Un anno di pandemia: il bilancio di Daniela Fatarella, direttrice di Save the Children

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A un anno dalla pandemia abbiamo deciso di intervistare Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia, sull’impatto che l’emergenza sanitaria ha avuto sui diritti dei minori e su come ha reagito l’organizzazione.

A un anno dal Covid, provando a delineare un bilancio, come ha reagito Save the Children a questa emergenza sanitaria globale? L’organizzazione credo abbia reagito molto bene. A distanza di cento anni, nel 2020, credo che mai siano state così attuali le parole di Eglantyne Jebb (fondatrice di Save The Children, ndr). Questa situazione di pandemia ed emergenza diffusa in tutto il mondo ha rimesso al centro i bambini e i loro diritti e da subito ci ha fatto vedere come i bambini di cui, in particolare, ci occupiamo noi, ovvero quelli che si trovano in contesti più difficili, siano stati proprio quelli che avevano maggiore necessità. Le prime attività sono state dire che c’eravamo, che non li avremmo abbandonati e non avremmo chiuso ma che avremmo trasformato il nostro presidio territoriale. La seconda attività fatta è stata quindi quella di riconvertire tutte le azioni inizialmente da offline a online.
Io dico che siamo stati tutti dei grandi guerrieri, ci siamo preoccupati di adattarci a una situazione pandemica che ha colpito noi e le nostre famiglie, ma in particolare per tutta l’organizzazione c’è stata una grandissima attenzione per tutti quelli che si trovavano a non avere voce e a non avere possibilità di sapere dove e come accedere ad aiuti specifici.
A distanza di un anno in Italia abbiamo raggiunto 140mila persone e nel mondo oltre 29 milioni di persone, quindi un’operatività che si è saputa trasformare al di là di tutti i vincoli dati dalla pandemia. Save the Children secondo me è stata in tutto il mondo una forza gentile, nel senso che in una modalità estremamente consistente e resiliente, ha continuato a spingere tutte le nostre attività programmatiche e quelle di advocacy, però con una capacità empatica, di attenzione, di presa in carico e di cura nei confronti delle persone e dei territori molto più forte del passato.

Con la pandemia, tra i più colpiti sotto molti aspetti sono stati sicuramente i bambini come con la chiusura delle scuole e le difficoltà nel seguire la didattica a distanza. Quali sono state le conseguenze rilevate da Save sull’istruzione dei bambini e bambine e adolescenti?
I bambini sono stati quelli che inizialmente si pensava non fossero oggetto di questa crisi sanitaria, perché fortunatamente dal punto di vista sanitario sono stati i meno colpiti. In realtà i bambini hanno subito un doppio effetto della crisi, sia sul presente che sul futuro. Sul presente perché le condizioni delle loro famiglie sono sicuramente peggiorate in maniera consistente, c’è stata infatti una crescita della povertà che in Italia non si vedeva così consistente dal 2015 e sono stati anche un po’ annullati tutti gli effetti benefici delle ultime misure messe a terra come il Reddito di cittadinanza. Sul futuro è stata proprio la chiusura delle scuole e l’assenza di quel contesto che permetteva non solamente un apprendimento di competenze classiche come imparare a leggere e scrivere, ma anche tutti quei contesti relazionali. Insieme alle scuole, infatti, hanno chiuso anche tutti quei servizi per l’infanzia e l’adolescenza che permettevano uno sviluppo di competenze che io chiamo soft, tutto quello che riguarda le relazioni, l’empowerment, la capacità di confrontarsi con gli altri. Abbiamo fatto una stima dalla quale è risultato che, nello scorso anno, sono stati persi 112 miliardi di giorni di scuola, e questo significa che praticamente quasi tutti i ragazzi hanno perso un terzo del loro anno scolastico. Un articolo pubblicato su L’Espresso ha messo in evidenza come adesso uno dei maggiori allarmi sia l’autolesionismo tra i bambini, ragazzi e giovani. Questo è una forma di dolore fortissimo che prova chi arriva farsi del male fisicamente o a pensare di avere patologie che non esistono. C’è quindi un grande disagio psico-sociale. Sono anche cambiate le parole con cui si descrive il futuro. Il primo lockdown è stato preso con maggiore capacità di immaginarsi un nuovo futuro, adesso anche dalle nostre interviste emergono parole come paura, ansia per il futuro e incapacità di immaginarsi il dopo. Il buco poi della scuola si stima anche negli apprendimenti. Una ricerca della Comunità Europea dice che il 25% dei bambini della scuola primaria rischia di andare sotto la soglia minima di competenze.

