È ancora possibile riconoscere le fake news nell’era dell’intelligenza artificiale?

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Fake news è ormai un termine sulla bocca di tutti. Negli ultimi anni siamo costantemente richiamati a prestare attenzione alla provenienza delle notizie che leggiamo, alla veridicità delle fonti, addirittura al mezzo fisico da cui attingiamo le informazioni. Quello che però finora è stato probabilmente sottovalutato è il ruolo che il progresso nell’ambito della grafica digitale gioca in questa faccenda. 

La computer grafica ha raggiunto traguardi straordinari dal punto di vista del realismo, tant’è che è diventato quasi impossibile distinguere un’immagine vera da una realizzata artificialmente attraverso programmi di modellazione digitale. Per quanto possa sembrare assurdo, è capitato persino che venissero erroneamente diffuse testimonianze video (anche sotto nomi di importanti testate giornalistiche) che erano in realtà solo scene di videogiochi. Se alle già accuratissime tecnologie grafiche sommiamo la capillare diffusione di avanzati software di intelligenza artificiale, diventa chiaro che ci troviamo di fronte ad un problema che dovremo imparare a gestire.

Questa tematica è stata trattata da diversi artisti attraverso opere ed installazioni di vario genere, con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sulle difficoltà a cui il mondo dell’informazione andrà incontro. Ritengo che uno dei progetti artistici più significativi sotto questo punto di vista sia The Book of Veles (ed. Gost Books, 2021), sviluppato dal fotografo norvegese Jonas Bendiksen e candidato al World Press Photo 2022 nella categoria Open Format.

È il 2016, negli Stati Uniti Hillary Clinton e Donald Trump concorrono per le elezioni presidenziali, le quali, però, sono state pilotate grazie alla diffusione in rete di una serie di notizie false che finiranno per garantire la vittoria di Trump. La sede di questa fabbrica di bufale è l’insospettabile cittadina di Veles, nella Macedonia del Nord, ed è proprio questo lo scenario delle foto scattate da Bendiksen e pubblicate in The Book of Veles. Il nome scelto per questa raccolta rimanda alla presunta trascrizione di 40 tavole, poi rivelatesi un falso storico, che trattano la storia dei popoli slavi e del loro dio, Veles, divinità del caos.

Quello che però sia l’editore sia i fruitori dell’opera ignoravano era che l’autore aveva manipolato tutte le foto. Queste hanno come protagonisti soggetti non reali, bensì modellini 3D lavorati digitalmente da Bendiksen stesso e aggiunti alle ambientazioni in fase di post produzione. Per di più, tutte le parti testuali del libro sono state redatte da un’intelligenza artificiale, addestrata in modo tale che l’introduzione trattasse la vicenda di Veles con tono più giornalistico, mentre i virgolettati sparsi tra le pagine, riportati come dichiarazioni della gente del posto, fossero plausibili rispetto alle interviste effettivamente rilasciate dalle persone coinvolte nello scandalo.

Il fatto che nessuno si fosse accorto dell’inganno ha convinto il fotografo, dopo 6 mesi dalla pubblicazione, a spingersi ancora più in là con il suo esperimento, creando dei falsi profili online dai quali è stato simulato un attacco social alla credibilità dell’artista. Quando un utente finalmente ha scoperto l’identità tra uno di questi avatar e uno dei soggetti “fotografati”, ecco che l’autore ha deciso di rivelare il vero fine del suo progetto artistico.

La riflessione sul rischio di innesto tra il mondo delle fake news e quello dell’IA, e la conseguente vanificazione della validità storica che sembrava essere intrinsecamente propria delle fonti fotogiornalistiche, viene così proposta in maniera brillante e originale: Bendiksen riesce nell’intento di catapultarci in un futuro che, se fino a qualche anno fa poteva sembrare distopico, oggi potrebbe essere definito drammaticamente prossimo. 

Ci viene richiesta, quindi, una radicale rivoluzione nel nostro modo di concepire l’informazione ed i meccanismi comunicativi, interrogandoci su quanto siamo in grado di distinguere la finzione dalla realtà, su quanto siamo capaci di addestrare i nostri sensi a non lasciarsi ingannare dalla verosimiglianza artificiale creata da un algoritmo appositamente per confonderci.

Da qui deriva una di quelle che si stanno delineando come le grandi sfide da porci nell’era del digitale: promuovere l’importanza di una comunicazione consapevole e responsabile, e contemporaneamente disincentivare il diffondersi di “disinformazioni” che fanno da tramite per il concretizzarsi di percezioni distorte e falsate della realtà. 

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