Una seconda vita: speciale sui rifiuti

› Scritto da

Quanti oggetti ci accompagnano quotidianamente nella nostra vita?

Come accumulatore seriale ho creato all’interno della mia casa, dei miei cassetti e del mio portafogli spazi in cui gli oggetti più disparati si incontrano per formare un cumulo pieno di significato. Ogni oggetto rappresenta un piccolo dettaglio della nostra vita che ci piace ricordare. Così continuiamo ad accumularli in un cassetto, felici di sbirciare ogni tanto al suo interno e di permettere ai ricordi di riaffiorare.

Spesso, però, confondiamo il vero valore degli oggetti con quello che scegliamo di attribuirgli e, dopo aver conservato per anni ninnoli, ciarpame e vecchi Nokia, giunge il fatidico momento: buttare via tutto. Ma conoscete il vero valore di quello che accumulate? Avete anche voi un cassetto dove stipate cellulari, ipod, caricatori e vecchi dispositivi tecnologici?

Reware sa quanto valgono e guadagna commerciando quello che molti considerano un rifiuto. Questa è una cooperativa e impresa sociale che eroga servizi informatici volti all’allungamento del ciclo di vita delle apparecchiature elettroniche ed informatiche. Così quando possibile viene donata al “quasi” rifiuto una seconda vita e quando invece le condizioni sono troppo critiche viene smontato e i pezzi venduti.

Lo scopo di Reware è di prevenire la produzione di rifiuti elettronici cercando di evitare un loro impatto ambientale. Con il loro lavoro, materiale informatico ancora funzionante non rischia di diventare un rifiuto a carico dell’ambiente e della collettività.

La principale attività della Cooperativa Reware consiste nell’acquisire dismissioni informatiche di computer da grandi aziende o enti prima che le apparecchiature diventino rifiuti prematuri. Questa attività permette di prolungare significativamente la vita della maggior parte dei computer e quindi, di fatto, di ridurne l’impatto ambientale.

Il fulcro della loro attività si svolge all’interno di una officina informatica, un po’ negozio e un po’ laboratorio, accessibile anche a noi privati, dove si hanno a disposizione tutti i possibili servizi informatici.

Vendere, dare in gestione o donare il proprio hardware dismesso a Reware è, non solo un gesto concreto per l’ambiente, ma anche un’occasione di risparmio e di presa di coscienza sociale ed ambientale.

Tramite il loro lavoro verificano le funzionalità e effettuano controlli approfonditi per rivendere tali apparecchiature.Spesso al loro interno vi sono anche materie prime valorizzabili e sostanze potenzialmente pericolose per l’uomo e l’ambiente.

La produzione di dispositivi elettronici richiede il consumo di elevati quantitativi di energia e, in molti casi, vengono sostituiti quando ancora potrebbero essere utilizzati molto a lungo. Infatti, le indagini condotte tra i consumatori dimostrano che cambiamo i nostri apparecchi informatici in media ogni 18 mesi.

Se ci pensiamo siamo fortunati perché, in realtà, niente può svanire. In un modo o nell’altro tutto continua a vivere nel mondo circostante, magari sotto nuove sembianze, in un ciclo infinito. Senza saperlo siamo costantemente a contatto con oggetti, persone ed elementi con cui abbiamo già avuto a che fare e con cui continueremo ad imbatterci per il resto della nostra vita. Questo concetto è, più o meno, anche alla base del riciclo, una questione che negli ultimi anni è diventata sempre più pressante.

ENEA è un ente pubblico di ricerca italiano che opera nei settori dell’energia, dell’ambiente e delle nuove tecnologie.

La storia di ENEA ha inizio 1952 e, ad oggi, la sua missione istituzionale (legge 221/2015) è così descritta:

“L’ENEA è l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ente di diritto pubblico finalizzato alla ricerca, all’innovazione tecnologica e alla prestazione di servizi avanzati alle imprese, alla pubblica amministrazione e ai cittadini nei settori dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo economico sostenibile (art. 4 Legge 28 dicembre 2015, n. 221).”

Non a tutto però è concessa una seconda vita.

L’organico si trasforma nel tempo, cresce e muore, ma è sempre parte fondamentale del ciclo della vita.  Certi materiali, invece, e certi elementi considerati preziosi, non mutano con il passare del tempo, che non li scalfisce e che gli ha donato una vita inalterata ed eterna.

ENEA è attiva in più campi del riciclaggio, e ha realizzato un posto dove le materie prime delle apparecchiature elettroniche vengono estratte per riportare il nostro oggetto, o almeno parte di esso, alla forma che aveva prima di essere assemblato in uno strumento destinato a noi. Secondo Danilo Fontana (ricercatore del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali di ENEA):

“non esiste più rifiuto sono tutte materie prime, all’interno di un’economia circolare. In particolare queste apparecchiature elettriche ed elettroniche sono delle miniere ricchissime di materiali definiti anche critici, perché in Europa non ne abbiamo e sono di difficile approvvigionamento”.

