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Ora gli untori siamo noi giovani: pensieri a voce alta sul “virus della movida”

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Tempo di Covid-19 e fase due, in tutta Italia riaprono bar, ristoranti e locali seppur con numerose limitazioni. La sera le strade delle città tornano a ripopolarsi di giovani che hanno il profondo desiderio di tornare, almeno in parte, a quello che era la vita prima fatta di divertimento, due chiacchiere con gli amici e il ritorno a casa verso l’alba.

Le limitazioni sembrano non far desistere dal tornare “a vivere” e nelle persone la paura del Covid è stata sostituita, o almeno affiancata, dal timore per un altro virus: la movida.  

Movida è un termine che affonda le sue radici in Spagna e risale agli anni Ottanta, dopo la dittatura di Francisco Franco. Identificava il via vai notturno e il conseguente divertimento che regolava le notti spagnole.

Oggi questo termine è una sorta di etichetta che, nel tempo in cui viviamo, sembra voglia identificare un qualcosa da combattere. Sta prendendo sempre più piede, infatti, l’idea che i giovani siano i nuovi untori così come è già capitato per chi, durante il lockdown, faceva jogging o portava a passeggio il cane.

Non di rado capita, passeggiando nelle strade, di sentire qualcuno che dalle finestre grida “andate a casa”. Il negativo, come spesso accade, supera il positivo e risalta maggiormente anche sui mezzi di informazione, al punto che rimbalzano da un giornale all’altro le parole di un politico e poi di un altro su quanto la gente non rispetti le disposizioni.

Credo però che la realtà sia un’altra: è vero che qualcuno talvolta non porta la mascherina e crea assembramenti, ma andando in giro per la mia città, Genova, la percezione è che vi sia molta più gente che invece si attiene scrupolosamente alle misure di sicurezza. Ancora una volta si cerca di prendersela con un nemico che è ingigantito anche dai social che amplificano lo sdegno e l’irritazione collettiva per chi non rispetta le regole.

La psicologia ci spiega come la necessità di trovare un colpevole nasca dal desiderio di avere una situazione sotto controllo e sapere chi punire e ritrovare quindi un equilibrio psicologico non dominato dalla paura.

Diverse sono le personalità politiche che hanno invitato a smetterla con questa caccia all’untore, ma questo non deve cedere, a mio avviso, spazio a un malsano buonismo che evita di condannare i comportamenti scorretti.

Il problema del “colpevole” è comunque molto antico, già Tucidide nel raccontare la peste ad Atene sottolineava come venissero accusati gli spartani di essere coloro che avvelenavano i pozzi; anche Manzoni nel celebre romanzo “I Promessi Sposi” nel raccontare la peste del 1630 a Milano riportava la vera e propria persecuzione di coloro che erano sospettati di propagare la peste con unguenti.

Il quotidiano Il Giorno il 25 maggio scorso ha riportato in prima pagina il titolo “il virus della movida”, poi ripreso anche da altri quotidiani sottolineando come si perdano di vista alcuni elementi connessi a questo apparente nemico.

Movida non vuol dire solo divertimento, ma anche lavoro. Tanti locali che hanno riaperto dopo mesi di chiusura hanno bisogno di clienti e la movida è un buon bacino di ripresa.

È necessaria anche una riflessione sulla responsabilità che la politica ha su questo tema. Con il paventato desiderio di creare gli assistenti civici, infatti, sembra sostenere quelli che tutti i fine settimana incolpano i giovani di essere coloro che ci riporteranno nel baratro dal quale piano piano ci stiamo riprendendo.

Siamo un Paese che non ha grande interesse nei confronti dei giovani, non ha mai deciso di investire su di noi che, come abbiamo detto anche nella lettera inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri, non siamo il futuro ma il presente. Per pensare al futuro occorre iniziare a costruire già qui e ora.

Quello che chiediamo è di essere visti come una risorsa e non una minaccia, abbiamo il profondo desiderio di contribuire alla crescita del Paese mettendoci al servizio con le nostre competenze. Abbiamo il desiderio di essere protagonisti del nostro presente. Vogliamo far sentire la nostra voce. Essere giovani non è una fase, ma un modo di vivere le cose. Non siamo untori di Coronavirus, ma vogliamo essere “untori di cambiamento”.

Il nostro punto di forza è il non perdersi d’animo, crediamo nella nostra potenzialità, attendiamo solo una chiamata. Noi ci siamo, e voi?

Foto Flick – ecodallaluna