scultura Lampedusa

EPISODIO III: Io qui non ci sto più: tornare alla terraferma

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“Dove vivono le nostre fantasie

Vi è un’isola solitaria,

in un solitario azzurro mare.

Là, con i ricordi non si può atterrare.”

-Cesare Righi, Lampedusa

Alì* nasce nel 1978, appena prima della Rivoluzione Iraniana, in un’isola vicino al Corno d’Africa. Poco distante da lì è in atto un sovvertimento che porterà a uno sconvolgimento nei costumi, nelle pratiche religiose e nell’assetto societario che vede ancora oggi i segni della lotta, dell’avidità di potere e dell’interferenza della religione nella vita secolarizzata. Dopo il suo esilio negli Stati Uniti, durato 15 anni, il carismatico sciita Ruhollah Khomeini destituisce il suo predecessore, Mohammad Reza Pahlavi, lo scià che ha governato dal 1941. Il leader della Rivoluzione, il cosiddetto “ayatollah” – letteralmente “versetto del corano” come mi suggerisce Alì – trasforma l’Iran in una Repubblica Islamica, con una conseguente ridefinizione delle alleanze internazionali e degli equilibri geopolitici in tutto il Medio Oriente.

Alì approda a Lampedusa, a 205 chilometri dalla Sicilia e a soli 113 dalla Tunisia, con il ricordo della sua Africa stipato in valigia. Quando ormai l’Italia già la conosce e può dirsi quasi-cittadino italiano a tutti gli effetti. Come Jamail, lavora all’Hotspot di Lampedusa, accompagna chi tocca terra per la prima volta, dopo mesi di acqua alta e di notti violente. 

Alì e io ci incontriamo spesso, ma la cosa più coinvolgente rimane il rito che ci accompagna ormai da anni: il cibo. La confidenza che nasce da quei gesti mi lascia senza parole – ed è molto difficile raccontare poi dei nostri incontri – ma più di tutto mi rimanda a Lampedusa: la sua seconda isola, dopo la porzione di terra emersa che l’ha adottato negli anni da militare, poi universitari e dove come guida eco-turistica ha conosciuto sua moglie. La gestualità nascosta nell’apparecchiare la tavola, aggiungere delle sedie e nel profumo che emana dai suoi fornelli hanno proprio a che fare con l’Isola del non ritorno. Ma Alì ci è riuscito invece: è tornato a casa. E casa – nel suo caso – significa proprio “costruire un luogo”, rubando dei versi a Franco Arminio. Casa, per lui e sua moglie, ha sempre voluto dire ricordi di viaggi, tende colorate dal Medio Oriente e fotografie meravigliose.

«Fa troppo caldo oggi» incalza Alì. Prima di iniziare a raccontarsi si accende una sigaretta e viene distratto dal fulmineo scatto del suo gatto color arancio, come i frutti che ha visto crescere a Lampedusa. L’immagine ci riporta alle strade dissestate e ai motorini che sfrecciano fulminei sulle sue vie. «Lì, a Lampedusa, vai a letto con un altro problema: la reperibilità telefonica» afferma deciso. Mi spiega che proprio lorganizzazione del lavoro per lui è stata tremenda:  si è ritrovato a rincorrere urgenze e compiti senza neanche un attimo di pausa. 

«Prima di tutto accogliamo chi arriva all’Hotspot dopo il recupero a largo della costa, per poi passare al suo riconoscimento e all’identificazione, con una foto-segnaletica e un numero identificativo. Ci assicuriamo che possano bere acqua pulita, mangiare e ripararsi al caldo, per poi sederci con loro per farci raccontare chi sono, da dove arrivano e con chi stanno viaggiando» continua, spiegando poi che questi colloqui hanno anche lo scopo di capire se qualcuna delle donne sia stata costretta a fingersi moglie o figlia di un altro compagno di rotta per aumentare la possibilità di non essere rimpatriato immediatamente. Soprattutto perché nel caso di minori la richiesta di asilo deve essere accelerata e l’appuntamento in commissione anticipato. «In realtà per noi è molto facile capirlo, basta fare le domande giuste: come si chiama tuo zio? E nella tua cittadina, che lingua parlate?» prosegue e mi perdo nel suo racconto: davanti a me vedo fissa l’immagine di due sedie cigolanti, di un tavolo colmo di scartoffie da compilare e una luce flebile a illuminare i visi dei due sconosciuti. «I colloqui avvengono separatamente, in modo che con delle domande incrociate sia facile capire chi stia mentendo» conclude. Ma dalle sue parole emerge tutta la stanchezza che si porta addosso: mediazioni continue con tutti, dialoghi con la polizia, immagini di corpi sottoposti a situazioni complesse, racconti agghiaccianti di traffici di esseri umani e costanti modifiche della cornice giudiziaria nella quale sono immersi.

«Caffè o succo?» mi chiede, per cambiare argomento. Adesso sogna un futuro diverso, dopo l’imminente laurea triennale in Mediazione: «Mi piacerebbe lavorare nelle organizzazioni internazionali, adesso». Prosegue descrivendo la sua attuale situazione giuridica: da quando sono scoppiate le Primavere Arabe, le ondate di proteste hanno avuto contraccolpi anche sulla sua piccola Isola in mezzo all’Oceano Indiano. Questo evento destabilizzante ha avuto però un risvolto positivo sulla vita di Alì: «Proprio quell’anno, mi trovavo già in Italia ed era appena scaduto il mio visto, così ho potuto richiedere il permesso come rifugiato politico». Dopo ormai più di 5 anni da quella coincidenza ha avviato tutte le pratiche per poter richiedere la cittadinanza: un limbo di attesa che dura da quasi 2 anni, durante i quali ha continuato a lavorare ininterrottamente. Da Aosta, a Bardonecchia, fino a raggiungere le coste della Grecia, a Moira sull’isola di Lesbo – dove supportava un’equipe di medici –  e poi infine a Lampedusa. Oggi è tornato al Nord Italia, a casa sua, tra le mura costruite con amore con sua moglie. Ha appena terminato il suo lavoro in questura, all’ufficio immigrazione: assistenza ai richiedenti asilo nella compilazione del modulo C, ricongiungimenti familiari e supporto per i MSNA, i Minori Stranieri Non Accompagnati. «Ma la cosa più bella era preparare i richiedenti all’intervista per la richiesta di asilo», decisiva per il loro futuro.


Come Jamail, anche lui non sa dove lo porterà il mare, ma una cosa la sa bene: «Mi piacerebbe lavorare in Medio Oriente, nelle ambasciate e nei consolati. Per questo adesso voglio iniziare la magistrale a Milano, per studiare Cooperazione Internazionale e Diplomazia, continuando a praticare tutte le lingue». Oppure magari fare il professore, tornando in Medio Oriente. “Là, con i ricordi non si può atterrare”.

*nome di fantasia per tutelare la privacy dell’intervistato