La Consulta delle ragazze e dei ragazzi a Catania, dal teatro sociale alla giustizia ambientale

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Quest’anno la Consulta di Catania si è riunita a partire dalla fine di agosto con la presenza di giovani appartenenti a CivicoZero e al Movimento Sottosopra, ragazzi e ragazze di nazionalità, culture, vissuti e anche età differenti, dagli 11 ai 18 anni.

Nei primi incontri i/le partecipanti hanno scelto assieme il macro-tema che avrebbero voluto sviluppare, tra discriminazione, ambiente e questioni di genere, e condiviso con la facilitatrice, l’educatore e l’educatrice presenti la metodologia di lavoro. Sono emerse da subito aspettative importanti: «Voglio divertirmi e sognare in grande», «Voglio la partecipazione di tutti», «Voglio conoscere», «Ascoltare», «Leggere», «Uscire per la città», «Chiedere alla gente», «Voglio un clima accogliente». E anche alcune questioni urgenti a livello collettivo: «Siamo tutti uguali», «I cambiamenti climatici», «Capire chi si è e non dover indossare una maschera», «Pensare di più alle cose e alle persone», «Scoprire nuove cose e sorprendersi», «Il bisogno di narrare», «Stare bene a contatto con la natura», temi che introducevano già i macro-argomenti tra cui scegliere.

 Come strumento di facilitazione di questa Consulta si è pensato di utilizzare il Teatro sociale che, attraverso le attività ludico-creative e il linguaggio del corpo, aiuta il gruppo a parlare di sé, del proprio vissuto, a raccontare ciò che gli sta a cuore, che gli interessa, sviluppando le risorse espressive e mettendo in moto l’incontro in un ambiente sicuro, giocoso e non giudicante.

Non è richiesta una formazione teatrale, non è importante la capacità di recitare in sé, noi esseri umani pensiamo con tutto il corpo ed è quindi importante coinvolgerlo nella ricerca di soluzione ai problemi. Inoltre c’è la vita all’origine della drammaturgia, una drammaturgia d’esperienza: la vita trasformata in teatro.

Dopo aver lavorato sul consolidamento del gruppo e sulla fiducia, i ragazzi e le ragazze hanno quindi sperimentato delle attività che sul piano metaforico-simbolico rimandavano ai concetti di influenza sull’ambiente, del potere subìto, delle barriere poste dall’esterno. Nel feedback è emersa sia la sicurezza nell’affidarsi e nel supportare l’altro/a, sia la paura di farsi male, il bisogno di superare le proprie insicurezze, e la fatica, anche fisica, nel cercare di oltrepassare i blocchi escludenti.

Da qui è partito un confronto sui macro-temi: «Cos’è la discriminazione? Alla base c’è una mancanza di fiducia», «Una questione di abitudini diverse che non si conoscono e vengono giudicate male. Come il mangiare con le mani, io mangio con le mani ma prima me le lavo, sono pulite!», «È razzismo e bullismo! Ti offendono per il colore della pelle, questo ti fa arrabbiare».

«Il genere? Vorrei saperne di più», «C’è una differenza tra orientamento sessuale, da chi siamo attratti o attratte, e identità di genere, in quale sesso ci riconosciamo», «Riguarda anche il lavoro se solo gli uomini possono lavorare, mentre le donne devono stare a casa», «Per queste questioni a volte si deve indossare una maschera per farsi accettare, per non essere infastiditi, per non essere pestati».

«Cosa dovremmo fare per l’ambiente? Diminuire la spazzatura», «Usare meno mezzi motorizzati», «Dovremmo pensare ai consumi e allo spreco di energia», «Dovremmo essere più responsabili e pensare anche alle generazioni future», «Ma chi è questo “noi” che dev’essere responsabile? C’è una differenza tra il singolo e un’azienda, chi inquina di più? Bisogna informarsi, ad esempio sapere chi ha un programma politico che cura l’ambiente», «Sì ma anche nel nostro piccolo dobbiamo impegnarci, ad esempio riciclando».

Dopo aver parlato a lungo bisognava rimettere in moto il corpo, così, tenendo vive tutte le questioni venute fuori e muovendosi nello spazio, chi voleva poteva salire sopra una delle tre sedie sparse nella stanza su cui era attaccato un cartello con la scritta “AMBIENTE”, “GENERE” o “DISCRIMINAZIONE”, e fare un proclama ad alta voce: «Voglio sentirmi sicura quando cammino per strada da sola!», «Voglio energia pulita!», «Non voglio il razzismo!», «Non voglio i cambiamenti di sesso», «Non voglio il nucleare», «Voglio che le persone di qualunque cultura si rispettino»…chi si sentiva vicino/a a quella dichiarazione si avvicinava fisicamente alla persona sulla sedia, altrimenti se ne allontanava.

