barca rottamata

EPISODIO II: Qui il problema è un altro: essere mediatore culturale in mezzo al mare

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“Cera qualcosa di magico in un’isola: bastava quella parola a eccitare la fantasia. Si perdeva il contatto col resto del mondo, perché unisola era un piccolo mondo a sé. Un mondo, forse, dal quale si poteva non tornare indietro.”

-Agatha Christie, Dieci piccoli indiani

Quella frase lasciata a metà dal pescatore, ha trovato il suo prologo quando ho incrociato Jamail* per la seconda volta: «Qui il problema principale è un altro, sicuramente non il Covid». Me lo ricordavo dal mio primo viaggio a Lampedusa: un ragazzo alto – altissimo – con le mani fini e un sorriso sempre incastonato sul viso.

La prima volta che l’ho incontrato era una notte di fine estate. Ottobre 2021, mettevo finalmente piede sull’isola di Lampedusa: ero riuscita ad atterrare nel punto più a sud dell’Unione Europea. Alitalia in quei giorni aveva deciso di far saltare tutti i voli dal nord al sud d’Italia, come risposta a ciò che stava succedendo all’interno della compagnia, e io mi ero ritrovata a dover ritardare la mia partenza per l’Isola. 

Ygnazia, Sofia e Irene si trovano già là e i miei primi ricordi di Lampedusa sono immagini: racconti che avevo trasformato in foto, veicolate da note vocali di WhatsApp e da storie Instagram. Era la prima volta che la redazione di Change The Future si trovava lì e io avevo il privilegio di essere parte di quel team femminile che rappresentava il Movimento Giovani per Save The Children e che aveva viaggiato fino a laggiù per raccontare le giornate del Comitato 3 Ottobre. Abbiamo scritto un pezzo collettivo, Lampedusa, l’evento “Siamo sulla stessa barca” restituisce dignità ai migranti, che trovate anche tra i nostri Archivi Speciali. Ygnazia Cigna ha approfondito i punti di vista di chi approda e di chi accoglie e Irene Burlando ha riflettuto sui percorsi d’integrazione. Inoltre Sofia Torlontano qualche mese prima aveva raccontato degli scomparsi nel Mediterraneo.

Ho incontrato Jamail la mia prima notte sull’isola, finalmente riuscivo a toccare terra e da quel primissimo momento è stato uno dei miei punti di riferimento. Viveva a Lampedusa già da qualche anno e lavorava come mediatore culturale nell’Hotspot. Il suo lavoro, come quello di Alì e di tantissimi altri ragazzi, si condensa in attimi convulsi e confusi, durante i quali non ti accorgi più dove sei, hai perso il conto dei recuperi in mare che non si arrestano – uno dopo l’altro – e ti reggi in piedi a stento. 

«Qui il problema principale è un altro, sicuramente non il Covid» mi racconta Jamail quando lo incontro una seconda volta, questa volta davanti alla scuola Pirandello di Lampedusa – l’unico Istituto scolastico dell’isola – durante i Workshop organizzati dal Comitato 3 Ottobre.

Essere mediatore in mezzo al mare porta con sé tantissimi effetti collaterali, in primis il dover trovare un alloggio che non sia solo temporaneo, ma una vera e propria casa. Di quanto sia complicato oggi abitare sull’isola ne ha parlato Asya Turchi nel pezzo Tra propaganda e informazione: Lampedusa oggi. L’aspetto urbanistico non è da sottovalutare, anzi per gli abitanti del luogo è la questione principale. Infatti per gli isolani l’aspetto dei flussi migratori e dell’accoglienza ormai è così intrinseco e parte della comunità da non essere neanche più un “problema”. L’emergenza viene acclamata da politici, dai media e dall’informazione. L’ordinarietà invece dai suoi cittadini, dai ragazzi che lavorano qui e da chi ama l’isola.  


Il suo contratto di lavoro è giunto al termine e Jamail non sa dove andrà, non ha minimamente idea del luogo in cui lo chiameranno a lavorare: potrebbe essere Bardonecchia, forse Aosta o qualche questura in giro per l’Italia. Ma di una cosa è certo: Lampedusa non lo lascerà mai davvero.“Un mondo, forse, dal quale si poteva non tornare indietro.”

*nome di fantasia per tutelare la privacy dell’intervistato