2018, e Torino si attesta il triste primato di provincia italiana più cassa integrata con un aumento del 31% rispetto all’anno precedente: 23 milioni in totale le ore di cassa richieste.

La risposta dei sindacati

Le proposte per uscire dalla crisi dei tre rappresentanti metalmeccanici Fiom, Fim e Ulim sono condensate in otto punti: prolungamento degli ammortizzatori sociali, sviluppo della filiera con incentivi e fondi per area di crisi, sviluppo della produzione complementare come le batterie per auto elettriche, infrastrutture e sovrastrutture, formazione e riqualificazione degli addetti, nuovi volumi produttivi, promozione di player globali al fine di insediamento di nuove realtà produttive, mantenimento e sviluppo del settore aerospaziale. 

Interpellato da Change The Future Edi Lazzi, segretario provinciale della Fiom, spiega i motivi dell’iniziativa unitaria: «È giunto il momento di provare a bloccare questa emorragia. Oggi siamo qua per denunciare le difficoltà che i lavoratori continuano ad avere, sia chi è in cassa integrazione, sia chi licenziato non ci riesce a trovare un’altra occupazione. Bisogna trovare una via d’uscita» continua Lazzi. «Innanzitutto chiediamo il prolungamento degli ammortizzatori sociali in scadenza, visto che l’alternativa è il licenziamento. In secondo luogo, spingiamo per portare a Torino una fabbrica di batterie, la mobilità va verso l’elettrico, quindi pensiamo che si debba ragionare su una Gigafactory per creare occupazione e sviluppare una filiera, anche nel riciclo e riuso di queste batterie. Terzo punto, molto importante, l’appello a FCA-PSA per avere nuove produzioni di autovetture, oltre alla 500 elettrica».

La produzione di batterie per auto elettriche non avvantaggerebbe chi le produce già, ovvero le case straniere?  

Secondo me è sempre un valore aggiunto, si potrebbero vendere anche per l’estero. Se c’è la fabbrica di batterie probabilmente FCA-PSA che qui ha gli stabilimenti è più incentivata a portare qui quelle produzioni.

Un sindacato che utilizza metodi concertativi rispetto a quelli conflittuali è ancora d’aiuto per i lavoratori?

Come Fiom vediamo il conflitto come una cosa positiva non negativa, nel confronto tra idee differenti che tramite il conflitto devono trovare un punto di sintesi. Al momento non siamo ancora arrivati a decidere una mobilitazione o uno sciopero, se però le cose dovessero continuare così quello sarà il prossimo passaggio.

Interviene anche il segretario provinciale della Uilm Luigi Paone: «Siamo scesi in piazza per far testimoniare i lavoratori delle aziende che sono in crisi e le vertenze che sono aperte. Vogliamo portare al tavolo con istituzioni e imprese la nostra proposta in otto punti, provando a dare una via maestra. È importante riunire sia le aziende che le istituzioni. Se lo Stato non mette gli incentivi per far sviluppare l’auto elettrica anche qui, difficilmente riparte il mercato. Per questo servono tutte le parti. Non abbiamo solo un interlocutore per cui se tu fai sciopero, facendo una dimostrazione di forza, lui ti concede quello che chiedi. Quando non c’è lavoro rischi di fare un piacere all’azienda se scioperi. Il nostro obiettivo è, partendo da Torino, coinvolgere tutte le regioni per arrivare poi, se non ci ascoltano, ad una grande manifestazione nazionale. Perché anche le multinazionali, se lo Stato non fa le leggi, si può anche manifestare, ma poi finisce lì».

Parola ai lavoratori

Chi meglio dei protagonisti di questa terribile crisi può spiegarci meglio il dramma di una situazione-paradosso, in un Paese che – come ricordato ampiamente durante l’evento – recita nell’incipit della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Quattro i lavoratori che ci hanno raccontato la situazione delle loro aziende, diverse fabbriche ma stesse difficoltà, tra pareri discordanti e percezione sulla presenza dello Stato.