Così, un team di ricercatori ENEA ha messo a punto ROMEO, il primo impianto in Italia per il recupero di materiali preziosi da vecchi computer e cellulari attraverso un processo a temperatura ambiente.

L’impianto ROMEO (Recovery Of MEtals by hydrOmetallurgy), sviluppato da ENEA, utilizza un processo idrometallurgico che consente una drastica riduzione dei costi energetici rispetto alle solite tecniche pirometallurgiche ad alta temperatura. Le schede elettroniche sono trattate senza essere sottoposte a un processo di triturazione, mentre le emissioni gassose vengono lavorate e trasformate in reagenti da impiegare nuovamente nel processo stesso, minimizzando in questo modoimpatto ambientale e produzione di scarti. Inoltre riesce a trattare anche piccole quantità di rifiuti e può scegliere il grado di purezza del metallo recuperato in funzione delle esigenze di mercato. ROMEO ha una resa del 95 percento nell’estrazione di oro, argento, platino, palladio, rame, stagno e piomboda Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE).

“I RAEE rappresentano una fonte di materie prime che potrebbe affrancare il nostro Paese e l’Europa dalle importazioni provenienti da Cina, Africa e Sud America”, spiega Fontana, “Questo è un impianto pilota e l’obiettivo è quello di trasferire la tecnologia all’industria per completare la filiera industriale del recupero e del riciclo, che quasi sempre in Italia si ferma solo nelle fasi più semplici, ovvero, nelle fasi di pretrattamento e di smantellamento.”

ROMEO è stato realizzato per testare in scala più grande i processi di recupero sviluppati in laboratorio, affinché le materie prime strategiche rimangano sul territorio italiano con tutti i benefici che ne conseguono in termini occupazionali, economici e sociali.

Anche se a partire dal 2019 una direttiva del Parlamento europeo impone il raggiungimento di un obbiettivo di raccolta dei RAEE pari al 65 percento, in Italia circa il 57 percento dei RAEE viene smaltito ancora con percorsi alternativi come la discarica o l’esportazione all’estero, che non garantiscono il rispetto dell’ambiente né tantomeno una efficace gestione delle risorse.

Secondo stime ENEA, dal trattamento di 1 tonnellata di schede elettroniche è possibile ricavare 129 kg di rame, 43 kg di stagno, 15 kg di piombo, 0,35 kg di argento e 0,24 kg di oro, per un valore complessivo di oltre 10 mila euro.

Quando qualcosa smette di servirci, o è una delle miriadi di prodotti industriali usa e getta, può essere incenerita, smaltita in una discarica o riciclata.La prima domanda, però, deve essere se l’oggetto in questione è effettivamente da buttare o se, a causa del nostro gesto, sta per diventare uno spreco. Lo sbaglio diventa imperdonabile quando l’errore inizia dai nostri piatti.

A questo proposito, in occasione della Giornata Nazionale contro lo Spreco Alimentare, l’agenzia ENEA ha lanciato una campagna di sensibilizzazione che vuole farci aprire gli occhi sul nostro livello di attenzione riguardo lo spreco di cibo. Il concetto di base è che tutti possiamo fare la differenza.

La campagna di ENEA parte dall’evidenza che la maggior parte dello spreco alimentare avviene tra le mura domestiche. L’obiettivo è di rendere evidente a tutti questa problematica e di mettere in moto un circuito virtuoso coinvolgendo un’ampia platea di soggetti, fino ai singoli consumatori che con le loro azioni possono portare a grandi cambiamenti.

Quando si parla di spreco alimentare bisogna considerare che si tratta di un problema che abbraccia diversi aspetti: è un problema etico, se consideriamo che solo nel nostro Paese ogni anno vengono gettate nell’immondizia oltre 5,1 milioni di tonnellate di cibo; è conseguentemente anche un problema economico, visto che il valore annuale dello spreco alimentare, solo nelle case degli italiani, vale quasi 12 miliardi di euro.

Oltre 3 miliardi di euro vengono invece persi tra le fasi della filiera agroalimentare: i campi, l’industria e la distribuzione. Ultimo, ma non di certo meno importante, è un problema ambientale perché, produrre cibo che non sarà consumato porta a sprechi di fonti fossili, largamente impiegate per coltivare, spostare e processare il cibo. Senza contare il metano prodotto dai rifiuti alimentari quando vengono buttati in discarica. Si calcola che se lo spreco alimentare fosse uno stato, risulterebbe il terzo produttore di gas serra, dopo Cina e Usa.

Secondo un rapporto del 2020, consegnato durante l’ultima Giornata Nazionale contro lo Spreco Alimentare, ci sarebbe una tendenza del 25 percento in meno rispetto all’anno precedente nel nostro Paese. Ma anche se le cose iniziano a cambiare bisogna continuare a sensibilizzare fino a che da un grave problema non si trasformi in una effettiva opportunità. Tra le altre, la più scontata è l’occasione di recuperare, e quindi avere a disposizione un più grande quantitativo di cibo per il mondo intero.

