La scuola e le sue regole. Incontro con Max Bruschi

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“Entrare in punta di piedi e allo stesso modo uscirne, perché sono al servizio di questa Istituzione Scolastica nel rispetto delle regole, intese come strumento attraverso il quale si possa ottenere il meglio del meglio, per studentesse e studenti e relative famiglie”.

Questa citazione mi è stata detta da un carissimo conoscente che oggi con grande zelo professionale si sta avviando al IV° anno di lavoro come Dirigente Scolastico.

Con questo spirito, con lo spirito delle regole intese come strumento per lavorare assieme in modo ordinato e costruttivo (“Sub lege libertas” direbbero i nostri Agenti e Funzionari della Polizia di Stato)  mi sono apprestato ad andare a trovare uno dei massimi esperti di diritto scolastico, Max Bruschi, ora Dirigente Tecnico (quelli che una volta si chiamavano ispettori) a Tempo Determinato presso l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia e Docente di Legislazione Scolastica all’Università.

Il ruolo del dirigente Tecnico, fra gli altri, è di porsi come consulente nei confronti dell’amministrazione attiva (cfr. Dirigenti con funzioni di consulenza, studio e ricerca) supportandola in quei processi decisionali che necessitano una conoscenza specifica, tecnica del settore.

Gli ex Ispettori dunque non solo assolvono a verifiche presso le Scuole nel caso in cui emergano particolari criticità riconducibili a cause non ben comprese, ma devono anche scrivere una proposta di soluzione del problema. Proposta che verrà assunta da parte dell’amministrazione attiva (Dirigente Scolastico/Dirigente amministrativo del Ministero) che deciderà in seguito.

Prendiamo ad esempio il fatto che recentemente è salito alla ribalta delle cronache: l’insegnante che, in Veneto, è stata licenziata perché disorganizzata, disattenta, priva di preparazione e di materiale per le lezioni.

Il Dirigente Scolastico in questa situazione ha disposto la risoluzione del rapporto di lavoro per “assoluta e permanente inettitudine alla docenza”. Chi è però che ha certificato questa situazione particolarmente grave?

Un Dirigente Tecnico (Ispettore) che grazie ad una relazione ispettiva, cioè un atto avente pubblica fede, ha consentito stabilità al provvedimento di licenziamento, fino al III°di giudizio.

“Sì, sono un ispettore di nomina regia” – esprime scherzando il prof. Bruschi – “soggetto dunque a valutazione comparativa ogni tre anni”.

La carenza di questa particolare risorsa professionale e l’esigenza di avere al tempo stesso persone particolarmente competenti ha portato il Legislatore, col “nuovo” Testo Unico sulla Dirigenza, a consentire l’assunzione a tempo determinato di persone di chiara fama. Ecco il perché della “nomina regia”, effettuata dal Direttore Generale attraverso una procedura comparativa pubblica.
Storicamente l’amministrazione di quello che si chiama ora Ministero dell’Istruzione e del Merito aveva espressione maggioritaria in incarichi apicali composti da ex Ispettori nominati direttamente dal Ministro (come ad esempio tutti i Provveditori agli Studi, selezionati fra gli Ispettori o fra personalità di spessore storico-letterario).
La scelta politica di dare spazio ad amministrativi e non ispettori (che per legge devono aver avuto esperienze di insegnamento nel mondo della scuola) ha causato un cambiamento nelle leadership ministeriali.

Il ruolo delle Scuole o, per meglio dire, delle Istituzioni Scolastiche rette dai loro dirigenti si trova così nella difficoltà di dover avere come superiori gerarchici non per forza persone che in passato sono state “in prima linea, dietro ai banchi”, ma dei magari bravi Funzionari o Dirigenti Amministrativi per i quali però la sensibilità verso le comunità educanti non è scontata.

Le Istituzioni Scolastiche si chiamano così proprio perché, pur avendo una struttura meno gerarchizzata rispetto al Dicastero per l’Istruzione, hanno una solida regolamentazione giuridica, ci può dire qualcosa in più?

Le Istituzioni Scolastiche sono paragonabili a un corpo dell’esercito o ad una casa circondariale. Ognuna col suo ordinamento particolarissimo e specifico: ovvero degli Enti organizzati definiti giuridicamente che perseguono determinati scopi, in tal caso lo scopo primario al quale devono mirare le Istituzioni Scolastiche è l’Istruzione (cfr. art. 34 Costituzione della Repubblica).
Un aspetto importante da ricordare è il carattere di permanenza, di stabilità nel tempo delle istituzioni, a prescindere dalle persone che ne fanno parte o che la rappresentano.

