L’insostenibile leggerezza dell’odiare

› Scritto da

TORNA ALLO SPECIALE SU “I FILI DELL’ODIO”

Chiedo: vi è mai successo, in qualche momento di una vostra giornata, di leggere parole – sì, solo parole, parole di un’altra persona – scritte con violenza, contro di voi o qualcuno a voi caro e di avvertire quel senso di dolore, quella sensazione di ferita aperta che solo alcuni termini sanno dare?

Ve lo richiedo, vi è mai successo?

È una sensazione difficile da spiegare. La senti nel petto, più o meno dove sta il cuore. La senti dentro, una ferita piccola ma precisa, esatta. Aperta. Ti manca un po’ il fiato. Forse ti tremano le mani. Ti scopri nudo, vulnerabile, indifeso. Ti scopri nudo e hai freddo: hai freddo perché ti hanno coperto di vestiti che non ti appartengono. Ti cerchi negli altri e improvvisamente non ci sei. C’è un’immagine di te deformata, che non ti rappresenta. Ti cerchi e non ti trovi. Nelle parole degli altri c’è un’altra persona. La ferita dell’odio è una ferita di solitudine.

Cos’è davvero un giudizio gratuito? A cosa ti può servire mettermi addosso un’etichetta, un giudizio, un insulto? Un abito che non mi appartiene, che non sono io? Come puoi conoscermi e riconoscermi, se non mi lasci aprire la porta? Se hai già deciso chi sono, ancora prima di ascoltarmi?

Racconta Laura Boldrini ne I Fili dell’ #Odio: “Quando io ho deciso di rendere pubblici questi nomi – l’ho fatto in più occasioni – le persone che mi avevano insultato, chiaramente,  si sono trovate i loro nomi e cognomi sui giornali. Ma io l’ho fatto (anche) perché ognuno si deve assumere le proprie responsabilità: se tu scrivi col tuo nome e cognome indicibili insulti verso una persona devi aspettarti una reazione. No, poi… c’è stato il caso di chi mandava a rispondere la sorella – perché io naturalmente volevo parlarci, con queste persone – e sì, c’è chi ha mandato la sorella… È venuta dicendo che lei non ne sapeva niente. Oppure la moglie in lacrime che mi chiedeva perdono. Ma io non volevo questo. Io volevo capire. Io volevo capire perché quella persona, come quell’uomo sia arrivato a dire quelle cose spregevoli su di me. Che cosa lo portava a dire questo? Allora le “motivazioni” erano: “Ma sa, è tanto scontento, le cose non gli vanno bene, è preoccupato, con qualcuno se la deve pur prendere”.

I Fili dell’#Odio è un documentario italiano di Tiziana Barillà, Daniele Nalbone e Giulia Polito, con la regia di Valerio Nicolosi e prodotto in collaborazione con Michele Santoro, che affronta il tema complesso dell’odio online. E lo racconta come si raccontano i temi complessi: attraverso storie, racconti, persone che questo odio lo hanno vissuto sulla loro pelle o lo hanno studiato, cercato, analizzato. È un racconto complesso ma proprio per questo necessario, che offre spunti diversi e riflessioni possibili e doverose. Vista la complessità dell’argomento, in questo breve scritto proviamo a proporre solo una riflessione, in particolare, su un aspetto – forse centrale – del problema.

Siamo davvero consapevoli del danno che stiamo creando, con tutto questo odio? Con quanta attenzione scegliamo le parole che pubblichiamo online?

“Ma io non volevo questo. Io volevo capire”. “Volevo capire”. “Capire”. Perché tutto questo odio? “Con qualcuno se la deve pur prendere”. È una risposta di rassegnazione. Dice: le cose stanno così. Non ci si può fare niente. È inevitabile, è così e basta. Ma quella dell’odio è una ferita che si ricopre di solitudine e incomprensione, e se non si riesce a richiuderla, a lungo andare, rischia di generarne altro. Rischiamo di generare solitudine e incomprensione, che sono i grandi errori del nostro tempo.

L’odio è il prodotto inevitabile di una paura generalizzata che non sa e non vuole andare oltre alla consapevolezza della differenza. Perché andare oltre alla differenza è tremendamente faticoso, impegnativo. Oltrepassare il grande muro delle nostre differenze richiede uno sforzo costante e un impegno reale. Ma la verità è che sotto a tutti questi vestiti diversi c’è un altro essere umano come te, che soffre, piange, spera, gioisce e sbaglia esattamente come te.

Avverto, con tutta la realtà che gli appartiene, il dolore dell’odio nella ferita dell’altro per riconoscermi e riconoscerlo. Dobbiamo riconoscerci – con tutta la concretezza del termine – fratelli, se davvero vogliamo eliminare alla radice la piaga dell’odio. La verità è oltre quel grande muro, ed è l’unica strada che abbiamo per essere sinceramente umani.