Nonostante i numeri, lo spreco si può combattere facilmente, distribuendo consapevolezza e, forse, anche un pò di organizzazione per i momenti di spesa e cucina.

Ma quello che ci si chiede sempre è se effettivamente il riciclo funzioni. Perchè un mondo “alla Wall-E” dove l’accumulo selvaggio ha vinto fino a non lasciare spazio ad altro che grattacieli di spazzatura, è un mondo dove l’umanità non può sopravvivere. La consapevolezza delle malvagità a cui sottoponiamo il nostro pianeta e lo spettro delle conseguenze che ne possono derivare, ci hanno spinti a valutare l’esplorazione dello spazio in cerca di risorse, pianeti abitabili e indizi su tutto quello che ci è ancora sconosciuto.

Per i molteplici problemi che la vita nello spazio comporta, parte fondamentale della soluzione è il riciclo di tutto ciò che viene adoperato durante il viaggio. Per questo motivo, ENEA partecipa al progetto REBUS che punta ad avviare una linea di ricerca nazionale per realizzare sistemi biorigenerativi di supporto alla vita degli astronauti, obiettivo fondamentale per l’esplorazione dello spazio.

Il progetto, che ha una durata prevista di 3 anni, è coordinato e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Assieme a ENEA partecipano anche il CNR, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), Telespazio (che opera nel campo delle soluzioni e dei servizi satellitari), diverse università italiane, Thales Alenia Space (più grande produttrice di satelliti in Europa) e Kayser Italia (una società aerospaziale di Livorno che ha partecipato ad oltre 60 missioni spaziali con più di 108 esperimenti scientifici eseguiti in orbita).

Il progetto REBUS nel suo insieme si propone di affrontare i principali aspetti critici legati a questa sfida tecnologica. Grazie a dei sistemi, sviluppati da ENEA, basati sull’utilizzo di diverse specie batteriche e di insetti, tutti i possibili scarti organici saranno portati alla decomposizione e al compostaggio. Di importanza fondamentale sarà il sistema biorigenerativo basato sull’uso di piante, funghi, batteri e cianobatteri in modo da massimizzare l’uso delle risorse disponibili nello spazio e minimizzare contemporaneamente l’impiego di risorse esterne.

Grazie all’impiego di simulanti di suoli lunari e marziani, integrati con i bioprodotti derivati dalla lavorazione degli scarti, sarà possibile lo studio di sistemi innovativi per la coltivazione di piante e micro-ortaggi in avamposti planetari. Allo scopo di contribuire al benessere psicofisico dell’equipaggio saranno valutate la qualità e la sicurezza alimentare, grazie allo studio di molecole e sostanze organiche antistress recuperate sempre dagli scarti alimentari, colturali e fisiologici degli astronauti.

Tornando con i piedi per Terra, davanti a quel cassetto colmo di cellulari, avete bisogno di un’ultima alternativa?

Baobab 4 Jobs è un’organizzazione no-profit legata a Baobab Experience che inserisce i migranti nel mondo del lavoro, aiutandoli nella ricerca dell’occupazione desiderata o di una borsa di studio.  Baobab Experience da anni sostituisce le istituzioni non solo nella prima accoglienza ai migranti, ma anche nella formazione e nell’orientamento al lavoro.

Porta avanti così l’eredità del centro sociale Baobab. Infatti alla sua chiusura, un gruppo di operatori sociali, privati cittadini e volontari ha formato l’associazione Baobab Experience. Negli anni ha continuato a dare una prima assistenza a decine di migliaia di persone subendo anche una ventina di sgomberi in luoghi differenti. Tra le iniziative di Baobab 4 Jobs è stato avviato un corso di riparazione di cellulari e computer e, attraverso una raccolta fondi, sono stati acquistati i beni strumentali con cui i corsisti faranno pratica. Inoltre, ha pubblicato un annuncio in cui cercano dispositivi elettronici rotti o inutilizzati per permettere ai beneficiari dello sportello di avere materiale disponibile su cui lavorare. L’apprendimento di competenze tecnologiche può avere un reale impatto nella vita di una persona. Infatti, in Italia, avviare una propria attività è una delle soluzioni per convertire un permesso di soggiorno per motivi umanitari, in uno per motivi di lavoro.

Tramite la pagina Facebook condividono le loro competenze e le loro istanze con le quali richiedono ad un organo pubblico di avviare dei procedimenti. Ad ora il 40 percento dei beneficiari dei loro servizi è riuscito a ottenere un regolare impiego o una borsa di studio.

Le occasioni sono molte e sicuramente molte più di quante un breve articolo riesca a riassumere. Sta solo a noi decidere come comportarci e come permettere a noi stessi di influenzare il mondo. Un gesto alla volta, un pensiero alla volta, un’idea alla volta fino ad un intero cassetto di dispositivi.