Mai come nella Scuola questo aspetto è strutturale: Dirigenti Scolastici che alla fine dei tre anni cambiano sede o ne prendono altre in reggenza. Per non parlare delle continue supplenze che i nostri studenti subiscono quotidianamente, venendo meno qualsivoglia principio di continuità didattica.

Talvolta le regole sembrano essere molte e difficili. A cosa servono?

Lo scopo del diritto è nato dalla necessità di regolare i rapporti tra almeno due soggetti.
Nelle nostre Istituzioni Scolastiche le regole specifiche servono ed hanno come unico scopo la fruizione, nel migliore dei modi, del diritto all’istruzione da parte degli alunni.
Conoscere le regole che governano questa complessa organizzazione richiede un impegno da parte di tutti i componenti della comunità educante e si configura quindi non solo come una sorta di obbligo giuridico, ma anche morale. Detta diversamente: giocare a ramino seguendo le regole dello scopone scientifico non consente di vincere la partita.

E, invece, in merito al ruolo delle regole in ambito didattico…

Direi per prima cosa che la Scuola è il primo ambiente dove il cittadino del futuro si interfaccia con l’Istituzione Pubblica.
Ne deriva la grande responsabilità di chi vi opera il quale, prima di tutto col suo comportamento personale, va a rappresentare la fama di una organizzazione intera.
Il buon esempio che deve camminare sulle gambe degli uomini è individuale, ma ha una potenza intrinseca e assolutamente di peso perché si riverbera sull’istituzione e in ultima istanza sullo Stato.

A proposito di Educazione civica…

Esattamente. Stavo giustappunto dicendo che proprio in un contesto dove l’educazione civica è una disciplina trasversale si caratterizza come necessaria una testimonianza di comportamenti virtuosi da parte di tutti.
A me piace il concetto di cives, più che di cittadinanza attiva, e penso sinceramente che in realtà l’entrata in vigore di questa norma non debba preoccupare troppo i Docenti perché, come detto più volte, si tratta semplicemente di evidenziare cose che si sono sempre fatte.
La trasversalità dell’apprendimento, sul quale ho insistito molto, consente di lavorare in Team coi colleghi Docenti e di legare benissimo le discipline.
Penso ad una lezione di storia, magari quando si affronta la Società delle Nazioni, perché non approfittarne per analizzare la storia e il funzionamento dell’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite?
Mi piacerebbe soffermarmi sul concetto di “educazione”. Nel nostro Sistema di Istruzione siamo pieni di educazioni, ma purtroppo non abbiamo curato il concetto puro di educazione.
Penso ad esempio al Giappone dove gli alunni coi loro insegnanti a fine lezione si occupano di pulire l’aula e riordinare. Non esistono i cosiddetti “bidelli” (cfr. Collaboratori Scolastici). Figura professionale che nel nostro ordinamento è preposta anche a questa mansione.
Tuttavia il numero di collaboratori scolastici, superiore alle centotrenta mila unità su base nazionale, fa sì che essi non possano essere trascurati, anche in merito a trattative sindacali, come il rinnovo del contratto.

Ecco perché la famosa Nota del 10 Marzo 2020.

Esattamente. In quel difficilissimo periodo ricoprivo l’incarico di Capo Dipartimento per il Sistema Educativo di Istruzione e Formazione al Ministero.
Quelle che vengono chiamate erroneamente “circolari” (si dovrebbe parlare in tal proposito di note) sono state uno strumento ermeneutico per ben delineare il perimetro di azione sul quale agire.
Mi sono trovato dunque con 130000 persone che, non potendo fare lavoro agile per ovvi motivi, hanno rischiato di stare senza uno stipendio che è già quello che è.
Quindi mi sono preso la responsabilità di evocare l’articolo del codice civile sulle obbligazioni temporaneamente impossibili, oltre che fare un altro volo salto analogico: stabilire che l’ambiente giuridico classe da fisico si trasferisse in digitale (la famosa DAD).
Di fronte a tali decisioni nette e precise c’è chi si è lamentato per una ipotetica usurpazione dell’autonomia scolastica. Sbagliando però, perché l’autonomia delle Istituzioni Scolastiche, specie durante una crisi pandemica, non deve trasformarsi in anarchia disomogenea.
Ci sono ruoli e spazi ben definiti che solo se lavorano in modo corale possono raggiungere un risultato; ma per lavorare in tale misura è necessario conoscere le regole del gioco.

A volte si cade nei “si è sempre fatto così”, esautorando norme procedurali, specialmente in tempi di fondi PNRR che richiedono anche alle Istituzioni Scolastiche precise azioni amministrativo-contabili.

Posto che la responsabilità di azioni e/o omissioni è individuale, non si può non nascondere che il problema delle abitudini consolidate che cozzano con l’impianto normativo è un problema non da poco.
Come Lei mi insegna, tuttavia, gli usi e le consuetudini (cfr. Preleggi del Codice Civile) sono all’ultimo gradino della gerarchia delle fonti. Non sono infrequenti accertamenti su Scuole che antepongono le abitudini alle norme di legge.

