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No Tav, a casa di chi non si arrende. L’attualità di una lotta lunga 30 anni

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Quante volte abbiamo sentito dire che il Tav è un progetto indispensabile? Che «non si può più tornare indietro»? Eppure, in Val Susa le proteste contro questa grande opera non danno alcun segno di volersi fermare. Per averne una visione più chiara abbiamo scelto di farci raccontare questa storia – spesso manipolata e incompresa – da chi la vive ogni giorno.

Stazione di Bussoleno, Val Susa. Ludovico viene a prendermi alla fermata del treno e mi accompagna a casa sua, dove mi presenta suo padre Fabrizio. Il programma è quello di arrivare al cantiere di Chiomonte ma lungo il sentiero veniamo bloccati dalla polizia e siamo costretti a tornare indietro: la via che volevamo fare è bloccata. Per fortuna riescono comunque a mostrarmi il cantiere dall’alto per un’altra strada – questa libera, e vedo con i miei occhi che effettivamente è deserto. Perché, come mi ripete Fabrizio, «bisogna parlare di fatti».

Mi regalano due bellissimi libri e una lettera scritta da Nicoletta. Parliamo di treni, di Tav, di farfalle. Ma anche di scuole, sanità, infrastrutture. Di manifestazioni, carcere e lacrimogeni.

A che punto siamo con il Tav?

F: Fermi. Il cantiere è fermo da tempo. Tutti dicono che il tunnel di base è iniziato, ma non è vero: tempo fa hanno finito questo cunicolo geognostico – che serve per sondare il materiale che c’è all’interno della montagna – ma non è iniziato minimamente lo scavo della vera galleria del tunnel. E il cantiere vero e proprio durerà decenni. Ci spacciano quel cunicolo di sei metri come lavori iniziati, ma non è vero. È falso. Però il potere politico attuale vuole comunque realizzarlo: è per questo che noi oggi faremo soltanto un discorso tecnico con te; perché altrimenti ognuno è un po’ come il tifoso della propria squadra: si perde credibilità e non si riesce ad essere obiettivi.

La definite ‘un’opera inutile’. Perché?

F: No, allora, il discorso che faccio io è un altro: è una linea non utile, che è diverso da inutile. Noi abbiamo una linea internazionale a doppio binario (quella convenzionale) che è stata modernizzata negli anni ‘90 e che porta già sulle ferrovie francesi fino a Lione. Su questa linea passavano già i treni ad alta velocità (i TGV francesi) e quest’anno hanno aggiunto i Frecciarossa italiani per portare il turismo a Bardonecchia. La portata di questa linea supporta già pienamente il flusso di transito, tant’è vero che è utilizzata al 30%, dati certificati. Dicono che sia sottoutilizzata perché non presenta le caratteristiche tecnologiche che gli permetterebbero di soddisfare le esigenze delle committenze, ma questo non è vero, ci sono anche dei grafici di professori del Politecnico che sono venuti qui in Valle a fare lezione che mostrano che dal boom economico degli anni ’60/’70, a causa della decrescita economica, si è assistito a un calo nella richiesta di merce; oltretutto le merci che transitano in Valsusa non hanno bisogno di grandi velocità. Parlo di velocità perché la tratta Torino-Lione, una volta realizzata, andrebbe a guadagnare 40 minuti. 40 minuti a discapito di 8 miliardi spesi per una tratta che passerebbe comunque per quella già esistente fino a Bussoleno e arriverebbe in Francia tramite il tunnel – per poi riagganciarsi alla linea convenzionale. 

Ma quindi chi ci guadagna, se non è così conveniente?

F: Qua abbiamo infiltrazioni mafiose da prima ancora che si parlasse di Tav. Una ditta mafiosa ha lavorato in cantiere, documentato dalla Procura. Bardonecchia è stato il primo paese del Nord ad essere sciolto per mafia. Tra l’altro l’Italia partecipa per un terzo del territorio (12 km su 57) e ai due terzi del costo. Perché, non si sa.

