Nasce FADA: storie e diritti nel giornalismo freelance

› Scritto da

FADA è una novità nel panorama giornalistico italiano. Nasce come collettivo informale da un gruppo di freelance che si occupano di esteri.

“Il percorso è iniziato tra il 2019 e il 2020 da un gruppo di colleghi,” racconta Sara Manisera, una delle giornaliste del gruppo insieme ad Arianna Pagani, Daniela Sala, Giacomo Zandonini, Davide Lemmi e Marco Simoncelli. “Abbiamo deciso di trovarci e parlare delle difficoltà del lavoro che incontriamo tutti i giorni. Volevamo da una parte restituire un po’ di dignità al nostro mestiere, il giornalismo degli esteri, e dall’altra parlare della nostra condizione di precarietà, che spesso non viene considerata”.

Le condizioni lavorative dei giornalisti freelance in Italia sono annoverate tra le peggiori in Europa e Nord America, insieme alla Francia.

L’argomento è ritenuto talmente poco interessante che è difficile riuscire a trovare dei dati che aiutino a inquadrare il fenomeno. Il lavoro più recente che affronta direttamente la questione è il report di Lsdi “La professione giornalistica in Italia” del 2015, che si basa su dati raccolti tra Casagit, Odg, Fnsi e Inpgi. L’immagine che ne esce è quella solita di un panorama dell’informazione in crisi, che continua a perdere compensi, risorse e posti di lavoro.

In questa crisi aumenta il numero di freelance, il 65,5 per cento del totale dei professionisti nel 2015, e peggiorano le condizioni lavorative: l’80 per cento di questi dichiarava di ricevere un reddito annuale inferiore ai diecimila euro lordi, nettamente inferiore ai colleghi dipendenti.

“Essere freelance oggi significa fare investimenti di tasca propria,” spiega Manisera, “pagarsi spese di viaggio, vitto e alloggio, assicurazione sanitaria per essere sul campo. Significa lavorare alla preproduzione prima di partire, passare una o due settimane a lavorare in zone spesso vulnerabili e pericolose, per poi lavorare alla post-produzione una volta tornati. La filiera di questo lavoro raramente viene calcolata nel prezzo di vendita. Noi crediamo che questo debba tornare al centro del dibattito, che occorra parlare di compensi e di dignità del lavoro. Dietro al mondo dei freelance c’è la questione del precariato più vero, in termini di salario, in termini di diritti e contributi a cui bisogna iniziare a pensare da oggi, non quando saremo in età da pensione”.

Nel 2017 è uscito #ZeroPotere, disponibile integralmente su YouTube, documentario che racconta le condizioni lavorative dei freelance in Italia attraverso interviste a professionisti e professioniste inviati agli esteri, spesso in zone di conflitto. Non si tratta di principianti: tra gli altri, ci sono interviste a Cristiano Tinazzi, Barbara Schiavulli, Andrea de Georgio, Laura Silvia Battaglia.

Si parla di pezzi pagati un euro per l’online, 4 o 5 centesimi a riga per il cartaceo, pacchetti venduti a cifre ridicole e pagati con mesi di ritardo, che non permettono di recuperare le spese affrontate per realizzarli.

Il termine “Fada” è preso in prestito dagli spazi autonomi di discussione nati in Niger negli anni ’80, con la nascita del movimento democratico nel paese. Le persone si aggregavano spontaneamente, autorganizzate in gruppi in cui si discuteva di politica, società, lavoro, diritti. FADA vuole essere anche uno spazio di confronto e di dibattito sui temi del lavoro autonomo. “Non sappiamo ancora come farlo,” aggiunge Manisera, “se attraverso una membership o con riunioni aperte a cui partecipare, ma pensiamo che sia necessario iniziare a mettere un punto alla questione precariato e ridare importanza al giornalismo fatto sul campo. Siamo anche molto stanchi della logica competitiva individualistica che ti porta a lavorare solo. Avere un gruppo ti permette di scambiarti informazioni, contatti e anche avere maggiore sicurezza in un momento storico in cui i giornalisti sono fuori dalle redazioni. Noi crediamo sia necessario riportare questo giornalismo al centro, perché andare sul campo significa verificare di prima persona le informazioni, raggiungere più fonti e riuscire a rendere una realtà più complessa dei fenomeni. È un modo per stravolgere il giornalismo di oggi, che è vecchio e deve essere rinnovato”.

Martedì 15 il collettivo ha incontrato in diretta Facebook Bernardo Valli, storico inviato di Repubblica. Giovedì 17 appuntamento con Ismail Einashe, giornalista freelance che lavora tra gli altri per il Guardian, BBC, Sunday Times.