Esiste, o può esistere una differenza tra burocrazia e amministrazione?

Assolutamente sì e questi aspetti fanno la differenza incidendo in tutti gli ambiti della Pubblica Amministrazione.
Occorre prestare attenzione al significato storico ed etimologico dei due termini.
Per burocrazia, fusione del termine francese bureau col greco kratos si intende un sistema fine a sé stesso; un potere non a servizio del cittadino, ma atto a stabilire privilegi e differenze di trattamento.
Non per niente Domenico Caracciolo, ambasciatore del regno di Napoli a Parigi citò in una lettera all’economista Ferdinando Galiani “la forza distruttiva, dispotica ed illimitata della burocrazia”.

A tal proposito lo sketch gustosissimo del film “Banana Joe” fa ben capire che certi comportamenti non virtuosi mettono in difficoltà e riducono la sfera dei diritti dei cittadini.

Esatto! Si pensi alle famose prove di verifica: tutti gli studenti hanno il sacrosanto diritto ad avere una verifica puntualmente corretta, a poterla guardare e portarla a casa magari facendola firmare ai genitori “per presa visione”. E questo senza dover fare richiesta di “accesso agli atti”. La polemica sulla verifica come documento amministrativo o no la trovo fuori luogo.
Diverso invece è il concetto di amministrazione: deriva da amministrare, dal latino administrare che a sua volta deriva da minister, “servitore, aiutante”.
Significa reggere, curare, regolare, sorvegliare il buon andamento dell’interesse altrui.
Personalmente ho sempre cercato di optare per la seconda. Specialmente durante l’esperienza di Capo Dipartimento e di Dirigente “supplente” dell’Ufficio VII di Lecco.
Il modus operandi che ho cercato di seguire non è stato quello di chiudermi in Ufficio. Ho preferito mettermi nello stanzone con i Funzionari a lavorare assieme e pormi come “buon esempio” nei loro confronti.
Quando c’era da fare un atto al ministero cercavo sempre di lavorare con la persona che materialmente lo avrebbe redatto. Questo per evitare perdite di tempo e inutili incomprensioni.
Oltre ad essere più pragmatiche, queste scelte sono anche un modo per rendere gli impiegati di questi uffici pubblici più sostenuti e accompagnati nella speranza che possano svolgere al meglio le loro funzioni, anche in relazione al rapporto con il pubblico.
Poi per carità, persone idonee ce ne sono. Come dappertutto.
Si tira il carro con i buoi che si ha.

La famosa autonomia didattica. Termine grazie al quale ci si straccia le vesti. Che dire in proposito?

Direi che in generale tutte le libertà riconosciute da un ordinamento sono sempre vincolate a dei limiti.
Nel caso in ispecie la libertà di insegnamento è vincolata alla sua efficacia verso gli studenti che sono a scuola primariamente per il diritto all’Istruzione.
Gli alunni sono il fulcro attorno al quale deve ruotare il diritto scolastico e l’operato dei singoli.
L’autonomia didattica poi non si esercita solo individualmente: progettare in Team o in Consiglio di Classe quanto si andrà a svolgere nella determinata classe è importante. Riempiamo la testa ai nostri alunni di come sia importante lavorare assieme e poi magari durante queste riunioni lo spazio riservato alla progettazione condivisa è ben poco…

Un piccolo sogno dell’Ispettore Bruschi per le nostre Scuole…

Sarebbero tanti. Mi piacerebbe si realizzasse davvero la verticalizzazione degli istituti comprensivi, la cui condizione necessaria è data da un lavoro comune dei docenti dei diversi gradi. 
Troppo spesso si resta fermi nei propri compartimenti stagni e così facendo si perde se vogliamo il senso di una verticalizzazione compiuta.
Quando ho presentato la nuova valutazione coi giudizi descrittivi per la Scuola Primaria ho insistito che l’ordinanza e le linee guida venissero quantomeno lette anche dai Professori della Secondaria.
Purtroppo le differenze anche storiche, come l’inquadramento stipendiale, la differenza di linguaggio, una non sempre accorta attribuzione degli incarichi ai Dirigenti scolastici (oggi il ruolo è unificato , prima c’erano i Direttori Didattici per le elementari e il Preside per medie e superiori) sono difficoltà oggettive che però possono essere superate con un lavoro comune autentico, non limitato ai momenti formali delle commissioni. Non si può contribuire alla crescita dei nostri alunni senza sapere da dove vengono e dove andranno e senza preoccuparsi delle attese del grado successivo e del lavoro del grado precedente.