“Nessun carro armato, solo due bambini con la voglia di giocare”: intervista al fotogiornalista Paolo Gerace

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Milano. La foto del bambino con la maglietta di Zaniolo, giocatore della Roma, in mezzo a una deserta Via Manzoni. La foto è stata scattata dal fotogiornalista pluriventennale Paolo Gerace, l’abbiamo intervistato per conoscere meglio chi si cela dietro la macchina fotografica.

Partiamo da questa foto in particolare, ci puoi spiegare il retroscena?

Questa è una foto di genere street photography, ma anche giornalistica perché racconta la situazione del COVID-19. Ho seguito la vicenda di questi due bambini che giocavano per un quarto d’ora. Ho voluto usare da lontano il teleobiettivo, sufficiente per essere vicino alla scena ma non tanto da esserci dentro e interferire. L’altro bambino – che non si vede – era coperto dai negozi. Per il rispetto della privacy ho scelto di essere in controluce cosicché potessi raffigurare il soggetto in silhouette e questa è una foto che è stata apprezzata particolarmente perché ha la maglietta della Roma, di Zaniolo, a Milano. Tra l’altro al momento dello scatto non avevo neanche riconosciuto. L’altro bambino vestiva invece la maglietta del Real Madrid.
Ci tengo a precisare che non sono un fotografo sportivo, non sarei in grado di scattare neanche una foto durante una partita di calcio.

Capita di leggere nelle ultime settimane la narrazione di una situazione di guerra. Tu, che la guerra l’hai vista con gli occhi e il mirino della fotocamera, quanto c’è di corretto?

È importante distinguere questa situazione dalla guerra: se da una parte ci sono persone che si rifugiano per evitare situazioni di bombardamento, io ho camminato in una via Manzoni deserta, ma senza carri armati pronti a sparare. Anzi, ho visto due bambini giocare con il pallone.

Con quale macchina fotografica hai scattato questa foto?

Lavoro con la Canon 5D MKII. Prima di parlare dell’attrezzatura, è importante però conoscere la luce che si ha a disposizione e quello che vuoi vedere in foto. Sono cresciuto con le pellicole, facevo foto in bianco e nero. Nel mondo ci sono due tipi di fotografi: chi è nato con la pellicola e chi con il digitale, ciò significa che si ha una preparazione diversa. Penso che se si dovesse togliere il digitale, metà dei fotografi tornerebbero senza una fotografia.

Allora ha senso usare una fotocamera a pellicola, oggigiorno?

No, secondo me oggi la pellicola non ha più senso, le macchine fotografiche digitali sono superiori qualitativamente alla pellicola e non ci tornerei neanche per hobby perché è un mondo passato.

Hai fonti di ispirazione?

Non ho fonti di ispirazioni. Ognuno è diverso, ognuno ha i propri punti di vista. Io lavoro da vent’anni e ho imparato da solo da situazioni difficili, banalmente queste hanno fatto anche molto più successo di questa.

Ad esempio?

Una foto che voglio ricordare è quella del novembre 2014 durante l’alluvione del Seveso a Milano, una signora stava per annegare con un altro signore. L’acqua era al livello della cinta, io ero effettivamente in mezzo l’acqua e ho scattato la foto. Naturalmente dopo l’ho aiutata, altrimenti sarebbe affogata, una situazione davvero difficile. E comunque, quella foto finì sulla prima pagina di tutti i quotidiani.
Ritengo inoltre che la street photography è un divertimento che non ha mercato, ma quando c’è una situazione di pericolo e crisi per me è “divertente” perché mi trovo a mio agio, ma naturalmente non sono contento.
Al momento io non ho paura, a situazioni di questo genere applico l’esperienza vissuta in Africa, Israele e Palestina.
La paura c’è sempre, ma in questo caso non c’è bisogno di averne.

Hai progetti futuri legati al fotogiornalismo?

Ho tanti progetti che non finisco mai (ride ndr). Ti posso dire che in passato ho realizzato progetti interessanti che ho finito.
Ad esempio nel 2003, con l’inclusione di altri 10 paesi nell’Unione Europea tra cui la Polonia e la Slovacchia, ho preso l’Interrail e ho viaggiato con uno zaino e la medio formato Rollei 6×6. Ho lavorato per diversi mesi nei treni, scattavo le foto alle stazioni ma non ne ho realizzate di altre, esterne. Sono stato sui treni per diversi giorni consecutivi, avevo dei libri da leggere e scattavo, mi sono divertito. Inoltre, non conoscevo l’Unione Europea come la conosco oggi, ho visto dei posti nel quale non sapevo orientarmi.
Il progetto si è concluso con lo sviluppo dei rullini a Napoli perché costavano la metà rispetto a Milano e non ho voluto realizzare questo progetto in forma di fotolibro.