A dicembre 2020 è stato pubblicato l’Atlante dell’Infanzia 2020, quali indicatori sono migliorati e quali peggiorati rispetto all’Atlante dell’Infanzia dell’anno precedente?
Purtroppo, non ci sono indicatori che sono migliorati, sicuramente per la pandemia che ha portato a una arretratezza in tutte le aree di sviluppo dei ragazzi. C’è stato un aumento molto forte della povertà, ci sono sei milioni di famiglie in povertà assoluta, che significa che non riescono ad avere tre pasti al giorno o giuste condizioni abitative. Sono spesso le famiglie con minori, l’11,6%, d essere le più colpite. La povertà assoluta fa aumentare anche la povertà relativa e toglie tutte quelle che sono le opportunità di sviluppo per i bambini, dallo sport a focus su salute e nutrizione. Sono aumentati anche i NEET, tutti quei ragazzi che non studiano e non lavorano, arrivando a 2.127.000. Questo dato è aumentato rispetto al 2019. Tutto quello che riguarda anche la dispersione scolastica e la povertà educativa sono dati che noi rileviamo in crescita.

Qual è lo stato dei diritti dei bambini in Italia?
Leggevo oggi (23 marzo ndr) sul Corriere che nel 2020 ci sono stati 400mila nati, che sono circa la metà delle persone decedute nello stesso anno. Il tasso di natalità quindi, che è in caduta libera da diversi anni, ha registrato nello scorso anno uno stop. Nascono sempre meno bambini e il numero è talmente tanto esiguo che dovrebbe essere il tesoretto della nostra nazione. Dovrebbero essere proprio coloro che hanno il maggior numero di attenzioni e di politiche che sono mirate all’infanzia, allo sviluppo e costruzione di un futuro.
I diritti dei bambini sono diversi però funzionano perché vengono considerati in una visione olistica e complementare. Un bambino può raggiungere il pieno della sua potenzialità quando tutti i suoi diritti sono presi in considerazione e rispettati. Nell’anno della pandemia c’è stata una dialettica tra il diritto all’istruzione e alla salute che ha portato a fare alterne alla chiusura e apertura delle scuole. In Italia è evidente un’emergenza dell’infanzia: bisognerebbe infatti concentrarsi di più, in primo luogo, sulla primissima infanzia e sugli 0-6 anni. Abbiamo bisogno di continuare a spingere nella lotta alla dispersione scolastica ma anche nel dare opportunità ai bambini e ragazzi a scoprire i propri talenti, in particolare concentrandosi su quelle aree che sono di disuguaglianze.

In questa situazione emergenziale e difficile su molti piani, c’è qualche aspetto positivo?
Un primo aspetto credo sia la capacità dei territori e quindi di partner e volontari di dare una risposta ai bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza che è stata altissima, ha cercato di non lasciare indietro nessuno e di rafforzare la presenza sul territorio. In secondo luogo, la capacità di innovazione. Tra febbraio 2020 e metà marzo 2020 c’è stato un enorme cambiamento nella modalità di erogazione dei nostri servizi e questa capacità forse in un altro periodo avremmo potuto pensare di raggiungerla in dieci anni. La stessa didattica a distanza, con tutte le sue difficoltà, ci fa vedere anche una possibilità di quello che è edu tech e che può andare in quella direzione. Molto importante e positiva è stata anche la resilienza da parte di bambini e famiglie e la loro capacità di attingere a tutte le risorse a disposizione. Questa situazione credo abbia portato anche a un rafforzamento delle relazioni interpersonali e una maggiore attenzione alla cura. Chi ha virato verso il principio del prendersi cura, di sé stessi e degli altri, ha avuto un effetto volano e benefico enorme. Quello che ho visto in tante realtà, anche diverse dalla nostra, è che quelle che hanno vissuto il Covid mettendo al centro le persone, non hanno avuto magari un beneficio immediato ma lo avranno sul lungo periodo. Adesso credo che l’errore più grosso sarebbe pensare di tornare a quello che eravamo prima. Occorre, anche se in un momento di stanchezza, essere in grado di non guardare solo a questa situazione emergenziale, ma guardare avanti e a quello che ci sarà dopo. Tutto il lavoro del Movimento Giovani per Save the Children va in quest’ottica. Quando siamo stati a Bari avete detto che il futuro è il presente, è un concetto molto importante perché tutto ciò che ci sarà dopo lo si costruisce ora. La voce dei ragazzi è quella che, secondo me, può essere più capace di influenzare scelte civiche e politiche.