Questo ci ha portati/e a prendere posizione fisicamente sui macro-argomenti, ogni ragazzo/a ha scelto su quale cartello posto a terra posizionarsi e ha argomentato al gruppo il perché era lì e pensava che la Consulta dovesse occuparsi di quel tema, così facendo si voleva evitare il metodo della maggioranza preferendo il metodo del consenso. Chi veniva convinto/a dalle motivazioni dell’altro/a si spostava su quel tema, con l’apertura a cambiare posizione perché sentiva l’importanza di lavorare anche su quello che il/la compagno/a stava proponendo: «Dovremmo occuparci di ambiente perché riguarda tutto ciò che facciamo e se ci stiamo bene viviamo meglio», «Dovremmo occuparci di discriminazione perché ancora ci sono troppe differenze legate al colore della pelle», «Dovremmo occuparci delle questioni di genere perché ci sono troppi uomini che picchiano le donne», e ancora «…l’ambiente può dare sbocchi lavorativi», «…troppi bambini vedono picchiare le loro madri», «…ci sono troppe discriminazioni culturali», «…se l’ambiente è sano anche le relazioni sono sane». Alcune persone si spostavano via via, ma forti erano le istanze sostenute, soprattutto tra discriminazione e ambiente, finché ha preso piede la visione dell’ambiente non solo da un punto di vista naturale ma anche sociale, come spazio di vita accessibile, anche in base alle possibilità economiche, sicuro, per una donna o per chi non si riconosce nel sistema binario o appartiene ad una minoranza etnica, accogliente, inclusivo… o al contrario l’ambiente come fonte di discriminazione, disparità, insicurezza, potenziale danno per la salute. Le ragazze e i ragazzi hanno quindi letto degli articoli per informarsi su questi temi e hanno scritto alcuni pensieri in proposito che hanno poi condiviso nel gruppo.

«I cambiamenti climatici, come lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del mare, sono causa di spostamenti di interi villaggi con le loro popolazioni. Nel mio paese c’è stato uno tsunami spaventoso che ha fatto scappare tanti abitanti del luogo e non è facile ambientarsi in un posto nuovo, perché non si conoscono la lingua, la cultura, la storia e le abitudini.»

«L’urbanizzazione sta distruggendo sempre di più l’ambiente e la salute delle persone. Per questo l’Agenda 2030 invita i cittadini ad utilizzare di più i trasporti pubblici. Un altro impegno richiesto è quello di rendere gli spazi verdi e pubblici più sicuri, inclusivi e accessibili a tutti.»

«Il razzismo sta distruggendo anche l’ambiente e la violenza sul prossimo è anche violenza verso la Natura. I quartieri di periferia hanno meno spazi verdi dei quartieri più centrali, bisogna migliorare la qualità della vita nei quartieri più poveri.»

«Esistono più tipi di discriminazione ambientale. Le città, per molto tempo, sono state fatte “a misura d’uomo” e tante zone di Catania non sono adatte alle esigenze delle donne. Questi spazi andrebbero riqualificati seguendo il concetto di gender mainstreaming, un processo che aiuta a capire meglio le cause delle discriminazioni di genere e a individuare le strategie per combatterle. A tale proposito si potrebbe pensare a un tipo di mobilità che consenta a chiunque di spostarsi agevolmente e in sicurezza, più spazio pubblico accessibile, spazioso e illuminato. Tutti i quartieri dovrebbero avere servizi, attività commerciali, spazi verdi e trasporti pubblici.»

«La povertà economica è un altro fattore che influenza l’ambiente in cui vivono le persone. Spesso le persone più povere sono considerate meno importanti e deboli, non hanno né voce in capitolo né giustizia.

La giustizia ambientale mette in luce che spesso l’esposizione ai danni ambientali e ai rischi per la salute, come l’inquinamento e il degrado, riguarda soprattutto le comunità più povere, quelle vittime di discriminazioni razziali o le minoranze etniche. Nei quartieri dove abitano queste comunità sorgono, ad esempio, delle discariche o sono aree degradate e prive di spazi pubblici utilizzabili, di servizi e infrastrutture adeguate. Bisogna portare l’attenzione su questi spazi dimenticati.»

Alla luce di queste riflessioni, la Consulta ha deciso di approfondire ulteriormente la tematica della “giustizia ambientale” invitando una giovane ricercatrice che collabora con l’Università degli Studi di Catania e che ha fatto ricerca sull’argomento anche negli Stati Uniti, dove tale questione è nata. Da questo incontro è scaturita un’intervista che la Consulta diffonderà all’esterno attraverso un podcast.