Dal terremoto de L’Aquila alla pandemia: emergenze, dati e partecipazione

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Alle 3:32 del 6 aprile 2009 i territori dell’aquilano sono colpiti da una fortissima scossa sismica. L’epicentro è nella città capoluogo. Sono tantissime le vittime e i feriti, più di 65mila le persone sfollate. Secondo le prime stime del governo i danni arrivano a 10.212 miliardi di euro: c’è molto da ricostruire. All’indomani del sisma nasce 3e32, comitato civico e, oggi, associazione.

“Nei primi anni c’è stata molta confusione sugli aiuti finanziari arrivati al territorio” racconta Sara Vegni, attivista di 3e32 e oggi a capo della Resilience Unity di ActionAid “complice anche una governance che è cambiata molte volte durante i primi anni di reazione all’emergenza e di ricostruzione. Con i comitati civici aquilani quella della trasparenza era una delle richieste che ci hanno unito dalla primavera 2009; 100 per cento ricostruzione, certo ma anche 100 per cento trasparenza e partecipazione”.

I temi sono strettamente legati: attraverso i dati si può monitorare il lavoro delle istituzioni e dei privati, l’arrivo e la destinazione dei fondi per la ricostruzione. Si può coinvolgere la popolazione nella ricostruzione, si possono raccogliere i bisogni delle comunità per orientare gli interventi e soddisfare le necessità.

“Le istituzioni hanno tardato a rispondere a queste nostre richieste. Ci è venuto incontro un progetto indipendente di ricerca del Gran Sasso Science Institute, a cui abbiamo collaborato anche come ActionAid. Nel 2016 abbiamo lanciato Open Data Ricostruzione, un portale che segue tutti i finanziamenti di qualunque natura fino all’opera finale, arrivando addirittura ai subappalti e alla filiera della ricostruzione materiale”.

Grazie a questi dati studentesse e studenti aquilani sono coinvolti in azioni di monitoraggio civico sulla ricostruzione degli istituti scolastici, tema che riguarda direttamente loro, che in questo modo possono tenere sott’occhio. Il portale è arrivato molto tardi, 7 anni dopo il terremoto.

“È stato molto difficile da creare perché siamo dovuti andare a recuperare anni e anni di documentazione fatta in maniera molto bizzarra” continua Sara Vegni. “Non c’era un protocollo di archiviazione né di comunicazione: siamo dovuti andare a recuperare PDF nei piccoli comuni dell’aquilano per mettere insieme le informazioni che ci servivano”.

Avere a disposizione degli Open Data fin da subito avrebbe semplificato enormemente il lavoro di recupero delle informazioni e la creazione del portale. “Sono certa che se avessimo avuto prima e in maniera pubblica un sistema del genere si sarebbe evitata tanta disinformazione, tanta rabbia, a volte giustificata, a volte no. La rabbia viene anche perché non si capisce quello che si sta facendo”.

ActionAid è stata tra le prime quattro organizzazioni che hanno lanciato la petizione #datibenecomune.

“Noi non ci occupiamo direttamente di rischio epidemiologico – sottolinea Vegni – e i dati non ci aiuteranno direttamente nel nostro lavoro come ONG. Crediamo siano una misura necessaria di democrazia”.

ActionAid lavora in molti paesi del mondo e su tanti temi diversi con il filo conduttore della accountability sociale: la richiesta di trasparenza delle istituzioni, la responsabilizzazione di tutti gli attori che intervengono in un contesto e la creazione di spazi sempre maggiori di partecipazione diretta sia delle organizzazioni della società civile che dei cittadini e delle cittadine direttamente impattati dagli eventi.

È questo il senso della Resilience Unity: “Resilienza significa tante cose – precisa Vegni – dal nostro punto di vista vuol dire lavorare in accountability, con il taglio di coinvolgere le persone del territorio nel monitorare e saper agire sulle politiche del territorio. Crediamo che sempre ci sia bisogno di trasparenza, ma ancora più in un momento di emergenza che impatta così da vicino sulla vita diretta delle persone. Quello che abbiamo visto durante questa emergenza è che, mentre da un lato si chiede giustamente una forte responsabilizzazione di cittadini e cittadine, da cui dipende moltissimo il funzionamento delle misure intraprese, dall’altro lato abbiamo una situazione alternata di opacità per quanto riguarda la diffusione dei dati. Sarebbe utile rovesciare il paradigma. Non bisogna vedere cittadine e cittadini come i destinatari di informazioni univoche e direttive che arrivano dall’alto: per funzionare meglio e per essere più consapevoli occorre lavorare sul legame di fiducia che si genera tra cittadinanza e istituzioni. Anche la fiducia non è unilaterale: si parla spesso di mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni, ma bisogna che le istituzioni abbiano fiducia nei cittadini in modo da avere un atteggiamento più aperto”.

Sara Vegni è attivista digitale anche per Covid19Italia Help, un’iniziativa di civic hacking nata durante i primi mesi della pandemia, firmataria a sua volta di #datibenecomune. L’iniziativa si è concentrata sull’incrocio di domanda e offerta, raccogliendo i bisogni che le comunità esprimevano e indirizzandoli verso chi poteva dare loro aiuto.

“Produciamo materiali open data, che è la filosofia portante della community dietro al progetto” conclude Vegni. “Alcuni pensano che in emergenza la comunicazione debba essere unidirezionale. Questi progetti dimostrano che si migliorano le cose se si pensa alla cosiddetta raccolta dati crowdsourcing: tutte le persone hanno dei dati e tutti i dati hanno validità. Aggregarli permette di far partire interventi che nascono da un vero coinvolgimento dei destinatari”.