Aggiungo un’altra cosa: oggi le merci devono essere veloci, quindi in Valle si usano i tir; perché da numero civico a numero civico il materiale arriva in 24 ore a destinazione. I treni – e lo sappiamo perché abbiamo amici ferrovieri che lavorano nel commerciale – per trasportare qualsiasi tipo di materiale impiegano molto di più. Oltretutto i tir hanno sovvenzioni statali su autostrada e carburante.

M: Può sembrare che il Tav sia una soluzione ecosostenibile; in realtà non lo è perché si parla di un cantiere che starebbe aperto per diversi anni con dei consumi e degli inquinamenti davvero molto elevati. La soluzione più intelligente sarebbe di spostare il traffico dei tir sulla linea attuale, che appunto è sottoutilizzata.

Nel periodo in cui si parlava spesso di Tav, a sostegno di quest’opera si diceva che considerati gli impegni con l’Unione e i soldi già investiti, tirarsi indietro adesso comporterebbe una spesa maggiore rispetto a quella necessaria per proseguire con i lavori. Ma è davvero così?

L: Questa è una menzogna mediatica. Sempre andando a vedere i documenti dei promotori proponenti e quindi i programmi che sono stati firmati, non c’è nessun vincolo. Si parlava tanto di fondi europei che sarebbero stati dovuti restituire in caso di mancata adempienza: ma l’Unione Europea stanzia i fondi solo a fine lavori. Proprio nei documenti, c’è scritto che l’Italia non è tenuta a versare nessuna compensazione nel momento in cui si tirasse fuori.

F: Ma è stata anche pubblicata l’analisi costi-benefici di Ponti a certificare l’effettiva inutilità dell’opera. Solo che poi il Tav è diventata una battaglia politica.

Se facessero la Tav, cosa cambierebbe nella Valle?

L: La Valle cambierebbe radicalmente. Si aprirebbero quattro nuovi cantieri, che oltre all’occupazione del suolo e all’inquinamento acustico provocherebbe anche gravi conseguenze per la salute degli abitanti. Considera che questa è una valle molto ventosa; il cunicolo geognostico che hanno già fatto qui verrebbe ampliato per realizzare all’interno una stanza di assemblaggio della talpa vera e propria, che dall’interno della montagna inizierà a scavare in ambo le direzioni e da lì inizierà a estrarre materiale di scavo – tra cui anche amianto e polveri sottili – che verrà caricato in una zona di stoccaggio, e poi trasportato in autostrada a Salbertrand. Portarle lì, in uno dei punti più ventosi della Valle, porterà ad un aumento significativo delle malattie cardiovascolari.

Si dice spesso che questo cantiere porterà anche anni di lavoro: ma quei lavori saranno altamente specializzati, e quindi saranno impiegati lavoratori specializzati. E poi, parliamo di una cosa: c’è lavoro e lavoro: non è vero che siamo contro questo fantomatico progresso, ma noi vogliamo delle opere sul territorio, di manutenzione e prevenzione, che creino posti di lavoro per le persone che ci vivono, e che si occupino dell’aspetto sanitario, ambientale e dell’istruzione. Questo è un progetto dell’’89, che si rifà a quel tipo di progresso che ci ha portati all’attuale disastro ambientale. Io penso che la mia generazione abbia un’altra idea di progresso.

Anche la flora e la fauna del luogo subirebbero conseguenze gravi.

L: Ovviamente subirebbero conseguenze enormi. Un caso interessante è quello della farfalla: i NoTav sostengono una battaglia importante per la Zerinzia, una specie appunto di farfalla che vive in quella zona e che è protetta a livello europeo; e per quanto paradossale che sia che una cosa così piccola riesca a fermare un progetto così grande, sta davvero riuscendo a rallentare i lavori. In pratica stanno realizzato un “corridoio della farfalla” – in cui piantano le piante di cui si nutre di 20 metri in 20 metri – per spostarla fino a Salbertrand, che è lontano chilometri. Noi siamo contrari perché questo è un progetto che non è mai stato fatto prima, non si sa se possa funzionare davvero. Se quella farfalla vive lì è perché lì ha le condizioni per farlo.