Domenico Ciano, operaio alla Lear di Grugliasco: «La nostra è una multinazionale di sedili, lavoriamo per Fiat. Qui facciamo sedili per Maserati, Ghibli, Quattroporte e Levante, non abbiamo acquisito la nuova commessa della 500 elettrica, per cui la nostra situazione è molto critica. A fine marzo ci scadono gli ammortizzatori sociali, in più c’è un organico di 485 persone ma lavoro solo per circa 200. Non avvertiamo la presenza dello Stato. Noi siamo i primi di tante aziende, perché non avendo più vetture sulla piazza di Torino, tutto l’indotto farà questa fine. Con l’arrivo dell’auto elettrica alcuni pezzi dell’indotto non serviranno più, come chi fa le marmitte o i pistoni. I sedili dovrebbero continuare a servire. Sicuramente se le cose non dovessero andare bene noi ci bloccheremo, faremo delle proteste per essere più visibili possibile, se non arrivano nuovi lavori io la vedo brutta la situazione. Speriamo che qualcuno se ne accorga di cosa sta succedendo qui a Torino, purtroppo finora non abbiamo visto questa sensibilità».

Meno pessimista l’operaio alla carrozzeria Maserati di Mirafiori Giovanni Comparetto: «La crisi legata alla produzione delle auto di alta gamma, come la Maserati, stanno portando una contrazione del mercato, ma anche tantissima cassa integrazione per noi. Adesso stiamo iniziando a costruire la nuova 500 elettrica, prima del genere in Italia, che con le altre auto ibride della Maserati possono essere un punto di partenza sia per lo stabilimento di Mirafiori che per Grugliasco. Bisogna costruire delle condizioni con la politica, con il sindacato, con l’azienda che portino ad avere quella capacità produttiva che saturi entrambi gli stabilimenti».

Una delle situazioni più critiche è quella di Blutec, di cui ci parla Francesco Gioacchino, operaio nello stabilimento di Rivoli: «L’azienda per cui lavoriamo è fallita venendo commissariata, quindi siamo in una fase in cui si cerchino degli acquirenti. Siamo un centinaio di dipendenti a Rivoli, altri 137 ad Asti, e 35 ad Orbasssano. Lo stabilimento di Atessa (CH) è l’unico che produce per la Sevel, del gruppo Fiat. Arriviamo ad un organico di circa 1000 persone con lo stabilimento di Termini Imerese in Sicilia (ex Fiat), senza cui saremmo già falliti un anno fa per via del debito che ha l’azienda verso lo Stato. Speriamo che i commissari trovino al più presto degli acquirenti». 

Dal tono più combattivo invece le parole di Francesco Messana, operaio della Comital Lamalù di Volpiano: «L’azienda ha chiuso i battenti dal primo gennaio, lasciando a casa 120 persone, sono inoltre finiti gli ammortizzatori sociali. Un nuovo gruppo cinese ha acquistato l’azienda, il problema è che ha garantito solo a metà del personale, quindi a 60 persone, la possibilità di rientrare nell’arco di quest’anno. Quindi il 50% di chi vi lavorava dovrà andarsi a cercare un nuovo posto di lavoro, gli altri stanno con la speranza di essere richiamati. Queste manifestazioni sindacali ormai non hanno più l’impatto di vent’anni fa, e questo è un grosso problema. Prima si scendeva in piazza e si veniva ascoltati, oggi scendere in piazza è diventata una passeggiata, lo Stato ha le orecchie chiuse su queste manifestazioni, perché non siamo capaci di fare lunghe manifestazioni come insegnano i cugini francesi, e non siamo capaci di farci ascoltare fino al punto che devono ascoltarci per forza. L’assenza dello Stato sulla questione del lavoro è disarmante, noi vediamo i nostri brand andare all’estero, non si può sperare che in Italia la situazione del lavoro migliori se non abbiamo la forza di conservare la fabbricazione dei nostri marchi qui».

Fonti: 

[1] Carmakers

[2] ANFIA su dati del Ministero dei Trasporti