Non avete moltissimo risalto mediatico…

F: […] I giornalisti devono stare a certe direttive. Perché nessuno fa un dibattito tecnico. Tutti fanno un dibattito politico o di interesse delle parti. Noi invece vogliamo sempre – e lo ripeterò fino allo sfiancamento – un dibattito di tipo tecnico. È inutile o è utile? Noi diciamo che non è utile. Che è una definizione per me molto importante e saggia. Non è utile per tutti quegli aspetti tecnici di cui abbiamo parlato e su cui sono stati scritti innumerevoli documenti e certificazioni. Noi chiediamo che si facciano opere utili, visto che qua in Italia abbiamo avuto frane alluvioni, terremoti. Investite quegli 8 miliardi per la gente, per la sanità, per le scuole. Per opere necessarie.

[…] Non abbiamo mai avuto un Governo “amico”; alle ultime politiche alcuni di noi hanno dato fiducia ai 5 stelle che – come altri prima di loro – l’hanno tradita.

[…] Bisogna anche dire che la valle è militarizzata, ma davvero, quei posti dove ora c’è il cantiere venivano utilizzati dalle persone per raggiungere i vigneti o i castagneti e adesso li stanno abbandonando. Qui abbiamo una vera e propria militarizzazione nel senso che per entrare nei terreni bisogna mostrare il documento di identità, passare il checkpoint dei carabinieri, polizia, militari. Poi il cantiere è sorvegliato da carabinieri, polizia, militari… 24 ore su 24. Lì spendiamo mezzo milione al giorno, di sorveglianza e sicurezza. Come hai visto prima, eravamo in una stradina di montagna e i poliziotti al blocco avevano scudi e manganelli. Questo perché domani le donne faranno una manifestazione – ovviamente pacifica – per Nicoletta, nel giorno della Festa della Donna. Quando diciamo di avere una valle militarizzata è perché proprio abbiamo l’esercito. Loro stanno lì a difendere un cantiere che è un deserto.

Vi impediscono di arrivare ad un cantiere che però è fermo?

L: Hanno paura che per esempio domani le donne taglino le reti. Ma tagliare le reti è un gesto simbolico, siamo comunque a un chilometro dal cantiere, non cerchiamo di tirarci le bombe… 

Per farti capire il livello: il primo giorno, quando è arrivata Josephine, l’ho portata a vedere il cantiere; era una giornata qualsiasi e quindi ci siamo arrivati tranquillamente, abbiamo iniziato a fare qualche foto. Loro ci hanno prima seguito con dei binocoli e poi ci hanno raggiunto, fermato, chiesto chi fossimo e cosa facessimo lì. Erano militari, non polizia, quindi non potevano chiederci i documenti; «Perché ci fermate?» gli ho chiesto. «State guardando troppo e state facendo troppe fotografie». Ma di cosa stiamo parlando…

A proposito della manifestazione di domani, so che Nicoletta ha scelto di rimanere in carcere. È un gesto fortemente simbolico, rappresenta bene il vostro movimento.

L: Nicoletta è una professoressa in pensione. Ha 74 anni, quindi avrebbe potuto ottenere i domiciliari, ma si è rifiutata di accettarli per mandare avanti una battaglia politica. Perché non è possibile impedire la forma più base di protesta di un popolo, che è la manifestazione.

Noi protestiamo perché vogliamo essere ascoltati. Si dà risalto mediatico soltanto alle proteste violente, che perlopiù sono sempre organizzate da pochi. Invece per le migliaia di manifestazioni pacifiche, piene di persone, silenzio assoluto. Continuiamo a protestare perché vogliamo un dibattito pulito, aperto, serio. E continueremo a farlo.

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